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Notiziario Marketpress di
Lunedì 06 Dicembre 2004
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Web e diritto per le nuove tecnologie |
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TUTELA DELLA PRIVACY: ASSEGNI BANCARI E AGGIORNAMENTO DATI |
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Il Garante della privacy ha sbloccato l'attività di un imprenditore iscritto nell'archivio informatizzato degli assegni bancari e postali e delle carte di credito (cosiddetta CAI) e privato dell'autorizzazione ad emettere assegni per non essere riuscito a dimostrare alla banca, seguendo una certa forma, di aver pagato un assegno. Nell'impossibilità di far fronte ai propri impegni presso fornitori e dipendenti, si era rivolto con procedura d'urgenza al Garante, il quale ha riconosciuto la legittimità delle sue richieste e ha ordinato l'immediata cancellazione del nominativo dall'archivio informatizzato. L'archivio, chiamato Centrale d'allarme interbancario, è stato costituito a seguito della depenalizzazione del reato di emissione di assegni senza provvista. È successo al titolare di due società con oltre 200 dipendenti, che dopo aver emesso un assegno di 12 mila euro veniva contattato dalla banca che gli comunicava il mancato pagamento per mancanza di fondi e, nel contempo, lo informava della facoltà di poter provvedere al pagamento tardivo per evitare l'iscrizione nell'archivio CAI e il conseguente divieto di emettere assegni. Nel giro di pochi giorni l'imprenditore, dopo aver ripianato la situazione, consegnava alla banca una dichiarazione del creditore che attestava l'avvenuto pagamento. L'istituto di credito però eccepiva la regolarità della dichiarazione e, dopo una serie di vicende burocratiche (legate soprattutto all'autenticità di una firma e alla consegna di atti in copia anziché in originale) decorsi ormai i termini di legge per regolarizzare la situazione (60 giorni), iscriveva l'imprenditore nell'archivio degli assegni bancari e contestualmente gli revocava l'autorizzazione ad emettere assegni. L'Autorità, pur riconoscendo che l'inserimento del nominativo dell'imprenditore nell'archivio informatizzato è avvenuto lecitamente e nel rispetto della normale prassi bancaria, ha ritenuto pienamente legittimo intervenire successivamente sui dati inseriti nell'archivio, i quali documentano ora una situazione non corrispondente alla realtà: ai fruitori dell'archivio l'imprenditore appariva infatti come un soggetto che non aveva provveduto al pagamento, neppure tardivo, dell'assegno. Pagamento che era stato invece effettuato per intero nei termini indicati dalla banca, anche se la documentazione in grado di dimostrarlo, per una serie di vicende, non era stata accettata ed era giunta con lieve ritardo. Vari riferimenti normativi del Codice sulla protezione dei dati e la stessa disciplina di settore prevedono espressamente, infatti, l'eventualità di una correzione o l'eliminazione di informazioni inesatte o inserite illecitamente. Non appare quindi giustificata la tesi sostenuta dai titolari del trattamento di conservare i dati nel CAI per il periodo di efficacia del provvedimento di revoca dell'autorizzazione ad emettere assegni (sei mesi) sulla base di un regolamento, norma peraltro di rango secondario rispetto al Codice, che disciplina la conservazione dei dati in archivio in termini generali. L'Autorità avvierà una nuova forma di cooperazione con gli enti interessati per esaminare organicamente il futuro sviluppo di queste tematiche.
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