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Notiziario Marketpress di Giovedì 28 Ottobre 2004
 
   
  Web alimentazione e benessere  
  VINI DEL NORD CONTRO VINI DEL SUD  
   
  Sono ormai alcuni anni che l’enologia italiana sta assistendo a quella che ormai non possiamo più definire sviluppo emergente ma una grande conferma e consolidata realtà, i vini meridionali. Abnegazione, coraggio e professionalità hanno permesso conferme eccezionali. Investimenti indubbiamente onerosi, l’umiltà di richiedere l’apporto professionale di enologi esterni, il coraggio di modificare una realtà vinicola contadina, con il vino inteso come prodotto famigliare, durata massima di un anno. La professionalità e il coraggio di aziende soprattutto medio piccole, consentono finalmente di far conoscere al pubblico italiano (e non solo) che i “grandi” non sono monopolio sabaudo-dantesco. Non solo sono riusciti nel loro intento, ma hanno mantenuto inalterato i valori autentici delle loro origini, autoctoni originali; i profumi e i sapori che sprigionano sono quelli della terra, del sole, della frutta, e dell’amore del produttore. Ci troviamo alla presenza di vini che hanno un’anima, vini con grandi prospettive d’invecchiamento che nulla hanno da invidiare ai Toscani. Non i soliti vini da wine bar, fatti e costruiti apposta per la vendita che al posto dell’etichetta dovrebbero riportare solo il nome dell’enologo, tanto sono uguali e riconoscibili. Certo tutto questo comporta difficoltà commerciali, più il vino mantiene le sue qualità autoctone, più è difficile l’affermazione sui mercati, quando sarebbe molto più semplice renderlo più rotondo, più abboccato per il gusto di tutti. Spero che restino e mantengano questi che non sono difetti, ma frutto della vigna, e ripeto anima della zona di produzione, usando il meno possibile le “uve da condimento”. Personalmente sono convinto che i vari nomi toscani e piemontesi dovrebbero farsi un esame di coscienza oltre che un riesame dei prezzi di vendita, non si lamentino se le vendite sono in calo, se l’export diminuisce, se il guadagno non raggiunge i livelli previsti (non parlo di passivo). Credo che un Nero d’Avola possa tranquillamente competere con un pluribicchierato Barolo, o un eccellente primitivo di Manduria con un Morellino di Scansano, le sensazioni che trasmette un Etna Bianco non sono inferiori all’Arneis, i profumi di un Tamurro Nero non hanno niente da invidiare al Barbaresco ipermedagliato. Certo Gaja produce ottimi vini, anche se alla portata di pochi, sarebbe comunque interessante conoscere a quanto corrisponde l’investimento per il marketing. Tutto questo non vuole togliere nulla ai pubblicitari, sanno fare molto bene il loro lavoro, indubbiamente un vino ottimo, restando praticamente sconosciuto, è destinato a restare un patrimonio autoctono, a non uscire dai confini regionali. Personalmente sono convinto che i vari nomi toscani e piemontesi dovrebbero farsi un esame di coscienza oltre che un riesame dei prezzi di vendita, non si lamentino se le vendite sono in calo, se l’export diminuisce, se il guadagno non raggiunge i livelli previsti (non parlo di passivo, ma di guadagni inferiori). E’ anche vero che il vino ha raggiunto costi stratosferici in enoteca e soprattutto al ristorante, mediamente il ristoratore triplica, in molti casi quintuplica, ormai il vino viene considerato il catalizzatore del guadagno. Costa poco, è pagato comodamente e non devono fare magazzino. Fortunatamente esistono anche ristoratori intelligenti, ne conosco un paio che applicano un rincaro del trenta per cento sul prezzo sorgente, e casualmente sono locali sempre pieni. Forse una seria politica commerciale paga sempre. Per onore della verità devo mio malgrado notare che in questo ultimo anno anche alcuni produttori del sud si sono montati la testa. Purtroppo ho trovato vini con un costo di venti euro, quando il produttore con le vigne distanti cinquanta metri lo vende a sette. Ho anche assaggiato passiti da trentacinque-quaranta euro (bottiglietta piccola), ottimi, ma con un prezzo folle e ingiustificato. Spero restino una minoranza, se i costi restano contenuti l’Italia non diventerà la prima consumatrice di acqua minerale, piantiamola con le idiozie, con cinque euro, otto al ristorante, si possono bere ottimi vini. L’influenza sabaudo-dantesca è tremendamente infettiva e fin’ora non è stato scoperto il vaccino. Ho sentito opinioni discordi sui vini siciliani, criticare la tannicità dei pugliesi, non considerare minimamente la qualità dei rossi della Basilicata. Certo non tutti sono da inginocchiatoio, ma non dimentichiamoci che anche al nord ci sono vini che del grande figlio di Bacco hanno, usurpandolo, solo il nome, e nella migliore delle ipotesi l’unico abbinamento gastronomico possibile è con l’insalata, assieme a sale e olio. Speriamo che questa lotta fra nord e sud possa portare vantaggi al consumatore, contribuendo a calmierarne i costi, e che il buonsenso economico/commerciale possa vincere. Il vino italiano è il migliore al mondo in assoluto, disponiamo di un patrimonio unico per varietà e quantità. Basta, piantiamola con questi francesi, chiedetegli quanti bianchi producono, sono solo bravi e più esperti nel marketing. Noi italiani sappiamo solo fare il vino e scusate se è poco.  
     
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