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Notiziario Marketpress di
Lunedì 21 Marzo 2005
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POLEMICA EUROSTAT-ISTAT DICHIARAZIONI DEL PROF. GIAN MARIA FARA, PRESIDENTE EURISPES |
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Roma, 21 marzo 2005 - Le perplessità e le riserve manifestate dall’Eurostat sui conti pubblici italiani certificano autorevolmente i dubbi sollevati dall’Eurispes, negli ultimi tre anni, sulle attività dell’Istituto Centrale di Statistica. Le cifre fornite dall’Istat in materia di inflazione, di occupazione, di retribuzioni, di economia sommersa e, infine, in materia di conti pubblici sono palesemente distorte e piegate alle necessità e agli indirizzi del Governo, che continua a rappresentare una realtà virtuale che si scontra quotidianamente con la realtà vissuta da milioni di famiglie e imprese italiane. Nonostante le rassicuranti affermazioni del Governo, nel periodo 2000-2004, il calo della produzione industriale è stato generalizzato (l’indice generale degli ordinativi totali segna una flessione di 7,9 punti) ed ha investito sia i settori a basso come quelli ad alto valore aggiunto: si sono registrati sensibili diminuzioni nei settori pelli e calzature (-15,6 punti), apparecchi elettrici e di precisione (-20,7), mezzi di trasporto (-22,6), mobili (- 6,3). Il sommerso, 302 miliardi di euro, ha superato ormai il 28% del Pil. L’evasione fiscale ha raggiunto i 134 miliardi di euro nel 2004 e l’Eurispes stima che arriverà a circa 145 nel 2005. Nonostante i proclami del Governo, gran parte dell’aumento dell’occupazione stimato dall’Istat è fittizio sia perché vengono contabilizzati come posti di lavoro i diversi contratti a progetto firmati dallo stesso lavoratore nel corso dell’anno, sia perché il numero dei disoccupati decresce a causa del fenomeno dei cosiddetti “disoccupati scoraggiati” – e tra questi un numero sempre crescente di donne - che rinunciano a proporsi sul mercato del lavoro. Peraltro, la metà della nuova occupazione, in gran parte giovanile, è atipica e per la prima volta nel nostro Paese i nuovi lavoratori portano i caratteri di una precarietà e di una incertezza che di fatto non trovano sostegno nel sistema previdenziale, né in quello creditizio, né in quello professionale. Dall’introduzione della legge Biagi, ben 61 collaboratori coordinati e continuativi su 100, anziché accedere ad una maggiore stabilità contrattuale, sono diventati “lavoratori a progetto”. Oltre 4 milioni 700mila famiglie italiane (circa il 22% delle famiglie totali) e oltre 14 milioni di individui sono sicuramente poveri o quasi poveri. L’estensione delle aree di povertà nel nostro Paese è dipesa soprattutto dall’elevato tasso di inflazione che nel periodo 2001-2004 si è attestato su una media dell’8% annuo. Nello stesso periodo, la perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni, a causa dell’inflazione e dell’effetto fiscal drag, è stata pari al 23,9% per gli impiegati, al 20,4% per gli operai, al 19,5% per i dirigenti e al 17,6% per i quadri. In questo contesto il vistoso calo dei consumi (-2,7%) appare come l’esito naturale di una profonda fase di crisi economica e produttiva. Nello stesso tempo l’indebitamento delle famiglie italiane e il numero delle nuove società finanziarie che erogano credito al consumo assumono proporzioni sempre più preoccupanti. Tuttavia, il Governo continua ad utilizzare strumentalmente dati e informazioni rilevati in maniera occasionale e approssimativa da personale professionalmente inadeguato, ove si consideri che sui quasi 3.000 dipendenti dell’Istat gli statistici sono appena un centinaio e che le rilevazioni sul territorio, demandate tradizionalmente ai comuni, vengono effettuate da vigili urbani e impiegati comunali per ciò che riguarda i prezzi al consumo, e dai commercialisti e dai consulenti delle singole imprese per ciò che riguarda la produzione industriale e i bilanci delle aziende. In questo quadro, la nuova Commissione di Studio per la revisione degli indici dei prezzi al consumo, varata dal presidente dell’Istat Biggeri, è totalmente inutile e al massimo potrà rappresentare il classico pannicello caldo con il quale si pretende di curare una patologia ormai in fase di non ritorno. Ciò che occorre invece per restituire credibilità al sistema statistico nazionale è una profonda e radicale riforma dell’Istat e delle sue metodologie che preveda la massiccia immissione di adeguate professionalità (statistici, ricercatori e analisti) in grado di condurre sul territorio rilevazioni serie, puntuali e affidabili. Ed infine, occorre sottrarre al Governo il controllo dell’Istituto che dovrebbe essere invece trasformato in una Agenzia indipendente che rappresenti al suo interno la complessità e l’articolazione della realtà sociale, economica e produttiva italiana.
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