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Notiziario Marketpress di Lunedì 21 Marzo 2005
 
   
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  L’INFORMATION & COMMUNICATION TECHNOLOGY CHE SERVE VERAMENTE ALLA PICCOLA E MEDIA IMPRESA CONVEGNO A MILANO PROMOSSO DA CNA COMUNICAZIONE, SIAER, SOCIETÀ DI ICT, CNA MILANO E COMITATO PMI  
   
  Milano, 21 marzo 2005 - La piccola e media impresa vive di relazioni sempre più strette con filiere produttive, distretti, comprensori, clienti e fornitori: per questo serve condividere data base e procedure. La piccola e media impresa può trarre grandi vantaggi da un miglioramento dei processi, dal decentramento produttivo, dall’utilizzo di procedure integrate che permettano di leggere in modo sintetico informazioni relative alla produzione, al magazzino, all’amministrazione, alle risorse umane, al mercato: per tutto questo servono software e conoscenze informatiche adeguati. La piccola e media impresa vive di informazioni e di conoscenze: la Rete permette di entrare in un universo interconnesso che rende accessibili, anche gratuitamente, informazioni e conoscenze, ma per trarre profitto dalla Rete è importante comprenderne la cultura. Insomma: la piccola e media impresa italiana si trova nella necessità di allargare il suo sguardo di orizzonti su scala planetaria. Sia le opportunità che i competitori non sono più ‘vicini’ o ‘lontani’ in una dimensione geografica: tutti compresenti, i competitori della porta accanto, così come gli operatori di India, Cina e America, tutti compresenti in un mondo virtuale determinato dall’Information Technology e dalle telecomunicazioni. Perciò per la piccola e media impresa, per ogni imprenditore, una approfondita conoscenza dell’Information & Communication Technology è una fondamentale leva strategica del business. Il piccolo imprenditore fonda il suo business su una profonda competenza tecnologica. E’ un inventore, un innovatore: conosce le macchine utensili che usa meglio del fornitore. Prima di metterle in produzione le ha smontate e rimontate, ne conosce pregi e difetti. Vorrebbe, ma non è in grado di fare altrettanto con l’hardware e il software. Parte di questa colpa va alla filiera dell’informatica, fornitori, consulenti e organi di informazione: non riescono a non essere criptici. Dall’altra parte il piccolo imprenditore non accetta di delegare ad altri la gestione delle sue informazioni, di una parte ormai così importante del suo mondo, creato a sua immagine e somiglianza. Così si aprono due soluzioni di percorso, entrambe inadatte: si sceglie di fondare la relazione con il fornitore di hardware e di software sulla fiducia personale: il dipendente cresciuto in azienda, il fornitore al quale ci si è sempre rivolti, e che abita vicino, e che perciò, si spera, condivide almeno in parte la cultura che sta alla base dell’impresa, una soluzione che quasi sempre non coincide con una preparazione adeguata da parte del dipendente/consulente. Oppure si finisce per scegliere la stessa soluzione adottata dagli altri, rinunciando ad un evidente vantaggio competitivo. Stabilito che questa situazione costituisce un significativo livello di arretratezza delle Pmi italiane, cosa si potrebbe fare? E’ rischioso puntare sulla capacità di cambiare atteggiamento da parte di fornitori e consulenti. Per loro, probabilmente, il mercato delle Pmi resterà il mitico obiettivo messo ogni anno a budget. Un mercato inattingibile, se si ragiona nei termini consueti di volumi e di margini e di contratti di manutenzione e di assistenza. Se non si impara ad esprimersi in modo veramente comprensibile non si comprende e non si rispetta la cultura della piccola e media impresa. Bisogna registrare che, di fronte all’impellente necessità, gli imprenditori si stanno rimboccando le maniche e si stanno facendo carico, sempre più, di capire direttamente l’arcano che si nasconde nell’hardware e nel software. Per Lauro Venturi, Amministratore Delegato Siaer, società di Information & Communication Technology, più che tecnologico il problema è antropologico, “il piccolo imprenditore deve fare propria la convinzione che le tecnologie dell’informazione non vanno sopportate come un male necessario bensì migliorano i processi aziendali e le relazioni con il mercato consentendogli di contenere i costi ed implementare i ricavi”. Sergio Campodall’orto, consigliere delegato di Politecnico Innovazione e docente di Economia e organizzazione aziendale al Politecnico di Milano, ritiene determinante il ruolo delle associazioni di categoria nella diffusione dell’innovazione tecnologica fra le piccole e medie imprese. “Vicine alle imprese e al territorio, le Associazioni devono farsi interpreti delle esigenze di innovazione delle aziende e riportarle ai centri di ricerca e di trasferimento tecnologico. Possono quindi fungere da intermediari e avviare un processo sitematico di collaborazione con università da una parte e imprese dall’altra”. Le possibili iniziative sono molteplici: dall’individuazione e promozione dei casi di successo alla diffusione delle conoscenze tecnologiche o alla collaborazione per lo sviluppo di progetti innovativi, realizzabili con l’intervento dell’Ente pubblico che deve incentivare e supportare il rinnovamento delle Pmi, appoggiandone e promuovendone l’alfabetizzazione informatica. Ben impostati progetti, fondati su finanziamenti del Fondo Sociale Europeo, potrebbero aiutare il processo di diffusione di competenze Ict tra i piccoli imprenditori.  
     
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