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Notiziario Marketpress di
Lunedì 28 Febbraio 2005
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EPIDEMIOLOGIA DELLA MALATTIA DI PARKINSON |
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Reggello (Firenze), 28 febbraio 2005 -La malattia di Parkinson è una patologia degenerativa del sistema nervoso centrale, relativamente frequente nell’età adulta. Per l’identificazione dei casi di parkinsonismo la maggior parte delle metodologie abituali (consultazione di archivi ospedalieri, dei medici di famiglia e specialisti, consumi dei farmaci specifici), provoca una sottostima dei tassi perché, in genere, tra l’esordio della sintomatologia clinica e la diagnosi trascorrono in media due anni e pertanto i pazienti che non hanno ancora consultato il medico di famiglia o il neurologo o che non si sono rivolti a strutture ospedaliere o che non hanno ancora utilizzato farmaci, non verrebbero identificati. Per tale ragione negli ultimi quindici anni si sono sviluppati studi descrittivi che hanno utilizzato la metodologia del censimento ‘porta a porta’, un approccio diretto con tutta la popolazione oggetto di indagine che permette un più completo accertamento dei casi, anche quelli non ancora ‘ufficializzati’. Inoltre la Malattia di Parkinson abitualmente insorge sopra i 40 anni di età, pertanto, per confrontare i tassi ottenuti in aree differenti da un punto di vista socioeconomico e con diverse attese di vita, è necessario standardizzarli rispetto a una comune popolazione di riferimento. Prevalenza La prevalenza della malattia di Parkinson risulta infatti estremamente variabile a seconda delle popolazioni prese in considerazione, con differenze pure di 10 volte tra i tassi più bassi ed i più alti: dai 31,4 ai 328 casi ogni 100.000 abitanti. Anche in Italia è riportata una estrema variabilità di risultati, con prevalenze tra 65,6 e 185 abitanti su 100.000 per gli studi che hanno utilizzato metodologie indirette e invece addirittura 257 nell’unico studio porta a porta, effettuato in Sicilia In particolare le prevalenze risultano nettamente inferiori in Asia, in Africa ed in Sardegna. Specificamente rilevante risulta quindi lo studio condotto in tre comunità siciliane (Terrasini, Riposto e Santa Teresa di Riva), che ha utilizzato il metodo porta a porta, strutturato in 2 successive fasi di indagine e ottenendo così informazioni epidemiologiche dirette e complete, con pochi rischi di distorsioni. In questa ricerca – pubblicata nel ’92 da Letterio Morgante, professore ass. Neurologia Univ. Messina - la prevalenza cruda per 100.000 abitanti è risultata pari a 257: i tassi sono risultati aumentare progressivamente con l’aumentare dell’età e non si sono evidenziate differenze significative tra i 2 sessi. Le prevalenze ottenute nello studio siciliano appaiono dunque nettamente superiori a quelle riportate precedentemente in Italia: l’interpretazione di tali risultati è possibile sulla base proprio dell’approccio metodologico porta a porta, che ha permesso di identificare quasi un 35 per cento [ovvero ben un terzo] di casi non ancora diagnosticati, che sicuramente sarebbero sfuggiti ad un’indagine epidemiologica di tipo indiretto. Incidenza L’incidenza esprime il numero di nuovi casi che si verificano nell’arco di una determinata unità di tempo e in una determinata popolazione. Per la Malattia di Parkinson, a differenza di altre patologie il cui esordio può essere riferito ad un momento determinato, si impone di considerare per l’incidenza il giorno in cui viene posta la diagnosi clinica. Comprensibilmente dato l’instaurarsi subdolo e sfuggente che tipicamente caratterizza il ‘Parkinson’: infatti spesso tra l’esordio della sintomatologia e la diagnosi clinica corre un intervallo tra i 6 e i 18 mesi. Anche per questo gli studi di incidenza sono meno numerosi rispetto a quelli di prevalenza, e sono stati per lo più effettuati in Paesi industrializzati, con tassi variabili tra 4,9 e 23,8 casi su 100.000 abitanti. I tassi di incidenza sono comunque bassi prima dei 50 anni e raggiungono valori più elevati tra 70 e 79 anni. I casi di parkinsonismo giovanile appaiono tra l’1 e il 18,5 per cento. Negli ultimi 60 anni i tassi di incidenza si sono mantenuti praticamente stabili. Mortalità e sopravvivenza Così come per il tasso di incidenza anche per quello di mortalità è sempre opportuno considerare i dati con il beneficio dell’inventario. Infatti, in era pre-dopa, alcuni studi clinici riportavano una ridotta sopravvivenza nei soggetti affetti da Malattia di Parkinson rispetto alla popolazione generale, con un rischio relativo di morte triplo nei parkinsoniani. Dopo l’introduzione della levodopa e fino alla metà degli anni ’80, invece si è assistito ad una inversione di tendenza, con numerosi studi clinici che riportavano una sopravvivenza sovrapponibile alla popolazione generale. Dopo tale epoca, invece, gli studi di popolazione che hanno un migliore grado di accuratezza, ribadivano una ridotta sopravvivenza dei parkinsoniani: e per cause di morte che si discostano rispetto a quelle della popolazione generale. Però è anche risultato che negli Stati Uniti – ad esempio - solamente nel 63,9 per cento [con un difetto ,quindi, di 4 casi su 10] la Malattia di Parkinson veniva correttamente riportata sui certificati. I dati più recenti, indicativamente danno comunque a causa del ‘Parkinson’ un rischio di morte più elevato e una sopravvivenza significativamente ridotta. (Da appunti del prof. Giovanni Abbruzzese, Straordinario di Neurologia, Università di Genova)
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