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Notiziario Marketpress di
Giovedì 10 Giugno 2004
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DIECI PAZIENTI SU CENTO SI AMMALANO IN OSPEDALE VIRUS E BATTERI IN CORSIA, È BOOM DELLE INFEZIONI. DALLA SETTIMANA NAZIONALE DI MEDICINA DI LABORATORIO LA DENUNCIA DEL PROFESSOR ENRICO MAGLIANO, PRESIDENTE DEI MICROBIOLOGI CLINICI |
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Padova, 10 giugno 2004 - Anche in Italia l’igiene ospedaliera è così precaria che ogni 100 pazienti 10 si ammalano di una malattia diversa da quella per cui sono stati ricoverati. Dal congresso Medlab 2004 in corso a Padova, il professor Enrico Magliano, presidente dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (Amcli), denuncia una delle piaghe del nostro sistema sanitario. Si tratta delle “infezioni ospedaliere”, così definite per il contesto in cui si manifestano: decine di migliaia di casi all’anno con costi altissimi e, a volte, esiti fatali. “E’ una situazione doppiamente inquietante”, dice Magliano, “Da un lato perché è assurdo ammalarsi in ospedale quando esistono ormai rimedi assai efficaci. D’altra parte, il fatto che una serie di microrganismi si stiano rivelando molto più resistenti di anni fa ad antibiotici e vaccini amplifica il rischio soprattutto in ambienti non asettici. Non è divertente entrare in ospedale con una gamba rotta e uscirne con la gamba sana, ma con un infezione da pneumococco. Magari grave”. Alcune infezioni, ha spiegato il professore, si sovrappongono o sono associate alla malattia che ha reso necessario il ricovero, altre sono invece conseguenza diretta di eventi successivi. Secondo uno studio dell’Amcli le condizioni che favoriscono il fenomeno possono essere così sintetizzate: 1) L’aumento della popolazione ospedaliera per cui sono tenuti in vita neonati immaturi o anziani che una volta non sarebbero sopravvissuti; 2) La presenza di una “popolazione indifesa” perché immunocompromessa da gravi malattie (tumori), da infezioni importanti (virus Hiv) o da cause iatrogene (terapie immunosoppressive). In questi pazienti, anche microrganismi che non hanno potere patogeno approfittano della mancanza di difese naturali. 3) La presenza di una popolazione ospedaliera sottoposta a interventi “invasivi” diagnostici o chirurgici (by pass, applicazioni di protesi, trapianti) che possono favorire l’infezione. 4) L’impiego massivo di antibiotici (in agricoltura, in zootecnia e come autoprescrizione degli stessi pazienti) contribuisce a creare batteri resistenti a un gran numero di farmaci che possono creare problemi terapeutici (in Italia, 7 casi su 100 di pneumocco sono insensibili al trattamento con penicillina; in Spagna si arriva al 40%). Che cosa si può fare per combattere il fenomeno delle infezioni ospedaliere? “Molto”, spiega Magliano, “Occorrono procedure igieniche rigorose in tutti gli interventi, anche i più banali; razionalizzare l’uso degli antibiotici tenendo conto della realtà epidemiologica locale; fare particolare attenzione all’igiene ospedaliera (percorsi ,smaltimento, isolamento, disinfezione, ecc.). Ma occorre anche che il personale di assistenza e lo stesso paziente imparino a comportarsi nei modi dovuti”. Una controffensiva che pone in prima linea il microbiologo clinico: che è in grado, ricorda il professor Magliano, di diagnosi rapide grazie alle moderne biotecnologie, di segnalare subito i batteri “sentinella” di eventi infettivi, di attivare una rete sistematica di segnalazione della situazione epidemiologica con mezzi informatici e di monitorare la resistenza agli antibiotici. “Solo con una collaborazione interdisciplinare tra microbiologi, igienisti, farmacisti e medici curanti”, conclude, “si potrà migliorare il controllo delle infezioni ospedaliere”.
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