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Notiziario Marketpress di
Lunedì 06 Dicembre 2004
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NUOVI SCENARI NELLA TERAPIA ONCOLOGICA LA TERAPIA FOTODINAMICA (PDT)PUO' DISTRUGGERE IL TUMORE RISPARMIANDO IL TESSUTO SANO UNA NUOVA ERA NELL'ONCOLOGIA SELETTIVA |
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Roma, 6 dicembre 2004 – (Hotel Melià Aurelia Antica) - Col termine fototerapia, s'intendono tutte le procedure che, per il trattamento dei tumori, impiegano radiazioni non ionizzanti ma semplicemente luminose. La terapia fotodinamica (in sigla Pdt, acronimo dell’inglese Photodynamic Therapy) è una particolare forma di fototerapia, potenzialmente in grado di distruggere qualsiasi tipo di tessuto neoplastico, risparmiando al contempo quello sano. Si tratta della prima terapia selettiva dei tumori, basata sull’attivazione di una sostanza fotosensibilizzante attraverso la luce. In linea generale, la procedura viene attuata attraverso l’applicazione successiva di due componenti: 1. Prima un fotosensibilizzante; 2. Poi una luce attivante. Privo di qualsiasi tossicità intrinseca sia per i tessuti sani che per quelli malati, il fotosensibilizzante ha la prerogativa di localizzarsi con grande selettività in quelli malati. E' come se nel cuore del tessuto neoplastico venisse piazzata una bomba chimica a tempo. E finché la sua spoletta non viene avviata dai raggi luminosi di una particolare lunghezza d'onda, rimane del tutto inerteQuando si procede alla stimolazione con raggi luminosi di una certa lunghezza d’onda, il fotosensibilizzante si attiva, liberando molecole tossiche che distruggono rapidamente il tessuto patologico, mentre il tessuto circostante (dove non si è fissato fotosensibilizzante e neppure arrivano i raggi luminosi attivanti) non viene danneggiato. Fino ad oggi nelle settimane successive alla somministrazione della sostanza il paziente doveva comunque evitare di esporsi alla luce solare diretta. La sostanza fotosensibilizzante si fissava infatti prevalentemente al tessuto tumorale, ma in parte anche agli altri, determinando così uno stato transitorio di fotosensibilizzazione generale. La Pdt si è inizialmente sviluppata utilizzando fotosensibilizzanti di natura porfirinica, cosiddetti di “prima generazione”, come il Photofrin, approvato per la prima volta in Canada nel 1993 nel trattamento del tumore vescicale. Il definitivo successo è derivato dall'introduzione dei fotosensibilizzanti di “seconda generazione”, come le clorine, che garantiscono un'azione antitumorale maggiormente selettiva, una più efficiente fotoattivazione ed un'incidenza significativamente minore di effetti collaterali. Adesso la terza generazione di queste sostanze sta aprendo un capitolo ulteriormente nuovo di estremo interesse perché, determinando una fotosensibilizzazione estremamente breve, consente al paziente di esporsi tranquillamente alla luce solare diretta già pochi giorni dopo il trattamento. L'ultima generazione di fotosensibilizzanti possiede infatti un migliore profilo farmacocinetico, con maggior penetrazione tessutale ed un più rapido tempo di eliminazione, ottenendo minori effetti collaterali da fotosensibilizzazione cutanea. Ormai la tecnica ha raggiunto uno standard di applicabilità clinica (soprattutto per quanto riguarda le lesioni endocavitarie) che, nell'ambito delle nuove terapie dei tumori, le impartisce una posizione di rilievo. La sua evoluzione è stata certamente rallentata dal problema della fotosensibilizzazione cutanea, che costringeva i pazienti trattati a non esporsi alla luce solare per evitare l’insorgenza di lesioni cutanee talora importanti. Ma i nuovi farmaci, capaci da una parte di ridurre al minimo il problema della fotosensibilizzazione e dall’altra di avere un'efficacia maggiore di quelli della generazione precedente, hanno finalmente rimosso l'ostacolo che per alcuni anni aveva impedito una larga applicazione di questa procedura. Finora la tecnica non aveva ancora ottenuto un ampio utilizzo nei grossi centri oncologici per una ragione apparentemente banale: mancava la spoletta adatta ad innescare la "bomba chimica" che uccide selettivamente il tumore. Alcune caratteristiche del fotosensibilizzante utilizzato fino ad oggi (il Fotofrin) non lo rendevano ideale per un'applicazione ottimale. Il Fotofrin assorbe infatti in modo molto limitato la luce rossa con frequenza di 630 nm. Dal punto di vista terapeutico, questo particolare è molto importante, in quanto, per una penetrazione tissutale ideale, occorre utilizzare luce rossa con un'assorbanza di 600-700 nm. Un altro problema importante è rappresentato dalla durata della fotosensibilizzazione indotta dal Fotofrin sulle cellule (in media da 4 a 8 settimane) e dalla sua imperfetta selettività per le sole cellule cancerose, che lo porta talvolta a raggiungere anche tessuti sani tra cui le cellule della cute, dove induce la comparsa di necrosi ed ulcerazioni. Questo effetto collaterale di fotosensibilizzazione generale costringeva il paziente a vivere per tutto il periodo del trattamento di fotosensibilizzazione al riparo dalla luce solare diretta. Come già detto, il rinnovato interesse per la Pdt in oncologia deriva dalla messa a punto dei fotosensibilizzanti di seconda generazione, dotati di una maggior capacità di penetrazione tissutale e minori effetti collaterali, in particolare per quanto riguarda l'indesiderato effetto di fotosensibilizzazione generale. La m-Thpc (meta-tetraidrossifenilclorina, Foscan, Biolitec Pharma), ha ormai inaugurato addirittura i fotosensibilizzanti di terza generazione. L'attività farmacologica di questa sostanza inizia a 96 ore dalla sua somministrazione endovenosa, allorché viene fotoattivata da una luce non termica con lunghezza d’onda di 652 nm che, quindi, riesce a penetrare ancora più in profondità di quanto non potessero fare i raggi luminosi che attivavano il fotofrin. Il meccanismo d’azione è comunque simile a quello dei fotosensibilizzanti delle precedenti generazioni e consiste nella formazione di radicali reattivi (ossigeno singoletto) che esercitano un'azione citocida /citotossica sulle cellule che l'hanno incorporato. La terapia fotodinamica trova particolare indicazione nella cura delle lesioni premaligne o dei tumori in stadio iniziale, soprattutto quando le neoplasie presentano un'ampia estensione superficiale, con margini indistinti (quindi difficilmente evidenziabili ai fini dell'escissione radicale per via chirurgica) e se sono pluricentriche. In questi casi la Pdt rappresenta l’unico trattamento davvero in grado di ottenere completa eliminazione del tessuto tumorale, preservando al contempo l’integrità dei tessuti sani circostanti. La Pdt con Foscan è già stata utilizzata con risultati positivi notevoli anche palliativi (incremento della sopravvivenza e della qualità di vita) in pazienti colpiti da tumori della regione testa-collo nei quali tutte le altre terapie convenzionali (chirurgia, radioterapia e chemioterapia) erano fallite. Questa procedura ha il vantaggio di essere un trattamento locale che risparmia i tessuti normali circostanti mentre distrugge il tessuto maligno dove il fotosensibilizzante si è accumulato. La selettività d’azione è assicurata anche dal fatto che l'attivazione di verifica solo nelle aree raggiunte dalla luce che è indirizzata solamente verso il tumore, dove peraltro si è selettivamente accumulato il Foscan. Si tratta di un approccio terapeutico innovativo e con scarsi effetti collaterali per il paziente, che non necessita di costose terapie di supporto: in termini di costi/benefici, nei tumori della regione testa e collo la Pdt con Foscan fotoattivato da luce laser rappresenta, rispetto al trattamento palliativo con chemioterapia o chirurgia, la metodica terapeutica maggiormente economica. E' buona norma che il paziente eviti l'esposizione diretta di mani, piedi, braccia, occhi e viso alla luce solare per circa 15 giorni, un periodo comunque inferiore alle 4-8 settimane necessarie per far regredire l’effetto fotosensibilizzante che induceva il Fotofrin. Per evitare comunque qualsiasi eventuale danno da fotosensibilizzazione sono state ormai elaborate tabelle ben dettagliate di follow-up che sia il medico operatore sia il paziente devono conoscere e seguire scrupolosamente. Dal punto di vista della qualità della vita, parametro sempre più importante per i pazienti oncologici, la Pdt con Foscan del distretto testa/collo rappresenta sicuramente un’innovazione terapeutica caratterizzata da un beneficio enorme rispetto all’approccio traumatico di chirurgia, radioterapia e chemioterapia, specialmente per trattamenti palliativi dei tumori in stadio avanzato e resistenti alle terapie convenzionali e, in casi selezionati, non va neppure escluso il suo impiego a scopi curativi. Un'ulteriore applicazione della selettività dei fotosensibilizzanti è rappresentato dal loro utilizzo come marcatori delle cellule neoplastiche quando si deve procedere ad escissione chirurgica con la guida di microscopio intraoperatorio. Grazie all'orientamento fornito dalla guida fotoscopica a luce ultravioletta da 370-440nm della Pdd utilizzata nel caso di interventi su tumori cerebrali (vedi dopo), è stata possibile una resezione radicale del tumore in ben il 75% dei casi, in confronto al 30% degli interventi tradizionali. La somministrazione di farmaci fotosensibilizzanti a pazienti portatori di lesioni maligne o premaligne può essere infatti utilizzata con due obiettivi: far seguire alla fissazione del farmaco da parte della lesione, l’irraggiamento per l’attivazione a scopo terapeutico individuare, attraverso rilevazioni elettro-ottiche, lesioni tumorali di piccole dimensioni e talora anche non visibili con i comuni mezzi endoscopici. Questa modalità diagnostica è basata sulle proprietà dei farmaci fotosensibili di emettere radiazioni fluorescenti che indicano la sede su cui mirare le prese bioptiche per una conferma diagnostica istologica e l’area-bersaglio per il successivo trattamento fotodinamico. Il trattamento, grazie alla specificità con cui il farmaco si localizza prevalentemente sul tessuto patologico, é estremamente selettiva e non danneggia il tessuto sano circostante. Al centro dell’attuale interesse della terapia oncologica c'è il mantenimento dell’integrità fisica del soggetto con la rimozione del cancro e la conservazione della struttura in cui è situato. Oggi, grazie ai progressi della diagnostica, in particolare di quella endoscopica e delle metodiche correlate, è diventato sempre più importante identificare la malattia in fasi sempre più iniziali. Quando la malattia è ancora localizzata e la diffusione metastatica non è iniziata, appare sempre più importante poter trattare il cancro nella sua sede d'insorgenza attraverso metodiche dirette soltanto alla sua distruzione laddove è insorto per la prima volta. Ciò è divenuto possibile perché oggi sono disponibili trattamenti selettivi capaci di distruggere il tessuto maligno senza danneggiare il tessuto sano che lo ospita. La diagnostica endoscopica si va affinando sempre di più e può identificare, oltre al cancro invasivo di piccole dimensioni e con estensione locale (early cancer), anche le alterazioni premaligne dei tessuti. Queste, in alcune sedi, vengono considerate vere e proprie lesioni maligne non ancora invasive, ma con alta potenzialità sia di diventarlo che di essere associate a lesioni invasive viciniori. Oggi, attraverso l'ecoendoscopia, è possibile definire con precisione anche l’entità dell'infiltrazione di un tumore negli strati della parete di un viscere cavo. Grazie ai fotosensibilizzanti si può infatti selezionare con estrema precisione i casi che possono essere trattati efficacemente per mezzo della Pdt. Infatti, due sono i fattori essenziali per ottenere una risposta terapeutica nella Pdt: la penetrazione del farmaco nella lesione e la sua attivazione da parte della luce, che è in stretta relazione allo spessore del tessuto da trattare L’eco-endoscopia può fornire questi parametri con estrema precisione, permettendo da un lato di selezionare accuratamente i casi da trattare e dall’altro di acquisire un’informazione predittiva sull’esito del trattamento, collegata alla possibilità di penetrazione della luce in tutto il tessuto impregnato dall’agente fotosensibile. Va poi ricordato che questa terapia, anche se ha trovato la sua prima applicazione nel cancro, viene ormai utilizzata anche in varie malattie non neoplastiche, sia della cute, sia dell’occhio che di alcuni organi interni.
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