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Notiziario Marketpress di
Giovedì 11 Novembre 2004
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Web alimentazione e benessere |
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L’INDUSTRIA ALIMENTARE ITALIANA APRE AL PUBBLICO AL VIA “APERTAMENTE: GUSTO CHIARO” – I RISULTATI DI UN’INDAGINE DEL CENTRO STUDI DI FEDERALIMENTARE
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Dai salumi ai vini, dai formaggi alle uova, passando per la pasta, l’olio, il pomodoro e tanti altri prodotti: un percorso all’insegna del meglio del Made in Italy alimentare. Parte l’iniziativa “Apertamente: Gusto Chiaro”, giunta alla sua seconda edizione. Per un’intera settimana, fino al 13 novembre, un centinaio di aziende di tutta Italia aprono le porte dei propri stabilimenti al pubblico, alla stampa e alle istituzioni. “L’iniziativa Apertamente – spiega il Presidente di Federalimentare, Luigi Rossi di Montelera – vuole far conoscere all’opinione pubblica l’impegno, la serietà e la competenza delle imprese e rendere noti i processi e le professionalità capaci di esaltare la qualità dei prodotti alimentari italiani. Un viaggio che permette di scoprire i piccoli e grandi “segreti” che rendono unico il gusto dei nostri prodotti”. A questo proposito Federalimentare ha realizzato un opuscolo che svela i dieci fattori chiave del successo dei piatti italiani presso un pubblico sempre più esigente e competente. Dalla sicurezza, come pre-requisito indispensabile, alla attenta scelta delle migliori materie prime presenti sul mercato, dall’informazione ai consumatori all’innovazione tecnologica e agli investimenti in ricerche e controlli: ecco alcuni dei punti di forza del settore alimentare, che non trascura di valorizzare il territorio e di tutelare l’ambiente. Un settore dalle mille professionalità che punta sui giovani. Un discorso particolare merita l’occupazione. Da questo punto di vista è evidente la grande vitalità del settore, che dà lavoro ad oltre 264 mila addetti e che finisce per rappresentare un riferimento forte per i giovani. Infatti, secondo un’indagine del Centro Studi di Federalimentare, realizzata in occasione dell’iniziativa “Apertamente: Gusto Chiaro”, solo il 9,2% del personale è over 55. Oltre un addetto su due ha tra i 35 e 54 anni e il 37% invece ha meno di 34 anni. Va anche messo in evidenza un dato che dimostra la grande stabilità del settore. Dal 1991 al 2001 i posti di lavoro nell’industria alimentare sono scesi del 2,9%, mentre nell’industria italiana nel suo complesso sono calati del 6,1% Andando nello specifico, il settore della Produzione impiega il maggior numero di addetti (43%), seguito da quello Controllo qualità e sicurezza (22%), in forte ascesa negli ultimi anni, e dal Commerciale (19%). La diversificazione dei prodotti è stata, quindi, resa possibile dalla nascita di nuove professioni ma anche dal ricorso a mestieri tradizionali: un vero e proprio universo che mescola professionalità all’avanguardia con un sapere frutto di secolare esperienza. Ecco quindi che figure tecniche, come l’addetto al Safety Hygien Enviroment che si preoccupa della salubrità dell’ambiente produttivo, convivono con gli assaggiatori, che verificano gli standard organolettici degli alimenti, o con altri lavori creativi e particolari, quali il Maitre Chocolatier (responsabile del successo di alcuni prodotti dolciari). Consumi: boom di nuove tipologie di prodotti che affiancano Dop e Igp. Dopo aver esaminato i punti di forza del settore alimentare di casa nostra, valutiamo la fase congiunturale che sta attraversando. Secondo le prime stime, contenute sempre nella ricerca del Centro Studi di Federalimentare, il fatturato del settore ammonterà nel 2004 a oltre 105 miliardi di euro: in crescita rispetto all’anno scorso (+1,9%), quando si era fermato a 103 miliardi di euro. E se si dà un’occhiata alla suddivisione del fatturato per tipologie di prodotti, non mancano le sorprese. Stiamo assistendo al boom dei “nuovi prodotti” che hanno oramai affiancato il valore economico di Dop e di Igp. L’alimentare “tradizionale classico” la fa ancora da padrone: paste, conserve ecc. Coprono circa il 66% del fatturato alimentare totale (pari a quasi 70 miliardi di euro). Ma al fianco di questa realtà sta emergendo il fenomeno del “tradizionale evoluto”. Nel 2004 questo fatturato registrerà un fatturato di circa 18 miliardi di euro. Di cosa si tratta? Sono prodotti tradizionali che stanno assumendo nuove forme in termini di confezionamento e servizio, ma anche di caratterizzazione per andare incontro alle nuove esigenze dei consumatori: i sughi pronti, gli olii aromatizzati, i condimenti freschi come il pesto, i prodotti e piatti precotti a lunga conservazione a temperatura ambiente, i surgelati “generici”, i formaggi duri e molli tradizionali a bassa percentuale di grassi, i nuovi tipi di pasta condita, la vasta gamma di prodotti dolciari nuovi, la cioccolata sposata ad altri prodotti come il caffè, lo stesso caffè in cialde per le macchinette da espresso, ecc. E non finisce qui. C’è anche il mercato dei “nuovi prodotti” con un valore stimato di 8,2 miliardi di euro (8% circa del fatturato totale). Sono cibi e bevande dall’alto valore aggiunto e dall’elevato contenuto di servizio che soddisfano le richieste dei consumatori sia dal punto di vista della conservazione e della preparazione del cibo, che da quello nutrizionale e salutistico: bevande energetiche o innovative, yogurt “funzionali”, alimenti alleggeriti (light) o arricchiti (fortificati), preparazioni gastronomiche (primi e secondi piatti freschi, surgelati e precotti), cibi salutistici (fitness, wellness), prodotti per categorie specifiche di consumatori (giovanissimi, anziani, celiaci, diabetici, ecc.) e nutriceutica (vitamine, integratori, barrette dietetiche, ecc.). Un vero e proprio boom italiano ed europeo che è esploso in pochi anni e ha affiancato la produzione del cosiddetto tipico, ossia gli alimenti Dop e Igp che si attestano intorno ai 9 miliardi di euro di fatturato (8,7%). Mercato interno statico. E sull’export pesa il fenomeno della falsificazione. Ma ci sono dati che fanno riflettere. Il mercato interno langue. Nei primi sette mesi del 2004 gli acquisti alimentari domestici sono diminuiti del 2,9% in quantità e dello 0,4% in valore. Molto dipende da una stagnante fase congiunturale e dall’inflazione. Se i prezzi alla produzione sono addirittura scesi dello 0,2% da gennaio ad agosto, dimostrando le doti calmieratici del settore alimentare, quelli al consumo hanno segnato un ulteriore rialzo (+2,1%). Un aumento, quest’ultimo, che incide fortemente sul comportamento degli italiani: secondo il monitor Doxa/federalimentare, tra i principali criteri di scelta del consumatore il fattore prezzo è salito al secondo posto (36%). “Le iniziative di contenimento dei prezzi – spiega Luigi Rossi di Montelera – contrastano con i meccanismi di stabilizzazione che il mercato ha già messo in moto. E questo sottolinea ancora di più quanto irrigidimenti artificiali e generalizzati del mercato siano sempre impropri, a meno di gravissime emergenze, e anche quanto siano male indirizzati: specie nei confronti di quei segmenti della filiera, come l’agricoltura e l’industria alimentare, che senza interventi esterni, evidenziano già autonomamente doti calmieratici”. Se il fronte interno è stagnante, il mercato estero si sta riprendendo. Dopo i risultati non positivi del 2003, l’export quest’anno crescerà del 2,9%, arrivando a quota 14,2 miliardi di euro, mentre il saldo commerciale sarà positivo (1,7 miliardi di euro). Ma su questa situazione pesa il fenomeno della falsificazione dei prodotti alimentari, che nel 2003 supera la quota di 56 miliardi di euro: 2,7 miliardi di contraffazione illegale vera e propria e 53,5 miliardi nel caso dell’Italian Sounding. Le incognite del futuro: Pac e delocalizzazione. E lo stesso scenario futuro presenta alcune incognite: dalla Pac al rischio delocalizzazione. “La riforma della Politica Agricola Comune – sottolinea Luigi Rossi di Montelera – ha sancito il principio del disaccoppiamento: aiuti all’agricoltore indipendentemente dalla produzione che la sua stessa azienda intende realizzare. L’industria dovrà convincere l’agricoltore di casa nostra a fornirle una certa materia prima, offrendo prezzi più remunerativi. Le stesse aziende dovranno flessibilizzarsi e ricorrere in maggior misura alle risorse fornite da un commercio internazionale più liberalizzato. Saranno sempre meno strettamente legate a rapporti “interni” di filiera. E c’è un altro aspetto da tenere in considerazione. Alcuni settori dovranno adattarsi a importare e trasformare semilavorati, non utilizzando più materie prime nazionali, visto che la produzione interna sarà probabilmente destinata a ridursi ancora di più.” Ma non finiscono qui le sfide per le imprese di casa nostra, impegnate a difendere l’italianità del prodotto. “C’è il rischio che alcuni comparti – precisa il Presidente di Federalimentare – siano tentati dal fenomeno della delocalizzazione. Bisogna evitarlo. La tutela del Made in Italy non va inteso come qualcosa di protezionistico. E’ la difesa della capacità di miscelare sapientemente le materie prime, nazionali ed estere, lavorandole secondo le ricette della nostra tradizione e le tecnologie avanzate grazie all’impegno di molteplici professionalità. Il risultato è il prodotto unico, garantito dal lavoro svolto da molteplici professionalità e dalla responsabilità ed affidabilità del produttore, inimitabile seppur molti Paesi stranieri tentino di contraffarlo”.
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