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Notiziario Marketpress di Martedì 08 Febbraio 2005
 
   
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  IL TRIONFO DELL’AMORE DI PIERRE CARLET DE MARIVAUX SUL PALCOSCENICO DEL TEATRO SAN BABILA NELL’INTERPRETAZIONE DI UGO PAGLIAI E PAOLA GASSMAN  
   
  Milano, 8 febbraio 2005 - Nel Trionfo dell’Amore ricorrono i consueti vertiginosi giochi teatrali di Marivaux. Una giovane principessa s’innamora del principe che le contende il trono, lo scova nella “casa eremo” di un filosofo misantropo e lì alternando travestimenti maschili e femminili riesce a sedurre l’arcigno padrone di casa e la sua bisbetica sorella, nonché il giovane che da sempre è il suo vero obiettivo. Alla fine naturalmente l’eroina si impadronirà del cuore di tutti e fuggirà dalla casa eremo portando con sé il giovane principe, abbandonando di nuovo alla loro solitudine i due arcigni padroni di casa. Il consueto alternarsi di travestimenti, il sottofondo erotico ambiguo dei diversi corteggiamenti, si sposano in questo caso curiosamente con una ambientazione neoclassica (siamo nell’antica Sparta) e con un tono insolitamente fiabesco e surreale. Nella messa in scena al San Babila Mascia Musy diventerà la portatrice di nuove fantasie, nuovi linguaggi teatrali che si confronta con due figure teatrali per eccellenza quali Ugo Pagliai e Paola Gassman destinati a rappresentare la classicità del gioco scenico. Erotismo, umorismo, grande fantasia visiva saranno i tre ingredienti principali di questa messa in scena. Pierre Carlet de Marivaux, nasce a Parigi il 4 febbraio 1688. Nel 1710 si iscrisse per la prima volta alla facoltà di Giurisprudenza ma non si laureò mai, agli studi legali preferì fin da subito la carriera dell’uomo di lettere, deciso a vivere della sua penna. Fondamentale fu per lui l’incontro con gli attori della Comédie Italienne diretta da Luigi Riccoboni, e soprattutto con Zanetta Benozzi, in arte Silvia, che fu la protagonista della maggior parte delle sue commedie. Delle trentuno commedie di Marivaux rappresentate, ben ventidue infatti sarebbero state interpretate dagli attori italiani. Il Trionfo dell’amore, commedia in tre atti, è stata rappresentata per la prima volta a Parigi il 17 marzo 1732. Dalle parole del regista: “Perché Marivaux ambienta Il trionfo dell’amore nell’antica Grecia, lui che di solito rimaneva tra le mura dell’aristocrazia o della buona borghesia francese? Da questa domanda sono partito per analizzare il testo di un autore che conosco bene e che ho già messo in scena quattro volte, firmando talvolta anche la traduzione. Questa insolita ambientazione mi è servita come un indizio attraverso il quale risalire alla ragione fondante del testo. Mi sono infatti ricordato dell’inizio de La finta serva, altro testo di Marivaux basato sul travestimento che ho messo in scena anche al Teatro Olimpico nel ’91, in cui Trivellino allude alla querelle tra antichi e moderni che fu al centro della vita culturale francese tra sei e settecento. La polemica vedeva contrapposti il teatro neoclassico, ad esempio di Racine, che predicava argomenti nobili ed illustri, personaggi unicamente provenienti dal mondo dei grandi miti greci ed assoluta astrazione dalla vita contemporanea. A questa tesi degli “antichi” i “moderni”, rappresentati innanzitutto da Molière ma poi anche dallo stesso Marivaux, contrapponevano soggetti tratti dalla vita reale, personaggi comuni, intrecci basati sulle passioni più semplici ed elementari, a cominciare dalla passione amorosa, intesa in senso terreno e fortemente erotico. Se si legge Il Trionfo in questa chiave, il testo appare subito come una battaglia tra due generi di teatro. Quello degli “antichi” è ovviamente rappresentato da Ermocrate, che sembra quasi una caricatura del poeta neoclassico. Cosa predica il nostro buffo protagonista? Astinenza dalle passioni terrene, solitudine, totale dedizione ai grandi temi filosofici. Ed invece cosa caratterizza la sua avversaria, la Principessa Leonide? Una grande propensione per l’amore, il gusto per il gioco, per la seduzione, per i travestimenti. Non sembra la descrizione del teatro di Marivaux? Ho immaginato di conseguenza uno spettacolo basato inizialmente sulla sfida tra due maghi dell’artificio, con Leonide che muta continuamente d’aspetto, come nel teatro galante del ’700, ed Ermocrate che cerca di disorientarla, mutando continuamente lo spazio in cui si trovano, come spesso accadeva nelle scenografie del teatro antico. Con lo scenografo Antonio Fiorentino abbiamo quindi scelto una scenografia che presentasse all’inizio tutti i travestimenti voluti da Ermocrate, ma che svelasse alla fine la propria vera natura di teatro, dato che una battaglia tra due idee di teatro si è combattuta. La misteriosa caverna di Ermocrate che poi si è fatta lago, deserto, salotto, rivela essere semplicemente il Teatro Olimpico, ed anzi i ruderi dello splendore neoclassico, il luogo simbolo degli “antichi”. Una volta terminato il primo atto è però evidente che il teatro dei “moderni” è destinato a prevalere, come ci sembra evidente per chi parteggiare, tra la briosa, solare energia della principessa e la lugubre severità dei filosofi. Non ci resta che ridere dei loro buffi innamoramenti? Il comico è certamente un elemento importante in Marivaux, che spesso viene trascurato. Alcuni miei colleghi hanno preferito negli anni scorsi messe in scena basate sulla proverbiale eleganza dello scrittore francese o sul suo grande acume psicologico, quasi come fosse un Proust ante-litteram. Ognuna di queste versioni è legittima ed il fascino di Marivaux sta proprio nella sua ambiguità. Io ho però spesso ricordato ai miei attori che il Nostro affidava spesso molte proprie opere – tra cui questa – ai Comédiens-italiens, che si distinguevano per schietta comicità e usavano la preziosa lingua di Marivaux puntando senza esitazione a far ridere, o comunque sorridere. E come non sorridere, come non provare tenerezza per le cure dimagranti, i rossori e i balbettii degli attempati Ermocrate e Leontine, che si dimostrano infine disposti ad abbandonare i propri pepli ed infilarsi in panni sgargianti e settecenteschi? Come non immedesimarsi nella loro disillusione finale? La parte conclusiva dello spettacolo merita alcune considerazioni speciali. Nel momento in cui Ermocrate e Leontine si rendono conto di aver amato una persona che non esiste, confermano il carattere metateatrale della commedia. Cosa c’è infatti di più teatrale che invaghirsi di una persona che finge di essere un’altra? E siamo sicuri che la stessa Leonide non rimpiangerà la travolgente girandola delle sue interpretazioni? Per meglio esprimere quest’atmosfera, questo destino di illusioni incrociate, mi sono preso la libertà, che spero Marivaux mi perdoni, di aggiungere un piccolo monologo conclusivo alla protagonista. Non solo per ribadire la mia tesi di regia “illusionista”, ma per attribuire un finale ad un capolavoro che me n’è sempre sembrato privo. Ne ho approfittato per inserire un’ombra di pessimismo in uno dei testi più solari ed ottimisti del drammaturgo. Sono infatti convinto che ogni passione amorosa sia un inganno reciproco e non è quindi detto che la nostra eroina, che ha travolto tutti col suo malizioso “pacifismo”, non debba andare, perfino lei, incontro ad una atroce disillusione.”  
     
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