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Notiziario Marketpress di Lunedì 14 Febbraio 2005
 
   
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  UNIONCAMERE-ISTITUTO GUGLIELMO TAGLIACARNE RAPPORTO 2004 - LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE NELL’ECONOMIA ITALIANA COMPETITIVITÀ: LE STRATEGIE DEL “CETO MEDIO” DELL’INDUSTRIA ITALIANA  
   
  Roma, 14 febbraio 2005 – Il “lungo tunnel” attraversato in questi anni dalla nostra economia ha prodotto un effetto evidente sul sistema produttivo: è nato un “ceto medio” dell’impresa manifatturiera che ha reagito positivamente al difficile ciclo economico, accrescendo il proprio fatturato e gli addetti. Proprio nei giorni in cui si discute di come rilanciare la competitività del sistema Paese, Unioncamere e Istituto Tagliacarne presentano, nel Rapporto Pmi, edizione 2004, l’analisi delle strategie che hanno consentito a questo ceto medio di superare le difficoltà congiunturali, guardando al 2005 con una giusta dose di ottimismo. “Il Rapporto Pmi di quest’anno ci conferma che il nostro sistema imprenditoriale ha tenuto il passo anche in questa fase di difficoltà generale dell’economia”, ha detto il presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli, introducendo oggi il convegno di presentazione della ricerca. “Siamo convinti che questo nuovo ceto medio dell’industria, soprattutto se supportato da politiche di sostegno adeguate, potrà esercitare un effetto traino nei confronti delle imprese minori. Innovazione, qualità, incentivi alle aggregazioni d’impresa e sostegno all’internazionalizzazione sono, quindi, le parole chiave che dovrebbero essere contenute nel provvedimento che il Governo sta elaborando in queste settimane”. “L’indagine mette in evidenza come le imprese più strutturate, che hanno maggiori relazioni e si muovono con disinvoltura sui mercati esteri, siano performanti rispetto alle imprese di più piccole dimensioni”, ha detto il Presidente dell’Istituto Tagliacarne, Gian Carlo Sangalli. “Piccole imprese, comunque, che rappresentano pur sempre l’armatura dell’economia italiana e che vanno sostenute con policy distinte e mirate. Ragionare, quindi, non per compartimenti stagni ma in termini di filiere produttive, dove le piccole imprese hanno un ruolo preciso nella creazione del valore”. La “disarticolazione” del tessuto delle Pmi: “ceto medio” e impresa “unicellulare” Nel 2003-2004, un nucleo di piccole e medie imprese ha reagito al rallentamento economico elaborando strategie fortemente competitive. Queste aziende, identificate dal Rapporto Pmi 2004, si contraddistinguono per una elevata capacità di sostenere la sfida dei mercati internazionali, per il frequente collegamento in reti d’impresa formali (gruppi) o informali (accordi di collaborazione), per una spiccata propensione all’innovazione di processo e di prodotto. Il “ceto medio” dell’imprenditoria italiana si compone di: 95mila imprese manifatturiere (il 20% del totale), di cui 3.128 con 100-199 addetti e 2.054 con più di 200 addetti; 65mila di queste imprese sono esportatrici abituali: ad esse si deve il 47% dell’export italiano; il 19% delle 95mila aziende è costituito da società di capitale (erano il 16,5% nel 1995); 35mila sono organizzate in gruppo (16.794 sono capogruppo). Sul fronte opposto, all’interno del sistema manifatturiero si riconosce con chiarezza un secondo gruppo omogeneo di imprese, definite “unicellulari”. Esse rappresentano il 42,7% del tessuto imprenditoriale italiano (320mila imprese su circa 750mila aziende manifatturiere), hanno meno di 10 addetti, un giro d’affari inferiore ai 300mila euro, forma societaria individuale o di persona. Nella maggioranza operano nei settori tradizionali del made in Italy (alimentare, bevande e tabacco; tessile e abbigliamento; pelli, cuoio e calzature; legno e mobilio). L’andamento del passato e le previsioni per il 2005 premiano il “ceto medio” “Ceto medio” e imprese unicellulari si collocano agli estremi opposti di una ipotetica graduatoria della competitività, misurata in termini di crescita del fatturato e dell’occupazione nel 2003-2004 e di previsioni per il 2005. Il saldo tra imprese manifatturiere che dichiarano di aver accresciuto il proprio fatturato nel 2003 e imprese che sostengono che esso sia diminuito è in media negativo (-4,3%). Questo andamento, però, è il frutto di una performance negativa delle microimprese con 1-9 dipendenti (il saldo è pari a -7,6%). Le imprese di dimensione superiore segnalano invece incrementi (lo dichiarano l’11,6% di quelle con 10-49 dipendenti e il 12,9% di quelle con 50-250 dipendenti). Per il 2005, il saldo tra previsioni di crescita e attese di diminuzione è pari a +8,9 punti percentuali. Sulla media incide negativamente la forte cautela espressa dalle microimprese (+3,9% il saldo per questa dimensione aziendale). Diversa la situazione per le dimensioni maggiori: il saldo è pari a +22% per le imprese con 10-49 dipendenti e a +33,3% per quelle con 50-250 dipendenti. Andamento del fatturato delle imprese manifatturiere per classe dimensionale di addetti nel 2003 (valori percentuali)
1-9 addetti 10-49 addetti 50-250 addetti Totale manifatturiero
Aumento 18,8 29,7 27,0 20,6
Stabilità 54,8 52,2 58,9 54,5
Diminuzione 26,4 18,1 14,1 24,9
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0
Saldi -7,6 +11,6 +12,9 -4,3
Fonte: Unioncamere-ist.tagliacarne – Rapporto Pmi 2004 Previsioni di fatturato 2004-2005 in relazione alla dimensione aziendale(valori percentuali)
1-9 addetti 10-49 addetti 50-250 addetti Totale manifatturiero
Aumento 22,7 34,0 37,5 24,7
Stabilità 60,5 54,0 58,3 59,5
Diminuzione 16,8 12,0 4,2 15,8
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0
Saldi +3,9 +22,0 +33,3 +8,9
Fonte: Unioncamere-ist.tagliacarne – Rapporto Pmi 2004 Competitività: le strategie messe in campo dalle imprese Messe alla prova dalla crescente competizione internazionale, le piccole e medie imprese manifatturiere italiane hanno reagito in maniera differenziata alle difficoltà. Il ceto medio, in particolare, mostra di aver creduto più dell’impresa minore in alcuni fattori chiave per la competitività: qualità, innovazione e legami di collaborazione con altre imprese. In particolare, l’indagine[1] evidenzia che: 1. La qualità dei prodotti viene tenuta in alta considerazione dalle nostre imprese e considerata anche un valido strumento di difesa dalla concorrenza delle produzioni a basso costo provenienti soprattutto dai Paesi emergenti. Questo orientamento alla qualità interessa circa il 34% dei piccoli e medi imprenditori italiani, i quali ritengono che i propri prodotti siano pertinenti ad una fascia di mercato alta o medio-alta. Tuttavia questa attenzione alla qualità, che si traduce in produzioni di fascia medio-alta, è più presente nelle medie imprese che nelle imprese unicellulari. Prodotti delle Pmi per fasce di mercato (valori percentuali)
Pmi Imprese unicellulari Medie imprese
Alta 8,2 5,1 10,8
Medio-alta 25,7 21,8 32,9
Media 55,8 61,3 50,1
Medio-bassa 7,2 8,2 4,7
Bassa 3,1 3,7 1,5
Fonte: Unioncamere-ist.tagliacarne – Rapporto Pmi 2004 2. I due terzi dei piccoli e medi imprenditori considerano l’innovazione un fattore determinante nella competizione nazionale ed internazionale. La percentuale però varia tra imprese unicellulari e medie imprese: l’innovazione è fondamentale per il 52,4% delle imprese unicellulari a fronte del 73,9% di quelle medie. Dall’indagine emerge anche una sorta di disallineamento tra opinioni espresse e innovazione effettivamente introdotta. Infatti, nel 2001-2002, solo il 40,2% delle imprese unicellulari e il 65,2% delle medie ha effettivamente investito in questo senso, introducendo innovazioni di processo o di prodotto. Imprese che puntano sull’innovazione per aumentare la competitività (valori percentuali) Potenzialità innovativa inespressa (valori percentuali)
Pmi Imprese unicellulari Medie imprese
Reputano l'innovazione importante per aumentare la competitività 61,7 52,4 73,9
Hanno effettivamente innovato nel 2001-2002 49,7 40,2 65,2
Scarto 12,0 12,2 8,7
Fonte: Unioncamere-ist.tagliacarne – Rapporto Pmi 2004 3. Circa il 20% delle Pmi ha stipulato accordi di collaborazione con imprese italiane ed estere. La percentuale è destinata a salire al 23% nel 2005. Grandi le differenze tra imprese unicellulari e medie imprese. Il 92,8% delle microimprese collabora con altre piccole o medie aziende italiane; l’11,6% con multinazionali italiane e solo il 2,2% con multinazionali estere. Le medie imprese, invece, operano nel 78,6% dei casi con altre piccole e medie aziende, nel 23,6% anche con multinazionali italiane e nel 10,9% anche con multinazionali estere. Da sottolineare che la metà delle Pmi ha stretto accordi di collaborazione per avviare attività di vendita e produzione con altre aziende, l’8% per consolidare la propria posizione sui mercati stranieri (attraverso esportazioni congiunte o sfruttando le conoscenze del partner dei mercati stranieri). La maggioranza delle imprese coinvolte in accordi di collaborazione individua tra i principali benefici di questa strategia l’ottimizzazione dei processi produttivi, l’abbattimento dei costi di produzione e una più efficace distribuzione dei prodotti. Imprese con cui instaurano rapporti di collaborazione le Pmi italiane (valori percentuali)
Pmi Imprese unicellulari Medie imprese
Piccola e media impresa 87,2 92,8 78,6
Azienda leader o capogruppo 4,8 0,0 13,2
Multinazionale italiana 16,2 11,6 23,6
Multinazionale estera 5,0 2,2 10,9
Fonte: Unioncamere-ist.tagliacarne – Rapporto Pmi 2004 Benefici maggiormente avvertiti dalle aziende che hanno stipulato accordi (valori percentuali) Fonte: Unioncamere-ist.tagliacarne – Rapporto Pmi 2004
 
     
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