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Notiziario Marketpress di Lunedì 13 Dicembre 2004
 
   
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  INTASAMENTI NELLE PIU’ PICCOLE CORONARIE: CON UNA RADICE DALL’ISOLA DI PASQUA RIAVVIA LA CIRCOLAZIONE 90,8 PER CENTO DI SUCCESSI  
   
  Milano, 13 dicembre 2004 - “In un mondo ideale, la probabilità che, dopo riperfusione arteriosa con ‘palloncino’ & stent, si riformi la lesione occlusiva è molto bassa: quasi vicina allo 0. “Ma purtroppo questo mondo ideale esiste solo in un terzo (30 per cento = 3 su 10) dei pazienti che curiamo così: gli altri due terzi sono invece quel 70 per cento (7 su 10) dei pazienti che vive una realtà di grave malattia per le proprie piccole arterie-coronarie aterosclerotiche: già infartuati e/o operati di bypass, diabetici, anziani sulla Iv Età, donne, tutti legati a più alti rischi di riocclusione.“Per queste loro arterie coronariche già sottili fisiologicamente, e ulteriormente rimpicciolite/assottigliate di diametro dalla gravità della malattia, mancavano dati scientifici specifici e precisi sull’efficace applicabilità degli stent ‘medicati’, cioè predisposti per un effetto non solo meramente di fisico sostegno alle pareti dei vasi danneggiate, ma anche ‘carichi’ di sostanze farmacologicamente attive per impedirvi un nuovo accumulo di placche aterosclerosiche. “Questo nostro lavoro - pubblicato ora (8/12) da www.Jama.com  a propria richiesta – è il primo specificamente dedicato a tali condizioni di alta sfida per la rivascolarizzazione percutanea. “Dico a buon diritto ‘di alta sfida’ poiché questi pazienti a rischio con coronarie già piccole, assottigliate/’pericolanti’ erano praticamente orfani di trattamento: perché il by pass aortocoronarico vi ha un’alta probabilità di riocclusione, l’angioplastica un’altissima probabilità di riocclusione (circa il 50 per cento = 1 su 2) e analogamente i tradizionali stent se e quando applicabili”. Premesso quest’ampio quadro della situazione, il professor Diego Ardissino, direttore Divisione Cardiologia dell’Ospedale Maggiore - Università di Parma, spiega coi suoi risultati determinanti la ricerca condotta per un anno e mezzo (8/’02-12/’03) come capofila di 20 Centri Cardiologici esclusivamente Italiani, che tanto ha richiamato l’attenzione dell’American Medical Association, anche perché ‘destinata a rivoluzionare in meglio le prospettive terapeutiche di una vasta classe di malati in continuo aumento’: nella sola Italia circa 20.000 l’anno.“Nei pazienti che stanno per essere sottoposti a procedure di rivascolarizzazione – spiega Ardissino - è frequente rilevare lesioni aterosclerosiche ai danni delle piccole arterie coronariche: sulle quali è però problematico intervenire. “Infatti mentre il chirurgico ricorso ai bypass è in esse tecnicamente difficoltoso e accompagnato da elevati tassi di fallimenti e mortalità, analogamente le rivascolarizzazioni per via percutanea (angioplastica/‘palloncino’- stent) comportano alta incidenza di complicanze acute e riocclusioni”. “Insomma – puntualizza Ardissino – i tentativi di ‘riallargare’ queste più piccole arterie coronariche, nel 50 per cento dei casi non riescono: un problema finora pesante per noi cardiologi intervenzionali. “Nelle coronarie di dimensioni maggiori, e nelle lesioni aterosclerosiche di nuova insorgenza o diagnosi – ricorda Ardissino - è invece noto che gli stent medicati ottengono vasti successi e approvazioni. Anzi i dati più recenti hanno segnalato l’efficacia degli stent medicati pure in condizioni di molto maggiore impegno, come lesioni estese e complesse.“Una mirata analisi dei risultati validamente disponibili ci ha allora portato a presumere che gli stent medicati potessero efficacemente prevenire la ristenosi pure nei vasi più piccoli. E nella fattispecie la nostra attenzione è stata richiamata dai risultati ottenuti dagli stent medicati con rapamicina, antibiotico macrolide (ricavato da una radice dell’Isola di Pasqua-rapa Nui e già in uso come anti-rigetto nei trapianti perché in grado di bloccare selettivamente il ciclo cellulare) che, emesso nel nostro caso dallo stent medicato, migra nella parete vascolare e vi impedisce che il trauma esercitato dall’angioplastica avvii quella reazione dei tessuti che provoca le riocclusioni: ecco perchè nel nostro trial con rapamicina ne sono avvenute appena un 9,8 per cento rispetto al 51 per cento [più del quintuplo, ndr] dei controlli”.“Il nostro trial prospettico-multicentrico-randomizzato nelle 20 Cardiologie distribuite sul territorio nazionale – riprende Ardissino - adesso ‘onorato’ dalla pubblicazione richiestaci da Jama, il tanto prestigioso periodico dell’American Medical Association, l’abbiamo appunto concepito per mettere alla prova l’ipotesi se l’impianto di uno stent a emissione di rapamicina in piccole coronarie malate possa comportarvi un blocco della ristenosi per un prolungato periodo di almeno 8 mesi, in raffronto a normali stent per il resto di identica struttura, tanto da essere radiograficamente indistinguibili”.I 257 pazienti complessivamente coinvolti, di cui 184 uomini e 73 donne, d’età media 63 anni e mezzo, comprendevano [spesso ovviamente concomitanti/sovrapposti nella stessa persona; ndr] 109 casi di sindromi coronariche acute, 119 di angina cronica stabile, 29 ischemie miocardiche silenti, 74 pregressi infarti cardiaci, 55 con precedenti interventi coronarici di ‘ricanalizzazione’ angioplastica, 21 con precedenti operazioni di bypass coronarici.Preceduto da tutti i necessari accertamenti, l’impianto degli stent, di opportuni diametri dai 2,25 ai 2,75 millimetri e lunghi dagli 8 ai 33 millimetri, è avvenuto secondo le usuali tecniche appropriate, compresa la fondamentale dilatazione con ‘palloncino’ prima di mettere ‘a dimora’ lo stent. Tutti i pazienti sono stati seguiti clinicamente, comunque fino al ‘protocollare’ limite ufficiale di 8 mesi, personalmente dal coordinatore di ciascuno dei 20 Centri. “I risultati, quali sono estesamente pubblicati da Jama – conclude Ardissino – sono in sintesi i seguenti. In pazienti portatori di lesioni aterosclerosiche delle piccole arterie coronariche e ad alto rischio di ristenosi - ad esempio in donne, diabetici, anziani e persone affette da un’arteriopatia periferica già obliterante negli arti inferiori – l’impianto di stent a rilascio di ripamicina é sicuro, efficace e comporta un’incidenza di ristenosi/occlusioni drasticamente inferiore rispetto ai semplici stent.La percentuale di ristenosi delle piccole coronarie scende infatti dal 53,1 per cento (=oltre la metà di ricadute) coi ‘non medicati’ a soltanto il 9,8 per quelli medicati con rapamicina, quindi un 90,2 per cento di successi, rilevabilmente durevoli.La conseguente alta riduzione sia assoluta che relativa della condizione di rischio dei pazienti è tanto più rimarchevole dati la popolazione ad alto rischio e il tipo di lesioni prescelti per affrontare il trial.Non solo si è ottenuta la notevole riduzione delle ristenosi e rischi di riocclusione, ma pure una più bassa incidenza di gravi sopravvenienze cardiovascolari negative: principalmente infarti del miocardio. I positivi effetti degli stent medicati con rapamicina sono stati ottenuti senza alcun aumento delle possibili complicazioni, compresa l’altrimenti frequente trombosi degli stent, temutissima in particolare per i pazienti cui vengano applicati proprio nei piccoli vasi.Evidentemente più che soddisfatto dei risultati ottenuti col proprio vasto team italiano, il professor Ardissino pensa già a un prossimo trial e infatti concludendo (per ora) fa osservare: ”Esattamente perché l’impianto di stent alla rapamicina mostri di prevenire lo sviluppo di infarti del miocardio resta ancora scientificamente non del tutto chiarito, e occorrono approfondite specifiche conferme. Abbiamo comunque insegnato che in condizioni di alto rischio e sfida, quali la rivascolarizzazione delle piccole arterie coronariche in pazienti con stabile angina pectoris o sindrome coronarica acuta, l’impianto di stent medicati alla rapamicina rappresenta un progresso consistente per questa popolazione di pazienti (circa 20.000 casi l’anno), ma resta da osservare l’efficacia nel sempre più lungo termine e da valutare il bilancio costi/benefici: per questo il nostro lavoro naturalmente prosegue.”  
     
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