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Notiziario Marketpress di Giovedì 28 Ottobre 2004
 
   
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  BRERA MAI VISTA GIROVAGHI, ECCENTRICI, ‘PONENTINI’. FRANCESCO CASELLA, CREMONA 1517 MILANO, PINACOTECA DI BRERA, SALA XVIII, 28 OTTOBRE 2004 – 23 GENNAIO 2005  
   
  Milano, 28 ottobre 2004 - La tavola con il Martirio di santo Stefano firmata nel 1517 da Francesco Casella si trovava sull’altare in Sant’apollinare a Cremona, dove fu vista dalle guide locali precedenti la soppressione della chiesa nel 1805; entrata a Brera nel 1809, dal 1814 al 1888 fu concessa in deposito alla basilica di Santo Ste-fano a Mi-lano, al suo ritorno per un certo tempo venne esposta in pinacoteca, poi ricoverata nei depositi e dimenticata. Ora torna finalmente alla pubblica fruizione dopo un esemplare intervento di restauro condotto dal Laboratorio Nicola di Aramengo sotto la direzione di Luisa Arrigoni, direttrice della Pinacoteca di Brera. È un’opera affascinante e “senza storia”, eseguita da un pittore il cui ricordo era quasi scomparso fino al recupero attuato nel 1984 da Marco Tanzi, autore del catalogo-dossier, nell’ambito delle sue ricerche sul momento più fervido e rivoluzionario della pittura a Cremona, crocevia culturale al centro della Valpadana tra Quattro e Cinquecento. Casella non è artista stanziale, non si ferma a Cremona dove le carte d’archivio sono estremamente reticenti: lascia sue opere in Piemonte (tre tavole già a Vignale Monferrato ora nel Museo Borgogna di Vercelli; due tele nel Duomo di Asti) e, probabilmente, si stabilisce in Liguria per un soggiorno prolungato. Una sua tavoletta con Santa Caterina è esposta con la prestigiosa attribuzione a Bernardo Zenale nel museo della Bob Jones University di Greenville (South Carolina), mentre altre opere (poche) sono in musei italiani ed esteri. In una fase ricca di inquietudini per la cultura artistica dell’Italia settentrionale nel passaggio cruciale tra classicismo ed anticlassicismo, Francesco Casella si pone fra gli “eccentrici” che trapassano la civiltà delle grottesche guardando al nord, a Dürer e alle incisioni e si segnala durante tutta la sua carriera per una sor-ta di abilità camaleontica nel recepire le emergenze piú significative della cultura figurativa lombarda, piemontese e ligure. A dispetto del silenzio quasi totale delle fonti, Casella doveva essere maestro di una certa fama, come attesta l’importanza delle commissioni cremonesi. Nel Duomo lascia una pala ornatissima e luccicante d’ori proprio quando si allestiscono i ponteggi per la decorazione della navata centrale, dove nel giro di solo otto anni Boccaccio Boccaccino, Altobello Melone, Gianfrancesco Bembo, Gerolamo Romanino e il Pordenone cambieranno il volto della pittura nella valle del Po. Nel 1513 guarda all’antico con la curiosità del neofita, assemblando incisioni e placchette aggiornatissime in un ambiente del convento di Sant’abbondio, dove occhieggiano esclusivissimi filosofi, astronomi e sapienti dell’antichità. Subito dopo sparisce, passando probabilmente a lavorare in Liguria: nel 1514 forse è lui il Francesco da Cremona iscritto alla Matricola dei pittori genovesi che deve eseguire un quadro per una chiesa in Val Polcevera. Ricompare a Cremona nel 1517 con il Martirio di santo Stefano, nel quale conferma la sua pronta capacità di assi-milazione del mondo ligure e di quei contatti con le Fiandre, che solo a Genova può avere intrecciato, non senza l’aiuto costante delle stampe düreriane. La tavola di Brera è un manifesto affascinante e coloratissimo, terso e sgrammaticato, truce e caricaturale. Senza dimenticare, poi, che nella Cremona di Boccaccio Boccaccino, Gianfrancesco Bembo e Altobello Melone, ovvero di tre campioni riconosciuti di quel passaggio sconvolgente verso la rivoluzione anticlassica, la prima pala d’altare che non sia una placida ‘Sacra conversazione’, ma rappresenti una storia vera e propria in tutta la sua concitazione e con personaggi selvatici e ‘ponentini’, è proprio il Martirio di santo Stefano.  
     
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