Pubblicità | ARCHIVIO | FRASI IMPORTANTI | PICCOLO VOCABOLARIO
 













MARKETPRESS
  Notiziario
  Archivio
  Archivio Storico
  Visite a Marketpress
  Frasi importanti
  Piccolo vocabolario
  Programmi sul web








  LOGIN


Username
 
Password
 
     
   


 
Notiziario Marketpress di Mercoledì 23 Febbraio 2005
 
   
  Pagina1  
  IL LAVORO FLESSIBILE PIACE, MA LA FAMIGLIA PUO’ ATTENDERE SANGALLI: “SE IL LAVORO A MILANO CAMBIA, OCCORRE CREARE STRUTTURE PER FACILITARE L’INCONTRO TRA FORMAZIONE E IMPRESA”  
   
  Milano, 23 febbraio 2005 - In Italia un lavoratore su dieci nelle imprese è occupato a Milano, un milione e mezzo su 15 milioni. Milano si caratterizza per essere città dei servizi. Quasi il 15% degli addetti si concentra nelle attività professionali ed imprenditoriali, un 17% nel commercio e un 5% nell’informatica. Nel confronto nazionale un assicuratore su tre lavora a Milano. Milano come fucina di lavoro diventa sempre più presente in tutta Italia: il 40% dei posti di lavoro creati dalle imprese milanesi sono fuori del territorio provinciale, cioè circa 610 mila addetti arrivano dalle 40 mila imprese delocalizzate in altre province a cui se ne aggiungono circa 240 mila creati dalle 1.000 multinazionali milanesi all’estero: in tutto 850 mila posti di lavoro fuori Milano, in Italia e nel mondo. Ma nel centro economico del Paese cambia il lavoro. Il contratto atipico piace: due lavoratori su tre sono soddisfatti della propria esperienza professionale, grazie alla possibilità di gestire autonomamente l’attività, il tempo e di acquisire nuove competenze. Ma non mancano le preoccupazioni, in particolare l’insicurezza economica che può ostacolare la scelta di acquistare casa o di mettere su famiglia: e così solo in 1 caso su 7 un lavoratore atipico ha dei figli. La riforma Biagi è apprezzata soprattutto da chi svolgeva collaborazioni occasionali (ora limitate dalla riforma), mentre ha dei dubbi chi aveva un contratto interinale. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano attraverso il Lab Mim e dai dati contenuti nella ricerca “I rapporti di lavoro atipici in fase di trasformazione” svolta dal servizio studi della Camera di commercio su un campione di lavoratori e lavoratrici con contratti atipici della provincia di Milano. Il lavoratore atipico è normalmente single, laureato, svolge professioni di livello medio-alto e vede nel 68% dei casi il suo futuro in modo positivo. Il contratto atipico è nella maggioranza dei casi una scelta; tuttavia, per quasi 1 lavoratore su 3 è l’unica strada percorribile. Si lavora a tempo pieno, soprattutto nei servizi alle imprese e in realtà medio-piccole, e nel 30% dei casi per più di un solo datore di lavoro. Ma non solo: il rapporto atipico presso la stessa impresa dura nel tempo, e infatti per oltre 1 lavoratore su 3 il rapporto supera i due anni. L’esigenza di formazione e di aggiornamento è molto sentita dai lavoratori atipici (nel 69% dei casi), tuttavia solo il 30% dei lavoratori atipici ha partecipato ad almeno una esperienza formativa negli ultimi due anni. Gli ostacoli sono legati in particolare al costo della formazione, al tempo necessario che risulta inconciliabile con le esigenze lavorative e/o con quelle della vita personale, nonché alla mancanza di informazione sui corsi. Milano per lo sviluppo: un nodo della rete globale. La Camera di commercio di Milano, a distanza di quattro anni organizza una nuova edizione della manifestazione. L’iniziativa si svolge il 21 e 22 febbraio a Milano presso il Teatro Grassi e Palazzo Affari ai Giureconsulti e vede riuniti i principali esponenti del mondo delle istituzioni, dell'impresa, della cultura e delle parti sociali, chiamati a discutere, analizzare e progettare un nuovo cammino di crescita della città. Oltre 80 i relatori italiani e stranieri in due convegni e tre workshop. Un contributo di confronto ed approfondimento sulle tematiche connesse a Milano e al suo sviluppo, cercando di rispondere ad una delle principali necessità imposte dalla "rete globale": cogliere in modo tempestivo le nuove sfide. Tra i relatori di oggi Billè, il ministro Stanca, Diana Bracco, i rettori Provasoli e Ornaghi. “Se il lavoro a Milano cambia – ha commentato Carlo Sangalli, presidente della Camera di commercio -, trasformare questo dato di fatto in una occasione di crescita per tutte le parti coinvolte è la sfida a cui dobbiamo dare risposta. In questo senso, investire e sostenere una formazione continua riveste un ruolo insostituibile in un’epoca in cui la competizione la fa il capitale umano assai più che quello fisico. Ma allo stesso tempo occorre creare strutture per facilitare l’inserimento e lo spostamento nel mondo del lavoro, l’incontro tra domanda e offerta, ma anche azioni sociali di sostegno e riqualificazione a fronte di situazioni di difficoltà. La prossima apertura dello sportello scuola-impresa-lavoro in Camera di commercio è testimonianza di questo nostro impegno”. Tutti i dati della ricerca Lavoratori atipici e famiglia. Sono per lo più giovani (tra i 20-29 anni nel 45% dei casi; nell’89% dei casi hanno meno di 40 anni), vivono ancora con i loro genitori (nel 39% dei casi) o, in seconda battuta, da soli (24%), mentre solo in meno di 1 caso su 7 hanno dei figli (14%), e presentano un titolo di studio elevato (nel 46% hanno almeno una laurea; nel 47% un diploma). Il contratto atipico più diffuso al momento della ricerca risulta essere il Co.co.co (30%), seguito dall’interinale (19%), partita Iva (18%), collaborazione a progetto (18%), collaborazione occasionale (15%). Per quanto riguarda la professione svolta, prevalgono i profili di livello medio o medio-alto: docenti/orientatori/tutor (18%); consulenti tecnici (11%); consulenti marketing e fiscali (10%); autori/redattori (8%); psicologi/operatori sociali (7%); ricercatori (7%). Tra gli altri profili, si segnalano gli operatori di call center (15%); impiegati e segretarie (10%); operai (4%). Le prospettive future. Due lavoratori atipici su tre (il 68% degli intervistati; il 77% degli uomini e il 63% delle donne) hanno una visione sostanzialmente positiva del proprio futuro lavorativo (nel giro di 3 anni). Ma quali sono le ragioni per cui il lavoratore atipico è soddisfatto? Perché pensa che avrà un lavoro atipico ma con migliori condizioni retributive o maggiori competenze (38%); o perché avrà un lavoro dipendente adeguato alle proprie competenze (20%), o comunque perché manterrà la situazione attuale di cui è soddisfatto (10%). Il 23% dichiara di non avere prospettive di cambiamento; il 4% sarà alla ricerca di un lavoro dipendente. I più ottimisti sono: chi ha meno di 40 anni (72%), ha un livello di istruzione elevato (laurea o post laurea: 77%); e come contratto di lavoro ha una collaborazione occasionale (83%) o Co.co.co (73%). Per quanto riguarda l’impatto della legge 30/2003 (la riforma Biagi), il 67% dei lavoratori atipici non la conosce nel dettaglio; il 22% la considera negativamente; l’11% la considera positivamente. L’impatto viene giudicato negativamente soprattutto da chi ha un contratto interinale (43%) e positivamente da chi svolge collaborazione occasionali (25%). Nel 54% dei casi, la legge non ha prodotto alcuna variazione nel rapporto di lavoro atipico; nel 37% ha determinato il mantenimento del rapporto ma con una comunicazione di variazione futura; nel 9% ha prodotto una variazione del rapporto precedente. La valutazione delle imprese sui contratti atipici. I principali vantaggi che le imprese sottolineano sono: il costo inferiore (alcuni tipi di contratto prevedono minori oneri contributivi o non li prevedono affatto); la flessibilità di diversi aspetti costitutivi dei rapporti di lavoro, in particolare la durata del rapporto e gli orari, che permette di rispondere a picchi della domanda, operare sostituzioni temporanee, sperimentare innovazioni e acquisire particolari competenze per periodi limitati; ma anche la possibilità di usare i contratti atipici per selezionare il personale da inserire stabilmente. I principali limiti riscontrati dalle imprese sono invece legati ai rischi di turn-over, vale a dire di abbandono di lavoratori preparati che possono trasmettere il know how tecnico ad altre società, in particolare quanto più alta è la loro professionalità; ma anche quello di uno scarso impegno legato al fatto di sentirsi precari, soprattutto per le attività operative di livello medio-basso. Per quanto riguarda il giudizio sulla riforma Biagi, tra gli aspetti negativi si sottolineano il rischio di un aumento dei costi per l’impresa (sia quelli del lavoro sia quelli derivanti dalla necessità di modificare l’organizzazione, in particolare per quelle imprese che hanno difficoltà a trasformare i Co.co.co in collaborazioni a progetto); tra quelli positivi: il fatto di porre un limite ad un uso distorto della flessibilità da parte di imprese senza scrupoli a danno sia dei lavorati ma anche delle altre imprese, così come di rappresentare una soluzione equilibrata del conflitto di interessi tra imprese e lavoratori. Le motivazioni. Nel 42% dei casi, il contratto atipico è stato il trampolino di ingresso nel mondo del lavoro, mentre il 31% ha iniziato con un lavoro dipendente. Il contratto atipico è scelto da più di 1 lavoratore su 2 (55% dei casi), in particolare per la sua flessibilità (nel 26% dei casi), perché gli ha permesso di entrare nel tipo di attività che gli interessava (26%), ma anche perché in alcuni casi garantisce un compenso più alto a parità di ore lavorate (3%). Per 1 lavoratore su 3 (37%), tuttavia, il contratto atipico non è il frutto della sua scelta. Per chi si lavora. Nel 51% dei casi l’attività è prestata per un solo datore di lavoro, e nel 30% dei casi per due. Il contratto atipico è utilizzato soprattutto dalle aziende impegnate nei servizi alle imprese (assicurazioni, telecomunicazioni, grande distribuzione, agenzie pubblicitarie: nel 40% dei casi); seguono le agenzie di formazione, orientamento e consulenza (20%), le aziende produttive (settore farmaceutico; editoriale; produzione radio-televisiva: 17%), le cooperative e agenzie di servizi alla persona (10%), gli enti pubblici (9%), le associazioni culturali (4%). Per quanto riguarda le dimensione delle imprese, l’uso di contratti atipici è prevalente per quanto riguarda le imprese fino a 15 addetti (44% del tot. Complessivo di contratti atipici), ma è anche molto diffusa tra quelle con oltre 51 addetti (21%). Le imprese con più di 50 addetti utilizzano prevalentemente il lavoro interinale; quelle con meno di 15 addetti soprattutto i Co.co.co e le collaborazioni a progetto. Quanto si lavora. Per il 38% degli intervistati la durata della loro collaborazione attuale ha oramai superato i due anni; nel 14% dei casi da 1 a 2 anni; nel 17% dei casi da 6 a 11 mesi; nel 31% dei casi meno di 5 mesi. Un lavoratore atipico su 2 (52%) ha un orario a tempo pieno; nel 26% si tratta di un part time di tipo orizzontale (soprattutto femminile); nel 22% di tipo verticale (soprattutto maschile). Il 59% dei lavoratori atipici ha autonomia nella definizione dell’orario. La flessibilità degli orari è sentita come un vantaggio nel 53% dei casi, soprattutto dalle donne (59%: offre possibilità di conciliare impegni di lavoro con vita familiare/personale); ma 1 lavoratore atipico su 3 la considera un elemento che complica la gestione della quotidianità, soprattutto uomini (39%). La formazione. L’esigenza di formazione e di aggiornamento è molto sentita dai lavoratori atipici (nel 69% dei casi), in particolare da chi proviene da un percorso di studio umanistico/classico (84%), ha un contratto interinale (80%), ha meno di 30 anni (77%), e dalle donne (78% dei casi). Diverse sono le motivazioni: svolgere meglio il proprio lavoro (45%); poter fare un lavoro più interessante (28%); avere un rapporto di lavoro più sicuro e garantito (17%) e più retribuito (11%). Si vuole soprattutto migliorare le proprie competenze di tipo relazionale (80%) e tecniche (77%). A fronte dell’importanza data alla formazione, solo il 30% dei lavoratori atipici ha partecipato ad almeno una esperienza formativa negli ultimi due anni. Gli ostacoli sono legati in particolare al costo della formazione (ragione citata dal 68% degli intervistati), al tempo necessario che risulta inconciliabile con le esigenze lavorative e/o con quelle della vita personale (71%), ma anche alla mancanza di informazione sui corsi (40%). La valutazione del proprio lavoro. Due lavoratori atipici su tre (66%) risultano complessivamente soddisfatti della propria esperienza professionale; il 18% in parte soddisfatti; il 16% insoddisfatti. Del lavoro atipico si apprezza soprattutto la possibilità di gestire autonomamente l’attività (saldo tra valutazioni positive e negativi: 77%); l’interesse per il tipo di attività svolta (68%); l’opportunità di acquisire competenze spendibili in altri contesti lavorativi (56%) e l’opportunità di gestire il tempo in base alle proprie esigenze (50%). Più problematiche risultano le condizioni retributive (saldo tra valutazioni positive e negative: 3%). Le preoccupazioni. Le preoccupazioni principali dei lavoratori atipici sono legate all’insicurezza economica (citata dal 71% degli intervistati), in quanto costituisce un impedimento a prendere decisioni importanti come l’avere un figlio o acquistare una casa (54%) o implica la necessità di dipendere dalla famiglia (17%). Pesa anche la mancanza di garanzie per ferie, malattie, maternità/paternità (50%), il rischio di disoccupazione (37%), e quello di svolgere un lavoro inadeguato o di non poter fare carriera (33%). Il 15% dei lavoratori atipici non ha invece alcuna preoccupazione. Sono nettamente più preoccupate le donne, in particolare le ventenni e le over 40: soprattutto per l’ansia di rimanere disoccupate (rispettivamente 47% e 63%), per l’insicurezza economica (84% per le ventenni) e per la mancanza di garanzie (63% delle donne over 40). Lo sportello scuola-impresa-lavoro. Lo sportello scuola-impresa-lavoro nasce con l’intento di facilitare la formazione dei giovani, la loro transizione dalla scuola al lavoro e, più in generale, l’accesso al mondo del lavoro incentivando la diffusione sul territorio di iniziative di stage e tirocini (presso le Pmi, mediante azioni concertate e sinergiche con istituti scolastici, università e altre agenzie formative) nell’ambito delle riforme “Moratti” e “Biagi”. Destinatari del servizio, oltre alle Pmi e agli studenti, sono gli aspiranti imprenditori/lavoratori autonomi utenti del servizio Punto Nuova Impresa, i lavoratori atipici, gli immigrati, le donne, i militari e gli ex-detenuti. I principali servizi offerti dallo sportello sono: informazioni e orientamento sulle diverse tipologie contrattuali per l’impiego delle risorse umane; segnalazione di risorse umane adeguatamente valutate rispetto alla coerenza con le specifiche esigenze di impiego dell’impresa richiedente; assistenza e supporto procedurale e organizzativo all’inserimento in stage/tirocinio e nella valutazione dell’esperienza; possibilità di accesso e utilizzo, da parte degli operatori, delle banche dati del sistema delle Camere di commercio che consentono una puntuale e articolata conoscenza del mondo delle imprese; collegamento diretto e integrazione operativa con gli altri servizi camerali a supporto delle Pmi. L’avvio dello sportello rientra nell’ambito delle iniziative generate a seguito della collaborazione avviata da Unioncamere con Miur e Ministero del Welfare, che caratterizza le Camere di commercio come soggetti idonei a favorire il raccordo tra istituzioni formative e sistema delle imprese. Il mercato del lavoro a Milano: quadro riassuntivo Occupazione e disoccupazione. Il 2003 è stato un anno di sostanziale stabilità per il mercato del lavoro milanese: l’occupazione si riduce leggermente (-0,5%, rispetto al +1% dell’Italia e della Lombardia) per un tot. Di 1.650.000 occupati. In particolare, diminuiscono gli occupati maschili (-0,9%), mentre rimane invariata l’occupazione femminile. Per quanto riguarda la distribuzione settoriale degli occupati, risulta in flessione il settore dei servizi (-15 mila addetti), mentre sono in crescita sia l’industria (+4mila) che l’agricoltura (+mille). Nel complesso, i lavoratori dipendenti diminuiscono di circa 9mila unità (-0,7%) e quelli autonomi di mille (-0,3%). Come risultato, il tasso di occupazione (rapporto tra occupati e popolazione in età di lavoro) è risultato stazionario per il 2003, anche se mostra un segno opposto per gli uomini (-0,3%) rispetto alle donne (+0,2%) a conferma dell’ottima performance del lavoro femminile in provincia di Milano. Se si allarga lo sguardo al decennio 1993/2003, si registra uno sviluppo negativo per gli uomini (-1,3%) ed a una crescita notevole per le donne (+4,9%). Il tasso di disoccupazione milanese si riduce ulteriormente e arriva al 4,5% (dal 4,6% del 2002), grazie in particolare al calo del tasso femminile (dal 6% al 5,7%), a fronte di una lieve crescita di quello maschile (3,7%: +0,1%). Se consideriamo il decennio 1993/2003, il tasso di disoccupazione milanese passa dal 6,9% al 4,5% (-35%); una diminuzione da imputare molto più alla componente femminile (dal 9,4 al 5,7%) che a quella maschile (dal 5,2 al 3,7%). L’avviamento al lavoro. Su 233.952 avviamenti al lavoro nel corso del 2003, prevalgono i contratti atipici (133.015; pari al 56,9% del tot.; in crescita rispetto al 53,9% del 2002), seguiti da quelli a tempo indeterminato (100.937; 43,1%). Gli avviamenti al lavoro maschili sono stati 133.835 (pari al 57,2% del tot. Rispetto al 57,6% del 2002); mentre quelli che coinvolgono cittadini extracomunitari sono quasi 45 mila (pari al 19,2% del tot.; stabili rispetto al 2002). Tipologie di lavoro atipico (prima della riforma). Il contratto a tempo determinato: a Milano (ultimo dato disponibile: 2002), si registrano 93.589 avviamenti per un tot. Di 56.549 soggetti coinvolti, sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente. Si tratta per lo più di adulti (età media: 31,2), divisi equamente tra donne e uomini. Il 78,3% è impegnato nei servizi, con una prevalenza di professioni relative alle vendite (36,6%) e di impiegati (13,1%). Il lavoro interinale: interessa oltre 45 mila lavoratori (dato: 2002), in crescita rispetto al 2001 (+3.291 unità). In particolare, si hanno 50.351 avviamenti (+2.300 rispetto al 2001; per un tot. Di 30.817 soggetti coinvolti) e 28.312 proroghe (per un tot. Di 14.211 lavoratori). L’età media è di 29,5 anni, con una leggera prevalenza di uomini (57,5%); gli stranieri rappresentano il 18,2% del tot. I servizi è il settore con più avviamenti (51%), precedendo l’industria (47,5%). La durata media di una missione è di 35 giorni (22,5 nel settore agricolo; 38,6 nei servizi; 44,2 giorni nell’industria). Tra le qualifiche di avviamento, si segnala per il 21,1% gli impiegati; 14,9% professioni relative alle vendite; 14% conduttori di impiantai; 7,9% tecnici. Il part time: scende il numero di avviamenti (da 46 mila a 40 mila; -15%). Si tratta per 2 casi su 3 di donne, con una età media di 33 anni (mentre tra i maschi prevalgono i giovani o i più anziani). Per 1 part-time su 4 si tratta di stranieri. Fra le qualifiche di avviamento, prevalgono le “professioni relative alle vendite” (44,6% del totale) seguite dal “personale non qualificato” (26,8%) e dagli “impiegati” (15,2%). In relazione ai settori di attività si conferma l’utilizzo quasi esclusivo (89,2%) di questa forma contrattuale nel terziario, in particolare nel commercio e nel comparto”alberghi e ristoranti”. Contratti di formazione e apprendistato: si registra per entrambe le forme contrattuali una contrazione. Gli avviamenti con C.f.l. Sono diminuiti del 36% (tot. Avviamenti: 12.393) e quelli di apprendistato del 28,6% (tot. Avviamenti: 11.276). L’apprendistato coinvolge soprattutto giovani (età media: 21 anni), in leggera prevalenza uomini (52,1%) e impegnati nei servizi (59,4%). Per i contratti di formazione lavoro l’età cresce leggermente (25,6 anni), crescono gli uomini (60%) e il settore dei servizi (68%). In entrambi i casi è contenuto il ricorso agli stranieri (rispettivamente: 6,2% e 6%). La professionalità. Il 2003 conferma il ruolo trainante del sistema produttivo milanese che continua ad essere all’avanguardia: gli assunti con profili professionali “elevati” (dirigenti, professioni intellettuali, scientifiche e tecniche) assorbono oltre il 30% del totale delle oltre 65 mila assunzioni (anche se in leggera contrazione rispetto al 2002), mentre in Lombardia e in Italia le percentuali sono state rispettivamente del 22,5% e del 16,5%. Di segno contrario sono le considerazioni per il personale non qualificato e per i conduttori e operatori di macchinari; essi sono stati assorbiti a Milano per meno del 20% del totale mentre in Lombardia e in Italia si sono registrate percentuali rispettivamente del 25,7% e 27,5%. Per quanto riguarda i titoli di studio, la laurea a Milano “conta”: il 15% delle assunzioni previste dalle imprese milanesi coinvolge infatti i laureati (rispetto al 10% della Lombardia e al 6,5% dell’Italia). I diplomati sono richiesti nel 34,5% dei casi; chi è in possesso di una formazione professionale nel 14,8% dei casi; chi ha la licenza media nel 36% dei casi. Rispetto all’anno scorso cresce di quasi 4 mila unità la richiesta di chi è in possesso della licenza media. L’indice di criticità della domanda di lavoro (dato dalla combinazione tra la quota di assunzioni considerate di difficile reperimento e la quota per cui si ritiene necessaria una ulteriore formazione) è risultato nel 2003 a Milano pari a 6,73, inferiore sia a quello della Lombardia (7,00) che a quello nazionale (6,80), evidenziando quindi una situazione nell’area milanese più favorevole al reperimento di una nuova figura professionale. I comparti più critici sono risultati essere quello meccanico-elettrico e dei mezzi di trasporto (7,62) e quello dell’informatica e telecomunicazioni (7,19).  
     
  <<BACK