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Notiziario Marketpress di
Lunedì 14 Febbraio 2005
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SCOPERTO LEGAME TRA UN GENE E LA TIMIDEZZA DEI BAMBINI DIMOSTRATA AL SAN RAFFAELE L’ESISTENZA DI UNA RELAZIONE TRA LA VARIANTE DI UN GENE, UN MECCANISMO DEL CERVELLO E LA TIMIDEZZA DEI BAMBINI |
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Milano, 14 gennaio 2005 – I bambini con una particolare versione del gene 5-Httlpr sono più timidi della maggior parte dei coetanei: questi i risultati di uno studio condotto dal gruppo di ricercatori diretto da Marco Battaglia, professore associato di psicologia clinica all’Università Vita-salute San Raffaele di Milano. Non solo, di fronte all’espressione ostile del viso dei coetanei il loro cervello si attiva in maniera molto diversa da quello degli altri bambini. La ricerca, pubblicata sul numero di gennaio 2005 di Archives of General Psychiatry, la più autorevole rivista in ambito psicopatologico, è stata condotta dall’Università Vita-salute San Raffaele di Milano in collaborazione con clinici e ricercatori dell’Istituto Eugenio Medea-la Nostra Famiglia di Bosisio Parini. L’accertamento precoce di questa forte timidezza infantile e la conoscenza delle cause e dei processi neuronali che ne stanno alla base permetteranno di capire quali bambini resteranno socialmente inibiti anche in età adulta e saranno così esposti a un maggior rischio di sviluppare disturbi ansiosi. Un procedimento di acquisizione di potenziali cerebrali in risposta a immagini del volto, presentate ai bambini in forma di videogioco, e avanzate tecniche di genetica molecolare sono stati gli strumenti dello studio condotto su 49 bambini di età compresa tra i 7 e i 9 anni. L’indagine si è articolata su due fasi: un anno fa i ricercatori avevano studiato il comportamento dei bambini e ne avevano definito il grado di timidezza in ambito sociale. Parallelamente il loro Dna era stato sequenziato e analizzato utilizzando semplici prelievi di saliva. Nel successivo stadio della ricerca lo schermo di un computer mostrava ai bambini immagini di coetanei con espressioni del volto gioiose, rabbiose e neutre; contemporaneamente una serie di elettrodi ne registrava l’attività cerebrale. Gli elettrodi impiegati erano altamente sensibili, tanto da rilevare le variazioni di potenziale che si verificano entro 300-400 millesimi di secondo da quando un individuo è esposto ad uno stimolo sensoriale rilevante, come le espressioni del volto delle altre persone. I brevi tracciati encefalografici registrati nel corso del test hanno evidenziato come i bambini più timidi abbiano, in alcuni contesti sociali, particolari modalità di attivazione del cervello. L’analisi della sequenza del Dna dei bambini ha permesso ai ricercatori di scoprire che una percentuale significativa dei soggetti più timidi hanno in comune questi particolari tracciati encefalografici e una variante del gene 5-Httlpr che regola il trasporto della serotonina, uno dei principali neurotrasmettitori del cervello. Lo studio dimostra, quindi, come questa variante, comune nella popolazione, sia una causa rilevante delle particolari modalità di attivazione cerebrali registrate e sia parallelamente associata a un più elevato grado di timidezza dei bambini. Circa il 10% della popolazione di bambini e adolescenti appaiono più inibiti e timidi della media. Questa inibizione sociale in parte è di origine genetica e in parte viene influenzata dalle esperienze dell’individuo. Mentre la maggior parte dei bambini crescendo risolve in parte o completamente questo problema, senza ricorrere a un supporto clinico, altri restano socialmente inibiti correndo un maggior pericolo di sviluppare disturbi ansiosi in età adulta. I bambini timidi, come emerge ancora dallo studio, hanno più difficoltà a interpretare correttamente le espressioni di rabbia o di ostilità dei loro coetanei e questo può rappresentare per loro un ostacolo all’avere un’equilibrata vita di relazione. Marco Battaglia, professore associato di psicologia clinica all’Università Vita-salute San Raffaele e primo autore dello studio, osserva: “Per la prima volta si dimostra che alcuni geni comunemente presenti nella popolazione possono influenzare non solo alcuni aspetti del comportamento umano ma anche le modalità attraverso le quali il nostro cervello analizza informazioni importanti nella comunicazione tra persone, come i segnali non verbali di accettazione o rifiuto. Tale influenza - precisa Battaglia - non va tuttavia intesa in senso deterministico e inflessibile, poiché le variabili ambientali possono non solo giocare un ruolo di rilievo su come la nostra personalità si struttura nel tempo, ma anche modificare le modalità con le quali il nostro codice genetico viene letto, cioè viene tradotto in molecole in grado di influenzare le nostre emozioni ed i nostri comportamenti.” Lo studio è stato possibile grazie ad un finanziamento Cofin e dall’Independent Investigator Award della fondazione statunitense Narsad.
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