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Notiziario Marketpress di Giovedì 16 Dicembre 2004
 
   
  Web alimentazione e benessere  
  FORMAGGI E FILIERE D.O.P. NEL MERCATO GLOBALE PER LO SVILUPPO LOCALE INTERVENTO DI PAOLO DE CASTRO - PRESIDENTE FONDAZIONE QUALIVITA  
   
  Il comparto dei formaggi, così come accaduto più in generale per l’intero settore agroalimentare italiano, ha subito negli ultimi anni un significativo incremento della pressione competitiva sia sul mercato interno, dove per “interno” bisogna ormai considerare quello comunitario, che sul mercato internazionale. I fattori che si pongono alla base di tale inasprimento concorrenziale e di ulteriori incertezze sono molteplici, e legati sia a politiche di settore che a nuove dinamiche economiche. Dal lato delle politiche ricordiamo la recente riforma generale della Pac, e quella specifica dell’Ocm latte, il progressivo smantellamento delle barriere commerciali collegato agli accordi in seno al Wto. Sul fronte economico, invece, il settore si trova a fare i conti con un mutato atteggiamento dei consumatori verso i prodotti alimentari, una minore attenzione alla qualità per effetto della ridotta capacità di spesa degli stessi, ed ancora va considerato l’effetto della rivalutazione dell’euro rispetto al dollaro e soprattutto le nuove minacce rappresentate dall’affacciarsi sul mercato globale di importanti concorrenti internazionali. Sebbene la filiera lattiero-casearia italiana presenti una posizione competitiva di tutto rispetto, testimoniata dalle buone performance dell’export delle proprie produzioni, non vanno sottovalutate le mosse di alcuni competitor globali come la Nuova Zelanda e la Germania, che da qualche tempo stanno puntando decisamente sulla produzione di formaggi al posto delle tradizionali polveri di latte. Alla luce di tali scenari che scaricano sul settore tante incertezze, si comprende che una delle strade obbligate per la filiera sia quella di puntare alla differenziazione e, quindi, alla valorizzazione delle produzioni di qualità. In tale ambito, i prodotti a denominazione di origine rappresentano una componente molto importante, sia in termini economici diretti e indiretti, sia per la capacità di “trainare” l’immagine e lo sviluppo di tutto il settore e più in generale del Made in Italy alimentare di qualità. L’italia vanta infatti un patrimonio di 31 formaggi a marchio D.o.p., pari al 20% di tutti i formaggi a denominazione di origine registrati nell’Unione Europea. Nel corso del 2003, in Italia sono state certificate circa 418.000 tonnellate di formaggi a marchio D.o.p., una quantità ottenuta attraverso una rete di più di 1.700 caseifici sparsi su tutto il territorio nazionale e che hanno trasformato latte proveniente da oltre 48.000 allevamenti. Il valore al consumo stimabile per tali quantità certificate ammonta ad oltre 4.580 milioni di Euro, pari ad oltre la metà (per l’esattezza il 53%) del valore complessivo del “paniere tipico italiano”. A tali volumi di formaggio corrisponde inoltre un valore di produzione del latte valutato ai prezzi di base di oltre 2.235 milioni di Euro. E’ bene sottolineare come nel settore tutelato esista una forte concentrazione di prodotto, testimoniata dal “peso” attribuibile ai primi 6 formaggi D.o.p. Per quantità certificate e valore economico collegato rispetto al totale del comparto: congiuntamente, infatti, Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Pecorino Romano, Mozzarella di Bufala Campana e Asiago incidono per oltre il 90% sugli indicatori precedentemente ricordati. Significativo infine risulta il ruolo di “traino economico” che i formaggi D.o.p. Esprimono l’intero sistema economico dei territori di origine. Infatti “l’attivazione economica” di cui beneficiano le aree di produzione è assolutamente significativa: oltre 5 miliardi di euro è il Pil complessivo attivato e circa 220-230.000 addetti coinvolti (equivalenti a tempo pieno), tra attività dirette e indotte (mezzi tecnici e input intermedi, servizi, trasporti, ecc.). Si tratta quindi di una risorsa per l’economia locale che, specie in talune aree marginali e senza alternative di sviluppo, ricopre una funzione “insostituibile”. A testimonianza di tale importante ruolo parlano anche le cifre dell’export: nel 2003 le esportazioni di Parmigiano Reggiano e Grana Padano hanno raggiunto congiuntamente i 43,6 milioni di chilogrammi, per un valore di quasi 349 milioni di Euro; una somma che sottende un incremento del 16% rispetto all’anno precedente e che rappresenta – in valore - ben il 32% dell’export totale di formaggi italiani. Tale incidenza si avvicina al 50% se a queste due D.o.p. Uniamo le esportazioni dei rimanenti formaggi italiani a denominazione di origine tutelata. I primi otto mesi del 2004 confermano tale trend di crescita: l’export in valore di Parmigiano e Grana Padano registra infatti un progresso – rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente – del 13%. Il “supereuro” non sembra aver creato impatti traumatici per questi due formaggi, mentre lo è sicuramente per altri quali il Pecorino Romano D.o.p. Che invece destina quasi il 60% della propria produzione al mercato nordamericano. Basti infatti pensare che il valore delle esportazioni su tale mercato nei primi otto mesi 2004 ha registrato un calo – rispetto agli stessi mesi del 2003 –del 6% circa. Nel complesso delle esportazioni dei formaggi D.o.p., tuttavia, gli effetti di tale rivalutazione valutaria risultano al momento contenuti. Il tema delle vendite fuori confine rappresenta indubbiamente uno degli aspetti più strategici per il futuro e la crescita dei formaggi italiani di qualità, anche se oltre confine la concorrenza, in certi casi, è ancora più agguerrita e a questo riguardo si pongono indubbiamente due prospettive diverse. Da un lato quella del mercato “estero comunitario”, contraddistinto da un sistema ormai avviato e funzionante di regole e tutela delle denominazioni, dove soprattutto i formaggi D.o.p. “meno noti” e con volumi produttivi ridotti possono comunque individuare interessanti spazi crescita già nei prossimi anni. Opportunità che si aprono anche per i “big” del settore, in particolare nei mercati dell’Europa “allargata”: a tale proposito, basti pensare che nel giro di 3 anni, l’export dei formaggi D.o.p. Nei 10 nuovi Paesi membri dell’Ue è praticamente raddoppiato. Dall’altro lato, per quanto riguarda le prospettive in relazione al mercato “estero extra-comunitario”, dove all’opposto i nostri formaggi D.o.p. Non godono della tutela istituzionale garantita dal regolamento 2081/92, le prospettive di crescita sono maggiormente legate a politiche e strategie commerciali più robuste, vista la forte concorrenza esercitata da altri attori internazionali. Basti pensare, a tale proposito, che sul mercato statunitense, pur in presenza di vendite crescenti, la quota dei formaggi importati dall’Italia si è ridotta dal 25% al 21% nel giro di dieci anni, contro incrementi che hanno invece interessato competitor emergenti quali l’Australia, l’Argentina e soprattutto la Nuova Zelanda, la cui incidenza sulle importazioni Usa di formaggi è passata dall’8% del 1993 al 12% nel 2002. Come se non bastasse poi, a complicare pesantemente la situazione, potrebbe contribuire l’esito atteso per fine anno del panel istituito in sede Wto su richiesta da Australia e Usa relativamente alla compatibilità del regolamento 2081/92 con la normativa sul commercio internazionale. Alla luce di tali scenari, occorre quindi indirizzare le forze alla conquista di nuovi mercati in grado di apprezzare i nostri formaggi di qualità, nella consapevolezza che tale strategia non solo dovrà trovare nuove ed efficaci risposte sul fronte della tutela ma che comporta costi non indifferenti per un sistema produttivo frammentato come quello caseario italiano.  
     
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