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Notiziario Marketpress di Martedì 15 Febbraio 2005
 
   
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  QUALE SPAZIO PER IL CRISTIANESIMO NELLA NUOVA EUROPA? RELAZIONE DEL CARD. CAMILLO RUINI AL CONVEGNO DELL’OPERA ROMANA PELLEGRINAGGI  
   
  Roma, 15 febbraio 2005 - Quella dello spazio del cristianesimo nell’Europa di oggi, e soprattutto di domani, è una questione aperta, come tutte le domande che riguardano il nostro futuro. La Chiesa gode infatti dell’indefettibilità promessagli dal Signore Gesù, ma ciò non può essere riferito alla presenza storica del cristianesimo nelle diverse aree geografiche, come è dimostrato dalla storia di questi due millenni. Anzi, possiamo affermare con il teologo J.b. Metz che riguardo al futuro “il credente ne sa meno”, rispetto alle ideologie che pretendono, o meglio pretendevano, di poter predeterminare il corso futuro della storia, e anche rispetto allo scientismo che ritiene oggi di poterlo in qualche misura conoscere su basi scientifiche. Il credente è infatti meglio consapevole della ricchezza sovrabbondante della realtà e dei limiti dell’intelligenza umana, ma soprattutto riconosce e prende sul serio le due libertà che operano nella storia: quella dell’uomo e, dietro di essa, quella di Dio. La questione dello spazio e del futuro del cristianesimo in Europa è affidata dunque alla nostra libertà e responsabilità, e in ultima analisi alla sovrana e misericordiosa libertà di Dio. Per una parte sia pure piccolissima anche l’Opera Romana Pellegrinaggi, con la promozione di viaggi cristiani in Europa e al di là di essa, può dare il proprio contributo per promuovere questo spazio e questo futuro. 1. Prima di parlare del presente e del futuro, è indispensabile dare uno sguardo al rapporto tra Europa e cristianesimo, come si è variamente configurato nel passato: per farlo mi avvalgo largamente del saggio del Card. J. Ratzinger Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani, pubblicato nel libro di J. Ratzinger e M. Pera Senza radici: Europa, relativismo, cristianesimo, islam (Ed. Mondadori 2004). A) L’europa stessa è, fin dall’inizio, un concetto più culturale e storico che geografico. Erodoto, nel V secolo a.C., è il primo a conoscere l’Europa in senso geografico, che per lui è il mondo greco, in quanto distinto dall’Asia che i persiani consideravano di loro proprietà: si tratta dunque di una piccola Europa, e anche di una piccola Asia, rispetto all’estensione che oggi conosciamo di questi continenti. Con la formazione dei regni ellenistici a seguito delle conquiste di Alessandro Magno, e soprattutto con l’affermarsi dell’Impero romano, nasce un “continente” che è la base della successiva Europa, ma che aveva confini ben diversi: si trattava in concreto del bacino del Mediterraneo, in tutte le sue sponde. In questo spazio avviene l’incontro storico tra Europa e cristianesimo, anche se il cristianesimo si diffonde nello stesso tempo più ad est, fino all’India, e più a sud, in particolare in Etiopia. Ha luogo così l’evangelizzazione dell’Europa e l’inculturazione della fede cristiana nella cultura ellenistico-romana: ne nasce una nuova civiltà cristiana, nella quale continuano a vivere, in maniera certo profondamente rinnovata, le grandi eredità greca e romana. In seguito si verifica una poderosa spinta verso il nord, su due direttrici e in tempi diversi. Ad occidente verso i popoli germanici: la continuità è assicurata attraverso il concetto teologico e al contempo storico-politico di Sacro Romano Impero. Così, con Carlo Magno, emerge nuovamente l’antico nome di Europa, a indicare però il regno di Carlo, con la coscienza della continuità rispetto all’Impero antico ma anche della propria novità, di essere cioè forza del futuro. Il Sacro Romano Impero ha attraversato molte vicissitudini storiche, ma questa coscienza fondamentale è rimasta, si può dire, fino a tutto il Xviii secolo. In oriente l’antico Impero romano dura molto a lungo nella “nuova Roma” di Costantinopoli, fino alla conquista di questa città da parte dei turchi nel 1453. L’estensione verso il nord si dirige verso i popoli slavi (in parte però evangelizzati dalla Chiesa d’occidente). Dopo la caduta di Costantinopoli ha luogo in certo senso un altro trasferimento dell’Impero, verso la “terza Roma” che si colloca a Mosca. I due Imperi, latino-germanico e greco-slavo, hanno molto in comune sul piano religioso e socio-culturale, ma hanno anche delle differenze profonde. In particolare a oriente Impero e Chiesa sono quasi identificati: l’Imperatore, come rappresentante di Cristo, è infatti capo di entrambi. A occidente invece, anche per l’assenza dell’Imperatore da Roma, poté svilupparsi e consolidarsi in concreto la posizione autonoma del Vescovo di Roma, successore di Pietro, come Pastore universale della Chiesa. Già il Papa Gelasio I, alla fine del V secolo, afferma che l’unità delle due potestà si ha solo in Cristo: nelle cose mondane i Pontefici devono sottostare agli Imperatori cristiani, mentre questi devono sottostare ai Pontefici nelle cose della vita eterna. Si realizza qui quella distinzione che ha posto il fondamento di ciò che è proprio dell’occidente, sebbene tale distinzione sia stata, e in certa misura continui ad essere, fonte di infinite tensioni e sofferenze nel corso della storia. B) Il passaggio verso l’epoca moderna è segnato da un duplice grande evento o processo. Il primo è la Riforma protestante, con il distacco da Roma di gran parte del mondo germanico e anglosassone: nasce così una nuova linea di divisione, religiosa ma anche culturale, all’interno dell’occidente. La scoperta dell’America è il secondo grande evento, che ha comportato una specie di enorme uscita dell’Europa dai suoi confini geografici, con la riproduzione della divisione tra cattolici e protestanti, presenti rispettivamente, in maniera prevalente, nell’America del sud e in quella del nord. L’america stessa è stata forgiata in profondità dalle sue origini europee, ben più che dalle popolazioni che l’abitavano in precedenza. Dal secolo Xix essa è però, al contempo, un soggetto proprio di fronte all’Europa. In qualche misura vi è stata una estensione analoga anche ad est, della Russia in tutta l’Asia settentrionale, senza però dar luogo in questo caso ad un soggetto autonomo. Quando l’America del nord diventa un soggetto proprio si verifica in Europa un altro evento spartiacque, in senso non geografico ma storico-culturale: la rivoluzione francese con il suo sostrato illuministico. Viene rigettata ogni fondazione trascendente dello Stato e della storia, gli ordinamenti politici e gli Stati d’ora in poi si fondano cioè soltanto sulla razionalità e sul volere dei cittadini, mentre Dio e la religione diventano una questione privata: alla base c’è la convinzione che Dio non sia razionalmente conoscibile e che la religione appartenga soltanto all’ambito del sentimento. Si produce così, inevitabilmente, una lacerazione profonda, che è l’origine della distinzione moderna, e spesso della contrapposizione, tra cattolici e “laici”, prendendo questo secondo termine in un senso forte, che implica una posizione negativa, o almeno agnostica, nei confronti della fede cristiana e del Dio del cristianesimo. Ciò avviene soprattutto nei paesi latini, cattolici, mentre nel mondo protestante le idee illuministiche e liberali per molto tempo non si pongono con uguale radicalità come antagonistiche rispetto alla religione cristiana, e il cristianesimo stesso è a sua volta più pronto ad aprirsi alla nuova fase storica, ma rimane anche prima e maggiormente colpito al proprio interno dai processi di secolarizzazione, con la tendenza a venire riassorbito nella cultura e nelle strutture dello Stato. Il mondo ortodosso è assai meno toccato da simili trasformazioni, fino alla rivoluzione bolscevica che ha rappresentato in maniera ancora molto più violenta una cesura con il suo grande passato religioso: adesso però, negli anni del post-comunismo, si può ancora notare chiaramente una tendenza a concepire i rapporti tra Chiesa e Stato in termini in qualche modo pre-illuministici. Gli Stati diventano così, o almeno considerano se stessi, in tutta Europa, i veri e alla fine gli unici portatori del significato della storia: è questa la radice di quei loro conflitti “mortali” che hanno avuto luogo già nella prima guerra mondiale. C) A questo punto occorre prendere in esame l’universalizzazione e la crisi della cultura europea. Negli ultimi secoli ha avuto luogo infatti un ulteriore allargamento dell’Europa occidentale verso l’Africa e l’Asia, che diventano in gran parte quasi delle “succursali” dell’Europa, dette “colonie”. La differenza profonda rispetto all’estensione dell’Europa verso l’America è che in Africa ed Asia le popolazioni autoctone rimangono enormemente preponderanti: si ha però, in certa misura, un’espansione delle istituzioni e delle lingue europee, e anche di quel trinomio, fatto di scienze, tecnologie e sviluppo socio-economico, che ha dato all’Europa la possibilità di dominare il mondo. C’è stata anche una diffusione della religione cristiana, attraverso l’opera dei missionari, che però sarebbe sbagliato ricondurre al fenomeno coloniale, avendo seguito una logica diversa e ben più antica, quella che da sempre ha spinto i cristiani a proporre Cristo a tutte le genti. In qualche misura la colonizzazione ha portato d’altra parte con sé anche una diffusione dei processi di secolarizzazione che si stavano sviluppando in Europa. Nella seconda metà del Xx secolo la colonizzazione ha però fine (con conseguenze positive ma anche negative) e riemergono pian piano i grandi soggetti non europei, che aspirano a diventare protagonisti della storia mondiale, reagendo all’egemonia europea (da ultimo euro-americana), che era durata per tre secoli. A tal fine questi soggetti storici si rifanno alle loro matrici religiose e culturali, come l’islam ma anche l’induismo e il buddismo, in opposizione alla secolarizzazione occidentale. Anche dove la matrice religiosa è più debole, come in Cina, la rinascita nazionale tende a riferirsi all’originalità della propria storia e cultura. In tal modo l’assimilazione del trinomio occidentale scienze, tecnologie e sviluppo, che ha assunto ormai dimensione planetaria, almeno come aspirazione e traguardo da raggiungere, si unisce a una riaffermazione dell’identità delle grandi culture e nazionalità non europee: è questa la prima grande novità e sfida a cui l’Europa “allargata” si trova oggi di fronte. D) Nello stesso tempo, anzi già da prima, si è fatto strada un senso di crisi interna della cultura europea. A partire dalla prima guerra mondiale, e già in precedenza con il nascere di quel nichilismo che ha il suo teorico e profeta in Nietzsche, questa cultura registra infatti una perdita di fiducia nei propri valori, e anzitutto nella fede cristiana che ne era l’anima: in concreto, la contestazione del cristianesimo attraversa la cultura europea nei secoli Xviii e Xix, con un crescendo di radicalità. Parallelamente viene meno, soprattutto in Germania e in Italia, la stima per la propria storia: la secolarizzazione e l’affermarsi di un relativismo “a-valutativo” conducono infatti abbastanza spesso, specialmente nell’antropologia culturale, ad avere più stima degli altri che di noi stessi. La crisi demografica che si è progressivamente diffusa in Europa è a sua volta un grande indicatore che va nel medesimo senso. Le due maggiori interpretazioni della crisi della civiltà europea sono quella piuttosto “biologica” e deterministica, proposta da O. Spengler nel celebre libro Il tramonto dell’Occidente, e quella improntata invece alla caratteristica specificamente umana della libertà (per cui la crisi sarebbe reversibile) proposta da A.j. Toynbee nella sua Storia comparata delle civiltà. Gli esiti terribili di tale crisi hanno segnato il Xx secolo (il “secolo breve”), con l’epoca delle ideologie totalitarie, che oggi può sembrare una tragica parentesi della storia europea, ma che in realtà ha lasciato tracce profonde: tra queste soprattutto l’idea che non ci siano valori indipendenti dagli scopi di costruzione di una “nuova umanità”, che dovrebbero essere conseguiti con la realizzazione storica dell’ideologia. Così la persona umana diventa uno strumento, e non necessariamente un fine; analogamente la verità e il bene morale vengono tendenzialmente ridotti a strumenti: si tratta di un vero capovolgimento dei valori fondanti della civiltà europea e del cristianesimo. Questa è forse la ragione più profonda del fallimento storico di quelle ideologie e dei sistemi che vi si rifacevano, ma è una ragione ancora oggi poco riconosciuta come tale: pertanto quel capovolgimento in qualche misura rimane, giustificato ora dal relativismo e da uno scientismo naturalistico, e si esprime soprattutto nella tendenza ad applicare all’uomo le biotecnologie a prescindere da considerazioni etiche e in ultima analisi dalla originalità irriducibile dell’uomo stesso. E’ questa, probabilmente, la maggiore sfida per il futuro dell’Europa e dell’America, e alla fine dell’umanità intera, dato che tende ad essere universale la diffusione del relativismo e dello scientismo naturalistico, come conseguenza, sia pure indebita, della diffusione planetaria del trinomio di scienze, tecnologie e progresso. Dopo la seconda guerra mondiale si sono certamente avuti, d’altra parte, degli sviluppi altamente positivi, come la formazione dell’Alleanza Atlantica, che nel suo senso storico profondo (al di là dello scopo immediato di difesa dalla minaccia dell’Unione Sovietica) va nel senso della valorizzazione dell’Europa “allargata”, e la realizzazione dell’Unione Europea, cioè di un grande soggetto storico caratterizzato dalla pace e dall’integrazione al proprio interno ed in grado di continuare ad assicurare un ruolo mondiale per l’Europa, certo in forme diverse dal suo passato “coloniale”. 2. Passiamo ora a riflettere sul presente e sul futuro del cristianesimo in Europa. A) Se prendiamo sul serio il concetto di Europa allargata, dovremmo puntare a una specie di comunità di quattro, o meglio cinque, grandi soggetti, ciascuno naturalmente con la propria specificità e autonomia: l’Unione Europea e l’America del nord, ma anche la Russia e l’America del sud, e finalmente l’Australia e la Nuova Zelanda. Questa è infatti l’area, davvero gigantesca, nella quale si articola oggi il rapporto tra cristianesimo e civiltà di matrice europea. Tale rapporto ha certamente in Europa una sua specificità (anzi, diverse specificità si registrano, come abbiamo visto, all’interno dell’Europa stessa), ma prevalgono e prevarranno sempre più, con la globalizzazione, gli aspetti comuni, che rimangono d’altronde pur sempre differenti rispetto ai rapporti del cristianesimo con aree geografiche di altra matrice religiosa e culturale. Abbiamo già accennato alle diverse forme, e alla crisi, del rapporto tra il cristianesimo e la società e civiltà europea, con la presenza del laicismo soprattutto nei paesi latini, il rischio di esaurimento del protestantesimo e le tendenze alla restaurazione nell’ambito dell’ortodossia. Negli Stati Uniti la situazione è diversa: alla loro origine vi sono infatti le “Chiese libere”, con una rigida separazione istituzionale rispetto allo Stato, ma con una notevole vitalità religiosa capace di esercitare un forte influsso pubblico. E’ questa la cosiddetta “religione civile” americana, di carattere non confessionale, anche se con una chiara impronta cristiana-protestante: con l’incremento della percentuale della popolazione cattolica, in questa “religione civile” stanno crescendo però il contributo e l’influenza cattolica. Un tale modello sembra meglio in grado di garantire, nell’attuale società libera e democratica, i fondamenti morali della convivenza e in ultima analisi una comune visione del mondo, cosicché la promozione della democrazia (in concreto della libertà e della socialità) appaia un imperativo morale in sintonia con la fede religiosa, come già affermato da A. De Tocqueville. Si può forse parlare di una certa analogia con il modello gelasiano, naturalmente attualizzato ad una ben diversa situazione storica. B) Quale spazio per il cristianesimo possiamo dunque costruire nell’Europa (allargata) di oggi, dentro al gioco delle libertà e in relazione all’attuale contesto sociale e culturale, con la crisi diffusa dei rapporti tra Europa e cristianesimo e in presenza delle due grandi sfide già individuate, cioè dell’emergere di altre civiltà e della crisi interna della stessa cultura europea? Una prima indicazione emerge proprio dalla sfida “esterna”, in specie da quella che sembra provenire dall’islam: il terrorismo di matrice islamica e anche la presenza fra noi di molti immigrati, sebbene certamente da non confondere con i terroristi, fanno percepire come “vicina”, e anche minacciosa, una diversità religiosa e culturale che prima rimaneva remota. Ne è seguito un risveglio dell’identità cristiana, a livello popolare ma anche di una parte significativa della cultura laica, che rafforza il nuovo interesse religioso già in atto e gli dà una più precisa caratterizzazione identitaria. Come dobbiamo porci di fronte a un tale risveglio? Esso comporta certamente dei rischi di strumentalizzazione della fede cristiana e di un suo snaturamento, o riduzione a ideologia. Contiene però anche delle grandi opportunità. La fede cristiana infatti, fin dalle sue origini, ha una valenza personale ma anche pubblica, e oggi può alimentare, in un’ottica non confessionale ma pienamente rispettosa della libertà religiosa e della distinzione tra Chiesa e Stato, una visione della vita e alcuni fondamentali valori etici che forniscano le basi dell’identità delle nostre nazioni: si ha così, almeno potenzialmente, il superamento della fase storica del laicismo e del secolarismo. Sono necessari però due chiarimenti. Il primo è che il contributo della fede alla nostra cultura e società non può non andare in senso autenticamente cristiano: non conduce dunque ad una rivendicazione chiusa e conflittuale della propria identità, ma piuttosto alla ricerca della pace, della riconciliazione e della solidarietà anche con popoli, culture e religioni diversi. In secondo luogo un tale contributo è realmente possibile ed efficace soltanto sulla base di una fede autenticamente vissuta oggi, e non semplicemente in virtù dell’eredità culturale del nostro passato cristiano che, se non alimentata dalla fede vissuta, tende fatalmente ad affievolirsi. C) La seconda sfida, che proviene dalla crisi interna della civiltà europea, è certamente più radicale e pericolosa, ma anche in essa possiamo individuare una provocazione positiva. Tale crisi infatti mette in discussione non solo il cristianesimo, ma i fondamenti stessi della nostra civiltà e specificamente il suo carattere umanistico, riassunto nel principio che l’uomo, ogni uomo, è sempre un fine e mai un mezzo: a questo proposito ho parlato spesso di una nuova “questione antropologica”, che nasce da una parte dai profondi cambiamenti dei costumi, con la radicale messa in discussione ad esempio della famiglia, e dall’altra dall’applicazione all’uomo delle biotecnologie. Il relativismo e lo scientismo non sono in grado però di fondare una nuova civiltà. Il relativismo infatti è, per sua natura, piuttosto il segno della crisi di una civiltà, che perde le proprie certezze. Quanto alla razionalità scientifico-tecnologica, essa è certamente un grande e prezioso fattore di sviluppo e anche di unificazione culturale, a livello planetario, ma le sue stesse caratteristiche intrinseche e la sua impostazione metodologica fanno sì che essa prescinda dalle questioni del bene e del male morale, e più fondamentalmente del senso e del destino dell’uomo e dell’universo, che costituiscono la base e il nucleo generatore delle culture e delle civiltà. Non senza motivo, dunque, le civiltà non cristiane assumono oggi tale razionalità scientifico-tecnologica ma nello stesso tempo mantengono, e anzi rilanciano, i loro elementi propri, i loro valori specifici. Anche la civiltà di matrice cristiana, se vuole avere futuro, deve procedere in maniera analoga, e può farlo tanto meglio e più facilmente perché la razionalità scientifico-tecnologica è nata al suo interno, non senza rapporto con quella distinzione profonda del mondo da Dio che fa tutt’uno con la convinzione che Dio crea il mondo liberamente e dal nulla. Esiste certamente una diffusa tendenza a fare invece dell’interpretazione evoluzionistica dell’universo una teoria universale di tutto il reale, cioè una nuova visione del mondo materialistica, che esclude ogni ulteriore domanda sull’origine, sul significato e sul destino dell’universo stesso. Ma proprio gli sviluppi attuali delle scienze fisiche e biologiche, con il ruolo decisivo che risultano avere le “informazioni” contenute nella materia, spingono invece a riconoscere come sempre più fondata l’ipotesi di un “disegno intelligente”: la conseguenza, certamente filosofica e non scientifica, dato il limite metodologico delle scienze, è che all’origine dell’universo sta il Logos, l’Intelligenza creatrice, come afferma da sempre la rivelazione ebraico-cristiana, e non semplicemente la materia. Di una tale svolta, che sta avvenendo proprio in questi anni, è testimone emblematico il filosofo analitico inglese A. Flew, a lungo esponente di spicco dell’ateismo razionalista ma da ultimo sostenitore del “disegno intelligente”. D) Ancora più pericolosa di quella che riguarda la razionalità è la sfida al cristianesimo che si pone sul piano dell’etica, come già vide acutamente Nietzsche, per il quale la morale cristiana deve essere denunciata come contraria alla vita e alle sue istanze, alla gioia di vivere e alla libertà. Un’emarginazione pratica del cristianesimo è effettivamente in atto, nel mondo della rappresentazione mediatica ma in larga misura anche nel mondo reale del vissuto quotidiano della gente. Diventa decisivo perciò mostrare che quella cristiana è invece un’alternativa vivibile, gratificante e liberante, ben più ricca di significato rispetto al vuoto di una libertà individuale resa unico fine a se stessa, che fa diventare fragili le persone e alla fine toglie loro il senso e il gusto del vivere. Più specificamente riguardo alla libertà, il Concilio Vaticano Ii, nella Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, afferma il diritto alla libertà religiosa (più esattamente alla libertà sociale e civile in materia religiosa), fondato sulla dignità e sulla natura della persona umana, superando così la subordinazione unilaterale della libertà alla verità, tipica del pensiero pre-moderno ma sopravvissuta a lungo nel cattolicesimo, che si basava sulla convinzione che soltanto la verità, e non l’errore, potrebbe avere dei diritti. Il Vaticano Ii precisa invece che soggetto dei diritti non sono le idee o i valori, ma soltanto le persone, fisiche o morali (dunque sia i singoli sia le comunità), e ciò in base al concetto stesso di diritto. La libertà religiosa così concepita si accorda dunque con l’affermazione della verità del cristianesimo e supera anche quella concezione relativistica della stessa libertà religiosa, e delle libertà in genere, che aveva dominato nella cultura e nella società occidentale già a partire da Locke, per la quale una società libera sarebbe possibile soltanto rinunciando alla pretesa di conoscere una verità oggettiva (si ha qui la subordinazione opposta, della verità alla libertà). La Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa (n.7) pone inoltre un principio generale di libertà, in base al quale nella società va riconosciuta all’uomo la libertà più ampia possibile, da non limitarsi se non quando e in quanto è necessario. Possiamo allora domandarci se, oltre che di libertà sociale e civile in materia religiosa, si debba parlare anche di libertà sociale e civile in materia etica. Una tale questione è di estrema attualità in tutto l’Occidente, e lo sarà probabilmente presto in tutto il mondo: intorno ad essa ruota in particolare il conflitto tra i cattolici e gran parte della cultura e della politica “laica”. La soluzione che il Concilio ha proposto riguardo alla libertà religiosa non può essere trasferita automaticamente alla libertà in materia etica, per il motivo che la società stessa e l’organizzazione sociale non possono prescindere dalla concezione dell’uomo, e quindi alla fine dalla verità antropologica ed etica, che ha con esse un rapporto più immediato di quello della verità religiosa (salvo il fatto che la verità religiosa stessa è decisiva fonte di ispirazione dell’antropologia e dell’etica). Perciò la Chiesa insiste sul legame intrinseco tra libertà e verità, nelle questioni di etica non solo personale ma anche pubblica. Questo non è però l’unico criterio da prendere in considerazione: rimane pienamente valido anche il principio, affermato dal Concilio, di riconoscere e promuovere nella società la libertà più ampia possibile. Tenere insieme questi due principi e applicarli concretamente ai tanti casi e problemi che sempre di nuovo si pongono nella vita della nostra società sembra essere la strada del futuro, oltre che un campo di collaborazione quanto mai fecondo tra i cattolici e quei laici, sempre più numerosi, che hanno a cuore il carattere autenticamente umanistico della civiltà a cui apparteniamo: una tale collaborazione è anzi già felicemente in atto, anche in Italia. In effetti, la verità non è da concepirsi come un limite esterno alla libertà, ma come condizione intrinseca perché la libertà dell’uomo si sviluppi in maniera effettiva e autentica, e non si ritorca contro se stessa. E) A questo punto poniamoci di nuovo e più concretamente la domanda sullo spazio effettivo per il cristianesimo nell’Europa di oggi, in particolare nell’Unione Europea: senza indulgere a vittimismi, è giusto riconoscere al riguardo l’esistenza di un pericolo, che è emerso in diverse circostanze ma che nasce in ultima analisi dall’indole profonda del relativismo. Quest’ultimo tende infatti, per sua natura, ad assolutizzarsi, a negare cioè la validità e l’attendibilità di ogni affermazione non relativa: in ambito pubblico tende pertanto ad escludere la liceità di posizioni diverse dalle sue, perché le ritiene incompatibili con la libertà. Al contrario, il bisogno fondamentale dell’Europa, e dell’Europa “allargata”, per avere futuro è, come si è visto, la buona coscienza dei propri valori e la stima (certamente non acritica) della propria storia. In ciò appare decisivo il ruolo che può essere svolto dai credenti in Cristo, cattolici ma anche non cattolici. In effetti, c’è una presenza che sta rinascendo, vi sono tante comunità che irradiano cristianesimo. Resto sempre perplesso quando sento dire che i cristiani sono minoranza, ad esempio in Italia, perché di fatto si è cristiani in misura più o meno piena e intensa e pertanto, se parliamo di una generica adesione al cattolicesimo, possiamo affermare che essa in Italia è ancora largamente maggioritaria. E’ vero però che sono minoranza coloro che vivono la propria fede in maniera profonda: ma solo da loro può venire una vera spinta, un’animazione in senso cristiano della cultura e della società. E’ questo del resto il rapporto che si ha normalmente tra minoranze e maggioranze: sono le minoranze convinte e motivate quelle che orientano il cammino delle maggioranze. In Italia ci troviamo in una situazione privilegiata, rispetto a gran parte dell’Europa, perché la fede cristiana, nella sua forma cattolica, in Italia è viva ed è radicata nel popolo. Ma anche in altri paesi è in atto un risveglio, che in parte è cattolico, in parte ortodosso, in parte protestante: quest’ultimo non tanto nelle classiche chiese protestanti, quanto attraverso i nuovi movimenti evangelici, che sono estremamente forti in America del nord ma in questi ultimi anni hanno preso vigore perfino in Germania, la prima patria della Riforma. Per quanto riguarda noi cattolici italiani un dato molto positivo è la coscienza e la volontà missionaria che sta crescendo tra noi. E’ essenziale inoltre avere il senso di una comune appartenenza, ossia della comunione che unisce i credenti in Cristo: anche questo senso ora è di nuovo in crescita. Alla base di tutto vi è ciò che il Papa esprime anzitutto con la sua vita, ma ci ha indicato anche ed espressamente nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte pubblicata a conclusione dell’Anno Santo del 2000: in essa veniamo chiamati a contemplare il volto di Cristo e a cercare la santità, come “misura alta della vita cristiana ordinaria”. Viene da qui la forza interiore che rende possibile tutto il resto. Nei confronti dell’Europa l’Italia ha pertanto una particolare responsabilità: quella che il Papa ha richiamato nella lettera ai Vescovi italiani del 6 gennaio 1994, quando scrisse che all’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli Apostoli Pietro e Paolo. Non per caso il Papa parla di patrimonio “culturale”, e non solo religioso: esso riguarda infatti anche la cultura in senso ampio, cioè la formazione e l’educazione dell’uomo, le espressioni del pensiero e dell’arte, la vita sociale ed economica, la politica, le istituzioni. Questo ruolo dobbiamo cercare di giocarlo al meglio.  
     
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