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Notiziario Marketpress di
Mercoledì 10 Novembre 2004
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CON IL DOLLARO A 1,30 SULL’EURO L’ITALIA RISCHIA GROSSO |
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Bologna, 10 novembre 2004 - “Il dollaro a 1,30 sull’euro? Di questo passo l’Europa e l’Italia rischiano di essere emarginati dai commerci internazionali. Occorre quanto prima riportare l’euro alla quota di 1 a 1 dell’origine”. Bernardo Paradiso, presidente della Camera di Commercio Italiana di New York è tassativo e alla Convention Mondiale delle 71 Ccie (Camere di Commercio Italiane all’Estero) in corso fino a domani a Bologna spiega perché aveva da tempo previsto tutto e quali sono i rischi per l’Italia. “Lo sapevamo dall’inizio del 2004”, dice, “Ci sono in effetti vari fattori che influenzano il rapporto euro-dollaro: 1) la politica del governo Bush che vuole il dollaro debole per favorire l’export; 2) la percezione che nel mondo si ha del deficit americano, 3) la spesa pubblica Usa ingigantita dalla guerra in Iraq; 4) i bassi tassi praticati dalla Federal Reserve che tengono lontani i grandi investitori. Se l’Europa non corre ai ripari rischia dunque grosso, perché gli Stati Uniti si stanno orientando sull’Asia dove c’è un’economia competitiva di 1,5 miliardi di persone e un paese come la Cina che investe sul dollaro”. Edoardo Pollastri, presidente vicario di Ccie e presidente della Camera di Commercio Italiana del Brasile, si dichiara convinto che il dollaro basso sia frutto di una “vera manovra speculativa” per favorire l’export americano. “E’ una situazione del tutto squilibrata che impedisce all’Italia e all’Europa di essere competitive. Non vorremmo che alla fine il costo della guerra in Iraq fossimo noi europei a pagarlo”. Romano Mazzucco, presidente della Camera di Commercio Italiana di Tokio, spiega che per sull’export italiano in Giappone il dollaro alto ha un doppio effetto negativo. “Ci aiuta a pagare meno il petrolio”, dice, “ma lo yen segue parallelamente e fedelmente il corso del dollaro. Ormai ne occorrono ben 136 per comprare un euro e per i giapponesi è diventato molto meno conveniente acquistare prodotti europei. E’ vero che continuano a essere innamorati dell’Italia e di tutto ciò che è italiano, ma oggi, sommano a un potere d’acquisto ridotto una maggiore diffidenza: se una volta compravano tutto il made in Italy senza badarci troppo, ora sono molto più attenti. Un atteggiamento che per noi significa minor export”. Giovanni Orgera, vicepresidente della Banca di Roma di Shanghai e responsabile della locale Camera di Commercio Italiana, invita a riflettere su quanto sta accadendo in Cina dal momento che molti dei guai europei e italiani vengono imputati alla spinta impetuosa dell’economia cinese favorita dai bassi costi di produzione e da una valuta che, come lo yen giapponese, segue il corso al ribasso del dollaro. “Grazie a questi due fattori la Cina sta affettivamente guadagnando quote di mercato su tutto lo scacchiere mondiale”, ricorda, “Gli stati Uniti vorrebbero che Pechino rivalutasse lo yuan che con il dollaro a un cambio quasi fisso. Ma ciò avrebbe ripercussioni negative sul mercato interno che oggi è il vero motore dell’economia mondiale. La Cina ha una classe media di 180 milioni di persone che stanno facendo ciò che abbiamo fatto noi europei nel dopoguerra: comprano casa, la macchina, il frigorifero. In altre parole consumano ed è un processo irreversibile che sta cambiando la stessa società cinese. Un fenomeno che per l’Europa e l’Italia può avere effetti negativi, ma che contemporaneamente offre alle nostre economie un nuovo ed enorme mercato”.
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