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Notiziario Marketpress di
Lunedì 01 Marzo 2004
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IN BASE AD UNO STUDIO, I FLUSSI MIGRATORI PROVENIENTI DAI NUOVI PAESI MEMBRI VERSO GLI ATTUALI PAESI MEMBRI DELL’UE SAREBBERO DI CIRCA L’1% |
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Bruxelles, 1 marzo 2004. Uno studio della Commissione europea con la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, basato su un’inchiesta Eurobarometro, mostra che anche in caso di totale libera circolazione dei lavoratori i flussi migratori provenienti dai nuovi paesi membri verso i paesi membri attuali per i prossimi cinque anni sarebbero dell'1% della popolazione in età lavorativa dei nuovi membri, circa 220.000 persone l'anno nell'Ue con 450 milioni di abitanti. Inchieste simili effettuate all’interno dell’Ue avevano mostrato che le intenzioni di migrazione sono molto più elevate dei reali flussi migratori. Questo studio è perfettamente in linea con altri analoghi realizzati per conto della Commissione europea o da organismi indipendenti. Lo studio mostra che il classico candidato pronto alla migrazione dai paesi in via di adesione è giovane, con una formazione superiore o ancora studente, celibe, senza persone a carico e molto probabilmente donna. Margot Wallström, commissario facente funzioni per occupazione e affari sociali, ha affermato che lo studio conferma l’opinione della Commissione, secondo cui il timore di una vasta ondata di emigrazione in provenienza dai nuovi Stati membri dopo il 1° maggio 2004 è ingiustificato, e che i nuovi paesi membri forniranno risorse umane molto qualificate e necessarie in grado di contribuire attivamente allo sviluppo dell’economia europea. Lo studio infatti mostra che esiste un serio rischio di fuga di giovani e di cervelli dai paesi in via di adesione: tra il 2 e il 3% dei giovani tra i 15 e 24 anni hanno indicato una ferma intenzione a partire. Circa un terzo delle persone intenzionate a migrare sono studenti e un quarto sono laureati. Secondo Willi Buschak, direttore facente funzione della Fondazione europea, il dilemma della migrazione sta nel fatto che la mobilità della mano d’opera può favorire la crescita economica e la coesione fra le regioni dell’Ue nel loro insieme, ma può anche essere fonte di tensioni in materia di coesione sociale a livello locale se non è accompagnata da un approccio globale all’integrazione. La disoccupazione ha certamente un’influenza sui flussi migratori, ma meno di quanto si pensasse e in un numero limitato di paesi. In totale, solo il 2% dei disoccupati ha espresso l’intenzione di partire. La situazione familiare sembra invece essere importante: tra le persone che vogliono partire il 70,4% vivono sole, il 26% sono sposate o convivono e il 3,6% sono vedove, divorziate o separate. Secondo questo studio, i paesi destinatari dell'Ue possono aspettarsi mano d'opera di qualità che migliorerà la base economica a breve termine e il profilo socioeconomico a lungo termine con una più attiva struttura demografica. Per i vecchi paesi membri dell’Ue è più una opportunità che un rischio. Questi ultimi infatti dovranno occuparsi maggiormente del problema dell’elevato numero di aspiranti studenti piuttosto che prevedere misure di sostegno per i numerosi migranti provenienti da una situazione di disoccupazione. I regimi di sicurezza sociale dei vecchi Stati membri non dovrebbero subire forti pressioni a breve termine. In conclusione, lo studio nota che l’impatto sui nuovi Stati membri di questi flussi di emigrazione potrebbe costituire a medio termine un problema più grave delle conseguenze dell’immigrazione verso gli Stati membri attuali. Per condividere i benefici, lo studio propone che l’Ue adotti misure regionali e strutturali adeguate per stimolare la crescita e incoraggiare i lavoratori giovani e qualificati a rimanere nel proprio paese e promuova una maggiore mobilità della mano d’opera in un’Unione europea ampliata.
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