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Notiziario Marketpress di
Giovedì 17 Febbraio 2005
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Web alimentazione e benessere |
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INTERVENTI TAVOLA ROTONDA FINEDIT ITALIA AL SIGEP SUL TEMA : “COME COMUNICARE MEGLIO E VENDERE DI PIÙ IL PRODOTTO ARTIGIANALE ITALIANO NEL MONDO” |
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Tavola rotonda internazionale organizzata dalle testate “From Italy Buyers Guide”, “il Gelatiere Italiano”, “il Pasticciere Italiano” e “il Panificatore Italiano”. Durante il Sigep 2005 a Rimini, la Casa Editrice Finedit ha organizzato una tavola rotonda in cui si è discusso dell’importanza di comunicar ai clienti il valore del prodotto artigianale. Molti relatori internazionali hanno portato la propria esperienza, dimostrando che il prodotto artigianale può essere vincente. Quest’evento è stato il punto d’arrivo di un lungo lavoro di team portato avanti da Atenaide Arpone, Paola Colonnetti, Miriam Galimberti e Monica Viani della Finedit Italia. Ecco il resoconto degli interventi. Alla tavola rotonda “Come comunicare meglio e vendere di più il prodotto artigianale italiano nel mondo”, tenutasi in occasione del Sigep di Rimini, sono intervenuti: Cristina Bellavista, amministratore unico Finedit Italia; Ana Maria Galibert, Vicepresidente di Publitec Argentina e Membro del Comitato esecutivo di Fithep Brasile e Publitec Argentina; Paolo Dalla Zorza, Presidente del Paolo’s Gelato America; Donata Panciera, giornalista e maestra gelatiera certificata; Eduard Bechoux, maestro cioccolatiere e consulente; Alessandro Inglese, maestro panificatore e pasticciere, esperto di Pnl; Dario Mariotti, formatore e collaboratore della scuola Cast Alimenti. Prima di cominciare la tavola rotonda, Fabrizio Bellavista vice direttore del mensile di comunicazione Adv ha sottolineato l’impegno della nostra casa editrice nel campo della comunicazione. Forte del motto di Paul Watzlawick “Se non comunichiamo, non esistiamo” Finedit Italia è sempre in prima linea quando si tratta di sottolineare l’importanza della comunicazione. Recentemente ha infatti promosso, in collaborazione con l’Istituto Europeo del Design (Ied), un concorso per la creazione di una campagna pubblicitaria collettiva per la valorizzazione del gelato artigianale. Cos’è una campagna collettiva? È un insieme di persone, di aziende, di investimenti che ha un unico obiettivo: far conoscere un determinato prodotto. Il caso più celebre in Italia è quello della campagna collettiva dei produttori di birra che negli anni ’60 sono riusciti a imporre una bevanda fino ad allora poco conosciuta e, di conseguenza, poco consumata. Gli studenti dello Ied sono già al lavoro per creare una campagna collettiva e le loro proposte verranno pubblicizzate attraverso le nostre riviste a partire dal mese di marzo. Lo scopo è quello di spronare le aziende e gli artigiani a unirsi per promuovere al meglio il frutto del loro lavoro. Cristina Bellavista, amministratore unico Finedit Italia, ha poi introdotto gli ospiti sottolineando l’importanza della loro esperienza nella promozione del prodotto artigianale nel mondo. Ecco gli interventi. Edouard Bechoux, maestro cioccolatiere e consulente Il maestro Bechoux ha portato la sua esperienza personale e concreta. Recentemente ha infatti aperto una cioccolateria dove vende i propri prodotti e, per creare un locale che fosse la “pubblicità vivente” della sua produzione, ha utilizzato molte informazioni “rubate” all’industria (che può permettersi costose ricerche di mercato volte alla fidelizzazione del cliente). Poiché bisogna offrire al cliente prodotti particolari che lo incuriosiscano, due sono gli elementi che il maestro ha scelto per caratterizzare la sua produzione: il cioccolato e le spezie. Persino il suo locale è arredato sulla base di un vero e proprio “codice colore” che ricorda i toni del cioccolato (marrone) e le spezie (arancio). Il risultato è un’atmosfera calda e accogliente che cattura il cliente. Anche il packaging riprende questo concetto, così come l’etichetta, il menù, il tovagliolo: tutto è declinato sulle stesse tonalità. Il prodotto deve ovviamente avere caratteristiche particolari che lo distinguano nettamente dalla concorrenza, ad esempio una torta al cioccolato con una bagna allo zenzero o una mousse fatta con cioccolato proveniente da un isola precisa. Questo dà modo al cliente di parlare del prodotto, di comprarlo, di regalarlo, di “passare parola” ovvero di fare pubblicità nel modo più efficace. Infine non bisogna dimenticare che quello che vende un pasticciere è soprattutto il piacere: sono finiti i tempi in cui si andava dal pasticciere o gelatiere o da qualsiasi altro artigiano per fame, al giorno d’oggi ci si va per “puro piacere” ed è questo l’impulso che occorre stuzzicare. Il suo consiglio è di appoggiarsi a dei consulenti: non si può pensare di fare tutto da soli con la scusa di risparmiare perché con un investimento minimo si avrà un enorme ritorno d’immagine. Donata Panciera, giornalista e maestra gelatiera certificata Proveniente da una famiglia che produce gelato da più di cent’anni, Donata Panciera ha cominciato prestissimo a girare il mondo in veste di consulente. Il dato fondamentale che scaturisce dalla sua esperienza è che il prodotto artigianale deve adattarsi ai gusti e ai consumi del luogo in cui viene esportato, senza però disconoscere le proprie origini e i tratti tipicamente italiani che lo contraddistinguono. Esemplificativa è l’esperienza giapponese, cominciata a metà degli Anni ’80. Il buon successo dell’operazione è stato determinato dall’intuizione di Donata, che ha voluto prima di tutto conoscere gli usi e i costumi giapponesi, così come la storia, i cibi e, in particolare, la pasticceria locale, che non è per nulla dolce. È sembrato inevitabile che il gelato ne ricalcasse lo stile, per non sconvolgere il gusto dei clienti. Restava da capire come i giapponesi avrebbero percepito il gelato artigianale “italiano”. Certamente l’idea che gli italiani fossero un popolo sempre allegro piaceva molto e, per questo, si è deciso di aprire 4 piccole gelaterie che producessero il gelato artigianale a contatto col pubblico, servendolo “all’italiana”, cioè in modo diretto e simpatico. L’interesse è stato subito grande. Soprattutto le donne giapponesi erano particolarmente desiderose di identificarsi con quelle italiane, percepite come sorridenti e solari. Dopo 19 anni, si può dire che questo tipo di comunicazione si è rivelata molto efficace e ha permesso una notevole crescita del business. Paolo Dalla Zorza, Presidente del Paolo’s Gelato America Paolo Dalla Zorza ha scelto l’America nel ’99 un po’ per caso, ma soprattutto perché negli U.s.a. Non ci sono molte gelaterie italiane autentiche. Nella Sud Est degli Stati Uniti poi, la cultura italiana è quasi sconosciuta. Per Paolo vendere il gelato in America è un’esperienza completamente diversa da quell’italiana. Non a caso, chi ha cercato di esportare il “modello italiano” ha ottenuto solo grossi fallimenti (come la Parmalat che nel ’98 ha aperto un locale ad Atlanta e nel ‘99 ha dovuto chiuderlo). Prima di venderlo, occorreva forse insegnare agli americani che cos’era il vero gelato italiano. Paolo lo ha fatto e, contemporaneamente, ha cercato di creare un locale che proponesse “un’esperienza italiana”: musica italiana, immagini che richiamano il nostro paese, personale italiano, nomi dei gusti in italiano. Attenzione però: non si tratta di un locale uguale a quello che troverebbero in Italia, ma di un locale che nella loro percezione ricordi l’Italia. Fondamentale è stato poi il passaparola, perché se ci si presenta bene e si accontenta il cliente, la gente parla bene di te e, soprattutto, torna ad acquistare. La pubblicità si è rivelata molto utile: è dovere informare il pubblico circa i valori nutrizionali del prodotto, la percentuale di grassi, di zuccheri, ecc. Altro dato fondamentale: la specializzazione. In America, se si vuol fare il gelato, bisogna fare solo quello perché un locale che vende di tutto, non si distingue dalla concorrenza. Infine un colpo di genio, questo sì all’italiana. Essendo medico veterinario, Paolo ha pensato di creare il pet gelato, una linea per cani e gatti a base senza zucchero e senza latte. L’idea sta funzionando alla grande e attira molti clienti non tanto dal punto di vista delle vendite, quanto da quello dell’eco suscitata. Se ne è parlato persino in televisione, insomma è stata un idea vincente. Conclusione: bisogna conoscere il mercato, osservare, capire che cosa ti chiede e cosa può recepire. Dario Mariotti, formatore e collaboratore della scuola Cast Alimenti Una cosa decisiva è il valore distintivo che un artigiano possiede e deve comunicare ai propri clienti. Si può cominciare col descrivere il prodotto e valutarlo attraverso l’analisi sensoriale, la degustazione. Ma siamo sicuri di cosa è realmente il gelato italiano? E soprattutto siamo in grado di riconoscere un maestro da un assemblatore? In Cast Alimenti frequentano i corsi professionisti italiani che vogliono proporsi all’estero ma anche operatori stranieri che desiderano imparare l’arte non solo del gelato ma anche della pasticceria e panificazione. Quando un prodotto è considerato italiano? Solo se è fatto da un italiano o anche se è un eccellente prodotto italiano realizzato però da un americano o da un cinese? E non c’è una contraddizione in termini tra la dimensione artigianale e il proporsi come sistema che vuole affermare un valore, l’immagine di una nazione? Si chiede all’artigiano di essere prevalentemente individuale ma siamo sicuri che dietro ci sia un’attività di sostegno per valorizzare il prodotto italiano? In Italia c’è tradizionalmente una sorta di sottovalutazione della capacità artigianale. Manca un percorso dignitoso per poter affermare che un artigiano propone un prodotto di qualità e sa fare bene il proprio mestiere. Alessandro Inglese, maestro panificatore e pasticciere, esperto di Pnl Alessandro Inglese, che viene dalla pasticceria e panificazione, recentemente ha deciso di diventare imprenditore. Un paio di anni fa, insieme ad un amico, ha infatti intrapreso un progetto particolare, reinventandosi un prodotto tipico italiano come la pizza. È nato così il Kono Pizza: una pizza a forma di cono e farcita con funghetti o salamini e, ovviamente, il pomodoro e la mozzarella. Una volta avuta l’intuizione, occorreva vendere il prodotto in tutto il mondo e, per fare ciò, si è scelto di applicare alcune regole “rubate” alla grande industria tra cui quella fondamentale che impone obiettivi chiari e ben definiti per ottenere buoni risultati. Grazie a questa regola base oggi Kono Pizza è distribuito in 12 paesi (tra cui Nuova Zelanda, Turchia, Russia, Grecia, Australia, Argentina e Inghilterra). Quello che manca oggi in Italia è però una vera e propria mentalità manageriale e una formazione adeguata. Non che manchino gli imprenditori, manca la conoscenza di quella che in America si chiama “ingegneria manageriale”, vale a dire un insieme di regole, un percorso formativo chiaro per chi si voglia imporre sul mercato mondiale. Anche l’artigiano deve cominciare a pensare con questo tipo di mentalità: se vuole crescere deve capire che la propria attività si confronta alla pari con l’industria, anche se non ha gli stessi mezzi e gli stessi numeri. Un ultimo suggerimento sempre traslato dall’industria: quando si intraprende un nuovo progetto occorre tener conto di 6 elementi fondamentali (regola delle 6 esse): ci vuole una Struttura per produrre e uno Staff adeguato. Contemporaneamente, occorre un Sistema che gestisca le persone all’interno della struttura e uno Skill, ossia il know how dell’azienda. Le persone devono essere acculturate e fatte crescere. A questo punto bisogna creare uno Stile e, solo a questo punto, si sceglie la Strategia da utilizzare per imporsi sul mercato. Ana Maria Galibert, vicepresidente di Pubblitec Argentina e membro del Comitato esecutivo di Fithep Brasile L’argentina vanta una vasta e antica esperienza di importazione del prodotto italiano tanto nel gelato, quanto nella pasta e nella pizza. Le storie dei nostri paesi sono sempre state legate, in particolare dopo la seconda ondata migratoria avvenuta negli Anni ‘50 quando molti artigiani italiani hanno portato in argentina la loro esperienza e la professione. Per gli argentini, quindi, il concetto e la storia del gelato sono inconfutabilmente italiani. Lo stesso presidente dell’associazione del gelato artigianale è Italiano anche se oggi in America Latina esistono distributori di gelato argentino con denominazione di origine. Il nucleo del gelato argentino è quindi il prodotto italiano, con le sue tradizioni e qualità di lavorazione e i professionisti del settore sono responsabili di mantenere la tradizione e un livello di qualità che permetta loro di essere sempre orgogliosi del prodotto che realizzano. A questo scopo occorre un lavoro molto forte a livello di formazione professionale. Sui siti www.Ilgelatiereitaliano.it e www.Ilpasticiereitaliano.it la versione integrale degli interventi “Come comunicare meglio e vendere di più il prodotto artigianale italiano nel mondo” Tavola rotonda internazionale organizzata dalle testate “From Italy Buyers Guide”, “il Gelatiere Italiano”, “il Pasticciere Italiano” e “il Panificatore Italiano”. Durante il Sigep 2005 a Rimini, la Casa Editrice Finedit ha organizzato una tavola rotonda in cui si è discusso dell’importanza di comunicar ai clienti il valore del prodotto artigianale. Molti relatori internazionali hanno portato la propria esperienza, dimostrando che il prodotto artigianale può essere vincente. Quest’evento è stato il punto d’arrivo di un lungo lavoro di team portato avanti da Atenaide Arpone, Paola Colonnetti, Miriam Galimberti e Monica Viani della Finedit Italia. Ecco il resoconto degli interventi. Alla tavola rotonda “Come comunicare meglio e vendere di più il prodotto artigianale italiano nel mondo”, tenutasi in occasione del Sigep di Rimini, sono intervenuti: Cristina Bellavista, amministratore unico Finedit Italia; Ana Maria Galibert, Vicepresidente di Publitec Argentina e Membro del Comitato esecutivo di Fithep Brasile e Publitec Argentina; Paolo Dalla Zorza, Presidente del Paolo’s Gelato America; Donata Panciera, giornalista e maestra gelatiera certificata; Eduard Bechoux, maestro cioccolatiere e consulente; Alessandro Inglese, maestro panificatore e pasticciere, esperto di Pnl; Dario Mariotti, formatore e collaboratore della scuola Cast Alimenti. Prima di cominciare la tavola rotonda, Fabrizio Bellavista vice direttore del mensile di comunicazione Adv ha sottolineato l’impegno della nostra casa editrice nel campo della comunicazione. Forte del motto di Paul Watzlawick “Se non comunichiamo, non esistiamo” Finedit Italia è sempre in prima linea quando si tratta di sottolineare l’importanza della comunicazione. Recentemente ha infatti promosso, in collaborazione con l’Istituto Europeo del Design (Ied), un concorso per la creazione di una campagna pubblicitaria collettiva per la valorizzazione del gelato artigianale. Cos’è una campagna collettiva? È un insieme di persone, di aziende, di investimenti che ha un unico obiettivo: far conoscere un determinato prodotto. Il caso più celebre in Italia è quello della campagna collettiva dei produttori di birra che negli anni ’60 sono riusciti a imporre una bevanda fino ad allora poco conosciuta e, di conseguenza, poco consumata. Gli studenti dello Ied sono già al lavoro per creare una campagna collettiva e le loro proposte verranno pubblicizzate attraverso le nostre riviste a partire dal mese di marzo. Lo scopo è quello di spronare le aziende e gli artigiani a unirsi per promuovere al meglio il frutto del loro lavoro. Cristina Bellavista, amministratore unico Finedit Italia, ha poi introdotto gli ospiti sottolineando l’importanza della loro esperienza nella promozione del prodotto artigianale nel mondo. Ecco gli interventi. Edouard Bechoux, maestro cioccolatiere e consulente Il maestro Bechoux ha portato la sua esperienza personale e concreta. Recentemente ha infatti aperto una cioccolateria dove vende i propri prodotti e, per creare un locale che fosse la “pubblicità vivente” della sua produzione, ha utilizzato molte informazioni “rubate” all’industria (che può permettersi costose ricerche di mercato volte alla fidelizzazione del cliente). Poiché bisogna offrire al cliente prodotti particolari che lo incuriosiscano, due sono gli elementi che il maestro ha scelto per caratterizzare la sua produzione: il cioccolato e le spezie. Persino il suo locale è arredato sulla base di un vero e proprio “codice colore” che ricorda i toni del cioccolato (marrone) e le spezie (arancio). Il risultato è un’atmosfera calda e accogliente che cattura il cliente. Anche il packaging riprende questo concetto, così come l’etichetta, il menù, il tovagliolo: tutto è declinato sulle stesse tonalità. Il prodotto deve ovviamente avere caratteristiche particolari che lo distinguano nettamente dalla concorrenza, ad esempio una torta al cioccolato con una bagna allo zenzero o una mousse fatta con cioccolato proveniente da un isola precisa. Questo dà modo al cliente di parlare del prodotto, di comprarlo, di regalarlo, di “passare parola” ovvero di fare pubblicità nel modo più efficace. Infine non bisogna dimenticare che quello che vende un pasticciere è soprattutto il piacere: sono finiti i tempi in cui si andava dal pasticciere o gelatiere o da qualsiasi altro artigiano per fame, al giorno d’oggi ci si va per “puro piacere” ed è questo l’impulso che occorre stuzzicare. Il suo consiglio è di appoggiarsi a dei consulenti: non si può pensare di fare tutto da soli con la scusa di risparmiare perché con un investimento minimo si avrà un enorme ritorno d’immagine. Donata Panciera, giornalista e maestra gelatiera certificata Proveniente da una famiglia che produce gelato da più di cent’anni, Donata Panciera ha cominciato prestissimo a girare il mondo in veste di consulente. Il dato fondamentale che scaturisce dalla sua esperienza è che il prodotto artigianale deve adattarsi ai gusti e ai consumi del luogo in cui viene esportato, senza però disconoscere le proprie origini e i tratti tipicamente italiani che lo contraddistinguono. Esemplificativa è l’esperienza giapponese, cominciata a metà degli Anni ’80. Il buon successo dell’operazione è stato determinato dall’intuizione di Donata, che ha voluto prima di tutto conoscere gli usi e i costumi giapponesi, così come la storia, i cibi e, in particolare, la pasticceria locale, che non è per nulla dolce. È sembrato inevitabile che il gelato ne ricalcasse lo stile, per non sconvolgere il gusto dei clienti. Restava da capire come i giapponesi avrebbero percepito il gelato artigianale “italiano”. Certamente l’idea che gli italiani fossero un popolo sempre allegro piaceva molto e, per questo, si è deciso di aprire 4 piccole gelaterie che producessero il gelato artigianale a contatto col pubblico, servendolo “all’italiana”, cioè in modo diretto e simpatico. L’interesse è stato subito grande. Soprattutto le donne giapponesi erano particolarmente desiderose di identificarsi con quelle italiane, percepite come sorridenti e solari. Dopo 19 anni, si può dire che questo tipo di comunicazione si è rivelata molto efficace e ha permesso una notevole crescita del business. Paolo Dalla Zorza, Presidente del Paolo’s Gelato America Paolo Dalla Zorza ha scelto l’America nel ’99 un po’ per caso, ma soprattutto perché negli U.s.a. Non ci sono molte gelaterie italiane autentiche. Nella Sud Est degli Stati Uniti poi, la cultura italiana è quasi sconosciuta. Per Paolo vendere il gelato in America è un’esperienza completamente diversa da quell’italiana. Non a caso, chi ha cercato di esportare il “modello italiano” ha ottenuto solo grossi fallimenti (come la Parmalat che nel ’98 ha aperto un locale ad Atlanta e nel ‘99 ha dovuto chiuderlo). Prima di venderlo, occorreva forse insegnare agli americani che cos’era il vero gelato italiano. Paolo lo ha fatto e, contemporaneamente, ha cercato di creare un locale che proponesse “un’esperienza italiana”: musica italiana, immagini che richiamano il nostro paese, personale italiano, nomi dei gusti in italiano. Attenzione però: non si tratta di un locale uguale a quello che troverebbero in Italia, ma di un locale che nella loro percezione ricordi l’Italia. Fondamentale è stato poi il passaparola, perché se ci si presenta bene e si accontenta il cliente, la gente parla bene di te e, soprattutto, torna ad acquistare. La pubblicità si è rivelata molto utile: è dovere informare il pubblico circa i valori nutrizionali del prodotto, la percentuale di grassi, di zuccheri, ecc. Altro dato fondamentale: la specializzazione. In America, se si vuol fare il gelato, bisogna fare solo quello perché un locale che vende di tutto, non si distingue dalla concorrenza. Infine un colpo di genio, questo sì all’italiana. Essendo medico veterinario, Paolo ha pensato di creare il pet gelato, una linea per cani e gatti a base senza zucchero e senza latte. L’idea sta funzionando alla grande e attira molti clienti non tanto dal punto di vista delle vendite, quanto da quello dell’eco suscitata. Se ne è parlato persino in televisione, insomma è stata un idea vincente. Conclusione: bisogna conoscere il mercato, osservare, capire che cosa ti chiede e cosa può recepire. Dario Mariotti, formatore e collaboratore della scuola Cast Alimenti Una cosa decisiva è il valore distintivo che un artigiano possiede e deve comunicare ai propri clienti. Si può cominciare col descrivere il prodotto e valutarlo attraverso l’analisi sensoriale, la degustazione. Ma siamo sicuri di cosa è realmente il gelato italiano? E soprattutto siamo in grado di riconoscere un maestro da un assemblatore? In Cast Alimenti frequentano i corsi professionisti italiani che vogliono proporsi all’estero ma anche operatori stranieri che desiderano imparare l’arte non solo del gelato ma anche della pasticceria e panificazione. Quando un prodotto è considerato italiano? Solo se è fatto da un italiano o anche se è un eccellente prodotto italiano realizzato però da un americano o da un cinese? E non c’è una contraddizione in termini tra la dimensione artigianale e il proporsi come sistema che vuole affermare un valore, l’immagine di una nazione? Si chiede all’artigiano di essere prevalentemente individuale ma siamo sicuri che dietro ci sia un’attività di sostegno per valorizzare il prodotto italiano? In Italia c’è tradizionalmente una sorta di sottovalutazione della capacità artigianale. Manca un percorso dignitoso per poter affermare che un artigiano propone un prodotto di qualità e sa fare bene il proprio mestiere. Alessandro Inglese, maestro panificatore e pasticciere, esperto di Pnl Alessandro Inglese, che viene dalla pasticceria e panificazione, recentemente ha deciso di diventare imprenditore. Un paio di anni fa, insieme ad un amico, ha infatti intrapreso un progetto particolare, reinventandosi un prodotto tipico italiano come la pizza. È nato così il Kono Pizza: una pizza a forma di cono e farcita con funghetti o salamini e, ovviamente, il pomodoro e la mozzarella. Una volta avuta l’intuizione, occorreva vendere il prodotto in tutto il mondo e, per fare ciò, si è scelto di applicare alcune regole “rubate” alla grande industria tra cui quella fondamentale che impone obiettivi chiari e ben definiti per ottenere buoni risultati. Grazie a questa regola base oggi Kono Pizza è distribuito in 12 paesi (tra cui Nuova Zelanda, Turchia, Russia, Grecia, Australia, Argentina e Inghilterra). Quello che manca oggi in Italia è però una vera e propria mentalità manageriale e una formazione adeguata. Non che manchino gli imprenditori, manca la conoscenza di quella che in America si chiama “ingegneria manageriale”, vale a dire un insieme di regole, un percorso formativo chiaro per chi si voglia imporre sul mercato mondiale. Anche l’artigiano deve cominciare a pensare con questo tipo di mentalità: se vuole crescere deve capire che la propria attività si confronta alla pari con l’industria, anche se non ha gli stessi mezzi e gli stessi numeri. Un ultimo suggerimento sempre traslato dall’industria: quando si intraprende un nuovo progetto occorre tener conto di 6 elementi fondamentali (regola delle 6 esse): ci vuole una Struttura per produrre e uno Staff adeguato. Contemporaneamente, occorre un Sistema che gestisca le persone all’interno della struttura e uno Skill, ossia il know how dell’azienda. Le persone devono essere acculturate e fatte crescere. A questo punto bisogna creare uno Stile e, solo a questo punto, si sceglie la Strategia da utilizzare per imporsi sul mercato. Ana Maria Galibert, vicepresidente di Pubblitec Argentina e membro del Comitato esecutivo di Fithep Brasile L’argentina vanta una vasta e antica esperienza di importazione del prodotto italiano tanto nel gelato, quanto nella pasta e nella pizza. Le storie dei nostri paesi sono sempre state legate, in particolare dopo la seconda ondata migratoria avvenuta negli Anni ‘50 quando molti artigiani italiani hanno portato in argentina la loro esperienza e la professione. Per gli argentini, quindi, il concetto e la storia del gelato sono inconfutabilmente italiani. Lo stesso presidente dell’associazione del gelato artigianale è Italiano anche se oggi in America Latina esistono distributori di gelato argentino con denominazione di origine. Il nucleo del gelato argentino è quindi il prodotto italiano, con le sue tradizioni e qualità di lavorazione e i professionisti del settore sono responsabili di mantenere la tradizione e un livello di qualità che permetta loro di essere sempre orgogliosi del prodotto che realizzano. A questo scopo occorre un lavoro molto forte a livello di formazione professionale. Sui siti www.Ilgelatiereitaliano.it e www.Ilpasticiereitaliano.it la versione integrale degli interventi
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