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Notiziario Marketpress di Martedì 02 Marzo 2004
 
   
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  QUELLI DELLA NOTTE (LAVORATORI) : IN ITALIA SONO OLTRE DUE MILIONI E MEZZO  
   
  Roma 2 marzo 2004 - In Italia, la maggior parte dei lavoratori notturni, il 63,4 per cento, pari a 1.617.000, si colloca nella fascia compresa tra 26 e 45 anni. In particolare, il 31,5% (802.000 lavoratori) ha un’età tra i 26 e i 35 anni e il 31,9% (815.000) tra i 36 e 45 anni. Sono invece 201.000, pari al 7,9%, i lavoratori notturni appartenenti alla fascia 15-25 anni; 628.000, il 24,6%, quelli tra i 46 e i 55 anni; 104.000, il 4,1%, gli appartenenti alla classe di età 56-65 anni. Complessivamente, al 31 dicembre 2003, in Italia sono presenti 2.550.000 lavoratori impiegati nei turni tra le 22 di sera e le 6 del mattino. Sono queste le stime elaborate dall’Eurispes e contenute in uno studio dal titolo “Il lavoro notturno: scelta o necessità”. Analizzando i dati in relazione alla zona geografica, si osserva che viene fatto uso di lavoro notturno in modo preponderante al Nord (42,4%, 1.801.000 lavoratori), seguito dal Sud (32,5%, 828.000 lavoratori), mentre nelle regioni centrali si registra la percentuale minore (25,1%, 641.000 lavoratori). Dalle stime dell’Eurispes si rileva che a lavorare di notte sono soprattutto gli operai preposti alle industrie ed alle attività manifatturiere (metalmeccanici, cementieri, agroalimentare, panettieri, pasticceri, ecc., 23,5%, 600.000 lavoratori), il personale addetto ai servizi di smaltimento rifiuti e gli addetti alle pulizie (15,7%, 400.000 lavoratori) ed il personale impiegato nel settore dei trasporti, logistica e viabilità (trasportatori merci e materie prime, personale delle ferrovie dello Stato, del trasporto aereo, ecc., 13,7%, 350.000 lavoratori). Seguono nella classifica delle aree professionali e occupazionali impegnate nel lavoro notturno o nelle turnazioni notturne gli addetti alla sicurezza (forze dell’ordine, forze armate, vigili del fuoco, ecc., 11,8%, 300.000 lavoratori), alla sanità e all’assistenza (medici, infermieri, farmacisti, ecc.,11,0%, 280.000 unità), all’informazione e alle telecomunicazioni (giornalisti, tipografi, operatori call center, tecnici delle telecomunicazioni, ecc., 9,8%, 250.000 lavoratori), ai pubblici servizi e alla ristorazione (camerieri, baristi, cuochi, addetti autogrill, portieri, ecc., 9,0%, 230.00 unità). I lavoratori notturni si dividono in “abituali” e “occasionali”. Il lavoro notturno “occasionale” risulta più diffuso rispetto a quello “abituale”. Nel 2002, le forze di lavoro occupate “occasionalmente” di notte rappresentano il 6,5% sul totale degli occupati, mentre quelle “abituali” il 5,1%. Rispetto al 1992 il numero dei lavoratori notturni “abituali” è aumentato all’incirca dell’1%: erano il 4,3% della forza lavoro totale. Per quanto riguarda quelli “saltuari”, lo studio Eurispes osserva come, sebbene la loro percentuale sia aumentata dell’1,6%, il picco più alto si è registrato nel 1996, quando costituivano l’8% degli occupati. Osservando l’evoluzione del lavoro notturno per genere, si nota un aumento, nel decennio 1992-2002, dei lavoratori “abituali” sia di sesso maschile sia di sesso femminile, rispettivamente dello 0,8% e dello 0,9%. Per quanto riguarda, invece, i “saltuari”, sia per gli uomini sia per le donne, si è registrato un incremento nel 1996 rispettivamente dell’1% e dello 0,5% ed una diminuzione nel 2002, per entrambi i sessi. Comunque, il lavoratore notturno è prevalentemente di sesso maschile: sul totale dei lavoratori notturni, le donne costituiscono il 24%, mentre gli uomini il 76%. Molteplici ragioni giustificano la diffusione del lavoro notturno. Vi sono innanzitutto esigenze di tipo tecnico, in quanto alcuni processi industriali richiedono il ciclo continuo. Vi sono poi ragioni di natura economica: il lavoro notturno permette una migliore utilizzazione di macchinari costosi, un più elevato profitto degli investimenti e una maggiore soddisfazione della domanda proveniente dal mercato. Infine vi sono esigenze di tipo sociale legate alla peculiarità di alcuni servizi indispensabili per la collettività. C’è un punto in cui però le ragioni tecniche, economiche e sociali si arrestano: è il momento in cui arrivano gli interrogativi circa le conseguenze del lavoro notturno sul piano più propriamente “umano”. Le problematiche connesse al lavoro notturno riguardano sia gli uomini che le donne; queste ultime ne possono risentire in maniera consistente per le loro differenti caratteristiche fisiologiche e i diversi ruoli familiari e sociali. Il lavoro di notte può essere considerato anti-biologico, poiché obbliga il lavoratore a rovesciare il normale ciclo sonno-veglia, esigendo di essere attivo in un periodo in cui l’organismo abitualmente riposa e di dormire quando di solito si è svegli. Infatti, circa il 63% delle persone che lavorano di notte accusa disturbi del sonno. La durata del sonno può limitarsi in tali soggetti a 4-6 ore, a differenza della durata media per persona sana che è di 7-9 ore. Questa perdita di ore di sonno determina una riduzione di energie e di reattività. L’inversione del ritmo sonno-veglia determina a breve tempo disturbi simili a quelli provocati dal jet lag (disturbi del sonno, irritabilità, dispepsia), nel lungo periodo possono causare una maggiore incidenza a carico dell’apparato gastroenterico (il 31,3 % dei lavoratori notturni soffre di gastroduodenite, il 12,2% di ulcera duodenale) e del sistema neuropsichico (il 64,4% è affetto da sindromi ansiose e/o depressive). In Europa, si legge sempre nello studio dell’Eurispes, i lavoratori notturni sono maggiormente presenti nel Regno Unito (21,3%), in Portogallo (20,2%), e Islanda (19,2%). Il paese, in cui si registra la percenutale più bassa, è la Spagna (9,8%). L’italia con l’11,6% si colloca in una posizione intermedia nella graduatoria europea. Suddividendo i lavoratori in due categorie, coloro che lavorano sempre di notte (abituali) e coloro che lavorano qualche volta di notte (occasionali), il paese ad avere la percentuale più alta di “abituali” è il Regno Unito (12,5%), seguito dai Paesi Bassi (9,6%), Austria (9,2%), Finlandia (9,1%) e Portogallo (8,1%); ad utilizzare meno questa tipologia di lavoro sono la Svizzera (1,8%) e il Belgio (2,1%). Anche in Italia vi è una bassa percentuale di “abituali”. Questi, infatti, come sopra detto, rappresentano il 5,1% sul totale degli occupati, un dato al di sotto della media europea (7,0%). In generale in Europa c’è una maggior presenza di “occasionali”. Questi sono, infatti, maggiormente diffusi rispetto agli “abituali” in Belgio, Islanda, Portogallo, Norvegia, Irlanda, Svizzera, Lussemburgo, Grecia, Francia, Spagna, e Italia. In tutti i paesi europei, il numero degli uomini impiegati con orario notturno è superiore a quello delle donne. Le percentuali maggiori di uomini che lavorano di notte si registrano in: Regno Unito (27,3%), in Islanda (26,5%) ed in Portogallo (24,7%). La componente femminile conta percentuali più elevate in: Portogallo (14,8%), nel Regno Unito (14%) in Finlandia (13,5%), Norvegia (13,1%) e Austria (12,7%). Facendo riferimento esclusivamente alla componente maschile, gli uomini che lavorano “abitualmente” di notte si trovano soprattutto in Gran Bretagna (15,4%), nei Paesi Bassi (11,2%) e in Austria (11,1%). Una minore percentuale è stata riscontrata in Belgio (2,5%) e in Svizzera (1,7%). Esaminando i dati relativi alle sole donne, si può notare che il lavoro notturno “abituale” è più frequente nel Regno Unito (8,9%), in Finlandia (8,1%), nei Paesi Bassi (7,4%) e in Austria (6,9%); è, invece, poco diffuso in Belgio (1,4%) e in Svizzera (2,0%). Dall’analisi comparativa dei dati relativi ai maschi, si rileva come questi lavorino “occasionalmente” di notte soprattutto in: Islanda (19,3%) Belgio (17%). Per quanto concerne le donne, invece, queste sono impiegate “occasionalmente” soprattutto in: Belgio (10,7%) Portogallo (8,8%) e Norvegia (8,8%). In conclusione è possibile affermare che l’orario notturno è più diffuso, sia tra gli uomini sia tra le donne, in Gran Bretagna.  
     
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