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Notiziario Marketpress di Giovedì 02 Dicembre 2004
 
   
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  PRESENTATA A MILANO L’INDAGINE DI ASTRA/DEMOSKOPEA DAL TABU’ ALLA CONSAPEVOLEZZA: LE ITALIANE E L’INCONTINENZA URINARIA DA SFORZO  
   
  Milano, 2 dicembre 2004 - L’incontinenza urinaria è ancora un tabù per le italiane. Più della metà delle intervistate la ritiene fonte di un disagio importante, in grado di causare gravi conseguenze psicologiche. Non solo: una donna su due sostiene che è un disturbo che fa sentire più vecchie le donne che ne soffrono, che impedisce di svolgere attività fisiche, che fa provare vergogna o, addirittura, schifo (ben il 37% delle intervistate), al punto di non parlarne né con gli amici o i familiari e neppure con il proprio medico. Sono alcuni dei dati più significativi emersi da un’indagine realizzata nel settembre 2004 da Astra/demoskopea per Lilly Italia, tramite 501 interviste telefoniche Cati su un campione rappresentativo delle donne italiane tra i 25 e i 79 anni, pari ad un universo di 20.7 milioni di adulte. La ricerca è stata presentata questa mattina a Milano, in occasione della conferenza “Dal tabù alla consapevolezza: le italiane e l’incontinenza urinaria da sforzo”. In Italia circa l’11% delle donne soffre di incontinenza urinaria da sforzo (Ius), la più diffusa incontinenza urinaria femminile, soprattutto tra i 40 e i 60 anni di età; essa consiste nel non riuscire a trattenere l’urina, quando si compiono dei movimenti che determinano una pressione intra-addominale (es. Ridere, starnutire, portare pesi, tossire). E’ buona nel complesso la conoscenza del disturbo da parte delle italiane: dall’indagine si evidenzia che tre donne su quattro dichiarano di conoscere con esattezza o almeno a grandi linee l’incontinenza urinaria da sforzo, ma una donna su tre (pari a 7.4 milioni di adulte), pur non soffrendone, si dice “preoccupata per il futuro, quando anche a me potrebbe capitare di avere questo disturbo”. Il profondo imbarazzo legato alla patologia porta da un lato a “nascondere” il problema a se stesse (43%), alle amiche e ai familiari (46%) e dall’altro addirittura anche al primo referente per la salute, cioè il proprio medico di famiglia (37%). Metà del campione lamenta nei confronti dei camici bianchi di sottovalutare troppo la patologia, a cominciare proprio dal medico di medicina generale (26%). “L’incontinenza urinaria da sforzo causa un forte impatto negativo in termini di qualità di vita” - afferma Dalila Greco, presidente della sezione milanese dell’Associazione Italiana Donne Medico - “Come ha evidenziato Enrico Finzi nella ricerca, le donne che ne soffrono percepiscono un invecchiamento precoce del proprio corpo, con una conseguente diminuzione dell’autostima, giungendo addirittura a vergognarsi di se stesse; la Ius arriva ad impedire, di fatto, il regolare svolgimento di molti degli atti quotidiani, per esempio svolgere attività fisica, fare ginnastica, addirittura riordinare la casa; per le donne c’è spesso l’obbligo di indossare assorbenti in modo regolare, di dover prevedere cambi di biancheria intima o di vestiti durante il giorno, di evitare particolari posizioni o movimenti, di dover limitare viaggi e spostamenti di piacere o di lavoro, di evitare situazioni di intimità con il partner, con tutte le conseguenze psicologiche, lavorative e sociali che ne possono conseguire”. La Ius è un fenomeno trasversale alle diverse età della donna: ben il 72% delle intervistate ne è consapevole. Una buona percentuale delle intervistate, inoltre, associa l’incontinenza urinaria da sforzo a specifici momenti della vita femminile, come la gravidanza (39%), la menopausa (35%), il dopo-parto (32%), l’essere sovrappeso (23%), l’abitudine a fumare (10%). Al di là della conoscenza del disturbo, emerge dalla ricerca un grande bisogno di informazione: ben il 54% del campione intervistato ritiene che i media possano svolgere un importante ruolo di informazione ed educazione collettiva su questo disturbo, per aiutare le donne a parlarne senza vergogna. Infine, l’esperienza personale della Ius: un’intervistata su nove, pari a circa 2.2 milioni di donne tra i 25 e i 79 anni, riconosce di aver avuto o di avere questo disturbo. “L’incontinenza urinaria da sforzo rappresenta la forma più comune di incontinenza ed è presente a tutte le età - spiega Roberto Carone, responsabile del Comitato Scientifico Fondazione Italiana Continenza - è un disturbo tipicamente femminile sia perché è legato alla variazione del quadro ormonale della donna durante le fasi della vita, sia perché gli organi pelvici delle donne sono più esposti alle conseguenze derivanti da particolari lesioni, come ad esempio la gravidanza e il parto naturale, oppure da situazioni di sovrappeso. La Ius - prosegue lo specialista - rappresenta un problema importante che compromette la qualità di vita: la donna che ne è affetta perde la sensazione di controllo del proprio corpo, manifesta una sensibile riduzione dell’autostima, si sente compromessa nei rapporti sociali e limitata nelle attività fisiche quotidiane, è influenzata negativamente nell’attività sessuale, è più isolata dal punto di vista relazionale”. A complicare la situazione la difficoltà ad “aggredire terapeuticamente” l’incontinenza urinaria da sforzo, sia per l’inadeguatezza degli strumenti terapeutici a disposizione, che per la scarsa considerazione da parte della classe medica. “L’incontinenza da sforzo ha visto finora due sole possibili strategie mirate a compensare l’alterata integrità della muscolatura perineale: una chirurgica, più o meno invasiva, ed una riabilitativa basata su esercizi di rieducazione muscolare perineale, che richiede una forte compliance da parte delle pazienti” afferma Carone. Come emerge dalle relazioni mediche presentate durante l’incontro, a queste terapie si aggiunge ora l’opzione farmacologica finora inesistente: si tratta di Duloxetina, inibitore bilanciato della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina, i due neurotrasmettitori principali regolatori dei movimenti dello sfintere uretrale, il muscolo circolare che assicura la chiusura dell’uretra; Duloxetina agisce aumentando la concentrazione dei due neurotrasmettitori, e ciò si traduce in una maggiore capacità di contrazione dello sfintere e quindi in un miglioramento della continenza; il farmaco è risultato ben tollerato e gli eventuali lievi o moderati effetti collaterali sono transitori e tendono rapidamente a risolversi. Duloxetina sarà disponibile nel nostro Paese nei primi mesi del 2005. “Obiettivo sull’incontinenza urinaria oggi è promuovere una maggiore consapevolezza nelle donne - afferma Carone, ma per fare questo è indispensabile che la donna chieda consiglio al medico e il medico sia preparato, culturalmente e psicologicamente, a far emergere la parte sommersa dell’iceberg, ad aiutare a superare il pudore legato alla comparsa di questo disturbo, a non far accettare le limitazioni imposte. E questo oggi è possibile anche grazie alle strategie a disposizione, sempre più mirate ed efficaci “ conclude. 
Abstract Prof. Roberto Carone:
“Qualsiasi involontaria perdita di urine”: questa la più recente definizione, secondo l’International Continence Society, dell’incontinenza urinaria, una patologia assai diffusa e socialmente invalidante. E’ un problema di grande impatto sociale ed economico che nelle sue varie forme colpisce oltre 200 milioni di persone nel mondo, per la gran parte (60-70%) donne. L’incontinenza urinaria emerge oggi come una patologia con una insospettata prevalenza ma anche con una sempre più diffusa richiesta di soluzioni di cura, finora poco percepita. Essa ha anche risvolti medici, sociali e relazionali tanto rilevanti quanto spesso non adeguatamente considerati. E’ da sottolineare in particolare il notevole impatto negativo sulla qualità di vita delle persone (e nei casi più gravi, come nei pazienti neurologici, anche sulla aspettativa di vita, per le gravi complicanze che può determinare) per molte delle quali l’incontinenza urinaria costituisce un problema fortemente disturbante le normali attività del lavoro e della vita quotidiana. L’incontinenza urinaria viene considerata un evento “degradante” o comunque tanto imbarazzante da non essere riferito neppure al medico di famiglia, se non in risposta a precise domande e comunque sempre con notevole difficoltà. Una distinzione cruciale è infatti quella tra pazienti incontinenti “conosciuti” dal servizio socio-sanitario (poiché seguiti dai medici di medicina generale e dagli assistenti sociali, nelle strutture sanitarie del territorio, e così via) e pazienti “sconosciuti” al servizio socio-sanitario (popolazione generale) che rappresentano sicuramente la grande maggioranza. Ci si trova quindi di fronte ad un grande iceberg la cui parte sommersa sfugge ad ogni tentativo di stima; tutte le età sono interessate seppure con frequenza crescente in relazione all’età. L’incontinenza urinaria non riguarda solo i più anziani o i non autosufficienti; purtroppo le più reticenti sono proprio le donne di giovane età, perché l’incontinenza urinaria è “uno degli ultimi tabù, duro a morire” (Oms). Le principali forme di perdita involontaria di urina, identificate in base alle diverse manifestazioni cliniche, sono: incontinenza urinaria da sforzo: consiste nella perdita involontaria di urina quando si compiono movimenti che aumentano la pressione intra-addominale, come ad esempio fare uno sforzo, portare pesi, fare attività fisica, oppure semplici gesti come uno starnuto, un colpo di tosse o una risata; incontinenza urinaria da urgenza: caratterizzata da una perdita di urina conseguente ad una improvvisa ed impellente necessità di urinare, associata spesso a pollachiuria, cioè la necessità di urinare otto o più volte al giorno e più di due durante la notte; incontinenza urinaria mista: associa i sintomi di quella da sforzo e di quella da urgenza. La prevalenza della incontinenza urinaria nella donna varia a seconda degli studi epidemiologici effettuati nel mondo. Si stima comunque che circa il 25% della popolazione femminile ne sia affetta e che il 6-10% delle donne lo sia in modo severo. I dati epidemiologici nell’uomo sono decisamente meno definiti, ma si calcola che la prevalenza del fenomeno incontinenza nell’uomo sia inferiore a quella femminile di circa la metà. L’incontinenza urinaria da sforzo In questo tipo di incontinenza si ha la perdita involontaria di urina in coincidenza con l'aumento della pressione addominale, come nel caso di sollevamento di pesi, ma anche di starnuti o colpi di tosse. In questi casi all’origine dell’incontinenza vi è in genere una lesione dell’integrità del pavimento pelvico come può accadere in conseguenza di un parto, di situazioni di tosse cronica, di interventi chirurgici, o di alterazioni dei tessuti determinata dall’età e dalla carenza ormonale post-menopausale. L'incontinenza urinaria da sforzo rappresenta il tipo più frequente e rilevante nelle donne, ancorché sottostimato rispetto alla sua verosimile entità reale. Una situazione che tra l’altro non è assolutamente tipica dell’età anziana bensì colpisce le donne a partire dalla giovane età, pur aumentando la prevalenza intorno ai 40-50 anni. La forte reticenza a parlarne - è emerso dagli studi che i due terzi delle donne affette non hanno mai consultato in proposito il loro medico di famiglia e tra quelle che lo hanno fatto una buona quota ha aspettato anche diversi anni prima di farlo – e il forte impatto negativo in termini di qualità di vita sono due elementi principali che contraddistinguono il problema. L’incontinenza da sforzo ha visto finora due sole possibili strategie mirate a compensare l’alterata integrità della muscolatura perineale: una chirurgica, più o meno invasiva, ed una riabilitativa basata su esercizi di rieducazione muscolare perineale, che richiede una forte compliance da parte delle pazienti. A queste terapie si aggiunge ora l’opzione farmacologica, finora inesistente: la duloxetina, inibitore bilanciato della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina che agisce aumentando il tono dello sfintere uretrale, determinando quindi un aumento della continenza. Incontinenza urinaria da urgenza L'incontinenza da urgenza è molto comune tra gli anziani e determina una perdita involontaria di urina che avviene subito dopo aver avvertito il bisogno “urgente” (“imperioso”), non controllabile, di urinare. Alla base può esservi un evento transitorio che agisce direttamente sulla vescica, come ad esempio un’infezione, o uno stato di “irritabilità vescicale” o alterazioni del sistema nervoso centrale o periferico. La conseguenza, in ogni caso, è il continuo comparire, sia di giorno sia di notte, di improvvisi e non controllabili stimoli alla minzione, tali da non consentire di posticipare l’atto minzionale. In questo tipo di incontinenza, in cui l’iperattività vescicale (contrazioni involontarie del muscolo della vescica, chiamato detrusore) è determinante, sono stati proposti nel tempo svariati farmaci in grado di controllare questo fenomeno, come i farmaci ad azione antimuscarinica (ossibutinina, tolderodina, trospium, solifenacina), in grado di rilassare il detrusore, ridurne le contrazioni involontarie ed aumentare la capacità della vescica. Tali farmaci associati a tecniche riabilitative sono molto spesso efficaci e soltanto in rari casi è necessario ricorrere alla terapia chirurgica. Un accenno ai costi dell’incontinenza urinaria I costi diretti e indiretti della Iu sono elevatissimi. Da numerose pubblicazioni nordamericane risulta che l’incontinenza urinaria è tra le condizioni patogene per le quali il servizio sanitario spende di più. Dalla “Stima ministeriale italiana dell’assistenza protesica erogata attraverso il nomenclatore tariffario delle protesi” si evince che l’importo per gli ausili per incontinenti rappresenta circa il 64% di tutta la spesa sostenuta dal Servizio Sanitario Nazionale per l’erogazione delle protesi. Una corretta analisi dei costi è gravata da una lunga serie di fattori implicanti una loro sottostima: la percentuale di incontinenza urinaria sommersa, specialmente nei soggetti di età inferiore ai 65 anni; le spese sostenute dal privato cittadino e non risultanti nelle spese del Ssn, per esempio per gli ausilii; la difficile quantificazione dei costi intangibili. Se consideriamo i costi diretti si può rilevare che i costi principali sono legati da un lato alle più precoci istituzionalizzazioni ed alle prolungate ospedalizzazioni, dall'altro alle conseguenze della Iu e della sua gestione ed infine ai costi per ausilii: negli Usa, la spesa totale nel ‘95 per i soli costi diretti della Iu e solo negli ultrasessantacinquenni è ammontata a 26.292 milioni di dollari (circa 40.000 miliardi di lire). A ciò si deve pertanto aggiungere tutta la componente, non totalmente nota e quindi solo parzialmente quantificabile, dei soggetti più giovani, percentuale rilevante considerato che, soprattutto nel sesso femminile, la prevalenza è alta. Non sono disponibili analoghi dati per l'Italia, ma è sufficiente ricordare che il Ssn nel ‘95 ha speso 469 miliardi in ausilii per incontinenti, di cui 322 per pannoloni e che ciò ha rappresentato il 64% dell'importo totale annuo speso per l'assistenza protesica in generale.
 
     
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