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Notiziario Marketpress di
Lunedì 14 Giugno 2004
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LAVORO MINORILE. ANCHE L’ITALIA NON È ESENTE |
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Roma, 14 Giugno 2004 - Stando ai dati contenuti nell’ultimo Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, redatto da Eurispes e da Telefono Azzurro, in Italia, i minori di 15 anni che lavorano corrispondono a 147.285, pari al 3,1% dei ragazzi di quella fascia d’età. L’incidenza dei minori lavoratori sulla popolazione minorile complessiva è strettamente correlata all’età: nella classe tra i 7 e i 10 anni è dello 0,5% e sale progressivamente fino ad arrivare all’11,6% tra i 14enni. Occorre fare, comunque, una distinzione tra i “lavoretti” e i lavori pesanti (spesso vero e proprio sfruttamento) che, fortunatamente, registrano cifre molto diverse. I minori sfruttati costituiscono lo 0,66% della popolazione minorile totale, contro il 3,1% di bambini che lavorano, e in valori assoluti, sono pari a 31.500. La relazione tra l’età e l’impiego dei minori in lavori pericolosi trova conferma anche nel fenomeno dello sfruttamento: il tasso è dello 0,15% quando il minore ha un’età compresa tra 7 e 10 anni e sale al 2,74% per i 14enni. L’età influenza in maniera simile anche le differenti tipologie di sfruttamento minorile, continuativo e non continuativo: infatti è sempre tra la popolazione giovanile che si registra il grado più critico di coinvolgimento. La scomposizione in classi di età del primo lavoro conferma la maggiore presenza di 14enni tra i piccoli lavoratori (il 54,2% del totale), mentre i più piccoli registrano percentuali meno elevate (37,2% per la fascia tra 11 e 13 anni e 8,4% per quella fino a 10 anni). I maschi costituiscono la quota più numerosa tra gli 11 e i 13 anni (38,7%), mentre le femmine rappresentano la maggioranza sia tra i più piccoli (8,6% fino a 10 anni) sia tra gli adolescenti (57% tra i 14enni). La durata del primo lavoro oscilla, prevalentemente, tra i 10 giorni e i 3 mesi all’anno, per questo si configura come lavoro stagionale. Il 37,7% dei minori al primo lavoro è stato impegnato per un periodo variabile da un mese fino a un massimo di tre mesi, in percentuali omogenee tra maschi e femmine. Una quota molto alta (32,6%) ha lavorato in un arco temporale che va dai 10 ai 30 giorni, con una incidenza maggiore dei maschietti. Le femmine risultano più numerose nelle attività meno impegnative (13,3% nel periodo che va da 1 a 10 giorni), mentre il rapporto si inverte in quei lavori che coprono anche l’intero anno (il 7,9% delle femmine contro il 9,4% dei maschi ha lavorato per un tempo variabile tra 9 e 12 mesi). I ragazzi hanno dichiarato in misura leggermente maggiore rispetto alle ragazze che l’impegno lavorativo occupava più o meno tutti i giorni (rispettivamente 54,4% e 52,9%). Nel 2000 (si tratta di dati recenti, in quanto sono stati elaborati nel 2002) quasi il 30% dei minori ha lavorato in media dalle 2 alle 4 ore giornaliere, con una quota maggiore di bambine (33,5% contro il 27,8% dei bambini). Una percentuale molto simile (28,3%) ha svolto attività che la occupava dalle 4 alle 7 ore al giorno e quasi un bambino su quattro ha lavorato per oltre 7 ore nell’arco di una giornata (tra questi si rileva una maggiore presenza maschile). La quota più contenuta di piccoli lavoratori (17,4%) si registra nelle occupazioni che hanno impegnato per un massimo di due ore al giorno, con percentuali molto simili in entrambi i generi. I lavori svolti sono, nella maggior parte dei casi, conciliabili con la scuola che non viene trascurata dalla quasi totalità delle bambine (90,2%) e dall’85,9% dei maschi. Allo stesso tempo, però, si registra che il 7,3% ha saltato la scuola in qualche occasione e il 5,3% che lo ha fatto spesso, con valori leggermente più sfavorevoli per i maschi. Il 68,7% dei minori ha lavorato percependo una retribuzione, mentre il restante 31,2% non ha guadagnato niente. Sono prevalentemente i maschi ad aver svolto attività lavorative lucrose (69,3%), anche se il valore si differenzia minimamente dal genere femminile (67,6%). La maggior parte dei bambini, comunque, preferisce andare a scuola, piuttosto che lavorare (41,9%): questo gruppo è composto principalmente da bambine (47,7% contro il 38,8% dei maschi). Una percentuale più contenuta è più attratta dal lavoro che dalla scuola (35%): sono soprattutto i maschi ad avere espresso questo parere in misura superiore di 9 punti percentuali rispetto alle bambine. I luoghi del lavoro minorile per eccellenza risultano bar, alberghi e ristoranti (17,9%), a seguire un discreto impiego nelle altre attività commerciali (14,9%) e in agricoltura (14,1%). Tra i lavori più pesanti si annovera anche un 11,8% di minori che lavora in fabbrica o in cantiere. Per quanto riguarda la localizzazione dell’attività lavorativa i più piccoli svolgono lavori in casa (19,6%), in negozio (20,4%) e in campagna (28,8%). I bambini più grandi (14enni) vengono impiegati maggiormente in attività di parenti o amici (11,1%), lavorano in bar, ristoranti e alberghi (22%) o addirittura in fabbrica e cantiere (16,6%). La distribuzione geografica del lavoro minorile è strettamente collegata a due variabili: il tasso di scolarizzazione e il livello di sviluppo economico. Infatti, l’indice della distribuzione geografica dei ragazzi che hanno lavorato prima dei 15 anni, raggiunge il valore massimo nel Nord-est (19,4%) e minimo al Centro (96%), con un andamento logicamente opposto a quello registrato nella propensione a proseguire gli studi. Nel Nord-ovest l’indice è del 14,1%, nel Sud del 13,9%, nelle Isole 12,3, contro un indice nazionale del 13,8%. Inoltre, si è verificato che un mercato del lavoro più fiorente crea maggiori aspettative e attira più forza lavoro, in questo caso anche tra le giovani generazioni. Il rapporto tra il rendimento scolastico e l’attività lavorativa risulta strettamente correlato; è più frequente che quanti hanno lavorato prima dei 15 anni non abbiano conseguito la licenza media (17,7%) o abbiano avuto una bassa votazione (20,5%), mentre sono più rari i casi di chi ha riportato buoni o ottimi risultati scolastici. Altra variabile che influenza il lavoro minorile è il tipo di attività svolta dal capofamiglia; infatti, tra coloro che hanno lavorato prima dei 15 anni risultano più numerosi i figli di lavoratori in proprio (23,4%) o di imprenditori (22,1%), proprio perché è più frequente che possano essere coinvolti, fin da piccoli, nell’attività paterna, così come accade per i figli degli agricoltori (30,6%) o degli occupati nella ristorazione (24,1%). Al contrario, chi svolge un lavoro impiegatizio o alle dipendenze avrà minori esigenze di un supporto da parte dei propri figli. Alcuni dei dati rilevati sono stati utilizzati nella cluster analysis che ha consentito di individuare tre tipologie di lavoro minorile: gli aiuti familiari, i lavori stagionali e i lavori più impegnativi. Il 78% dei minori è compreso nel gruppo degli aiuti familiari, svolgendo attività con genitori o fratelli. Queste attività sono state classificate come più leggere rispetto alle altre: raramente i minori erano impegnati tutti i giorni (30%) o per più di 4 ore al giorno (20%), e si trattava principalmente di attività stagionali (73%), svolte come forma di aiuto ai genitori (52%) per le quali, talvolta, percepivano una paghetta (42%). Nel gruppo dei lavori non continuativi sono compresi il 31,9% degli intervistati. In questo caso si tratta di occupazioni svolte quasi esclusivamente in modo stagionale (90%), che hanno le caratteristiche di attività lavorative vere e proprie: i datori di lavoro sono extra-familiari (87%), si percepisce una retribuzione (95%), i ragazzi sono impegnati tutti i giorni (83% dei casi) e per più di 4 ore al giorno (87%). Inoltre, i minori li ricordano come lavori molto o abbastanza stancanti (70%), che nel 40% dei casi limitavano il tempo da trascorrere con gli amici. Il lavoro “vero e proprio” ha interessato la quota inferiore di minori (il 17,5% dei ragazzi), con un impegno più gravoso: tutti i giorni (81%), per più di 4 ore al giorno (85%). In questa tipologia lavorativa si abbassa il livello di sporadicità: infatti la quota di lavori stagionali è più bassa rispetto agli altri due gruppi (46%), mentre è massima quella dei lavori svolti “un po’ in tutto il corso dell’anno” (54%). Il fenomeno degli infortuni sul lavoro interessa tutti gli occupati e, in quanto tali, anche i minori di cui si è parlato in queste pagine, ma con risvolti ancora più preoccupanti: i bambini hanno maggiori probabilità di farsi male e il datore di lavoro denuncia l’infortunio esclusivamente nei casi in cui non può farne a meno. Stando sempre ai dati contenuti nel Rapporto di Eurispes e Telefono Azzurro, sempre nel 2000, gli infortuni denunciati a carico di minorenni risultano 24.776, ma non possiamo sapere quanto il dato sia vicino alla verità a causa dei numerosi casi in cui l’incidente viene tenuto nascosto. Le regioni maggiormente interessate dal fenomeno risultano, in ordine decrescente, la Lombardia (4.532), il Veneto (3.347), l’Emilia Romagna (3.175) e il Trentino Alto Adige (2.484). Per quanto riguarda la composizione settoriale, il numero più consistente di infortuni riguarda i comparti dell’industria, del commercio e dei servizi e conta ben 17.147 casi, con un andamento identico alla precedente graduatoria: Lombardia (3.394), Veneto (2.851), Emilia Romagna (2.539) e Trentino Alto Adige (2.426). La regione in cui si registra il minor numero di infortuni, in questi settori lavorativi, risulta il Molise con “appena” 25 casi. La quota di eventi infortunistici rilevata in agricoltura è molto più contenuta (442) e ha riguardato in misura maggiore l’Emilia Romagna (67) e la Puglia (66); la Liguria si profila con una situazione favorevole non riportando nessun caso di infortunio minorile. Molto frequenti anche gli infortuni per “conto stato” (7.187), ossia gli incidenti che avvengono all’interno delle scuole o durante le attività scolastiche (spesso durante gli intervalli ricreativi, le gite di istruzione), comunque conteggiati nell’archivio Inail. Il dato più elevato è annoverato in Lombardia (1.092), seguita, con un minimo scarto, dal Piemonte (1.081) e con valori più contenuti dalle altre regioni. In questo caso, la regione in cui non si è registrato nessun incidente risulta la Valle d’Aosta. Dato positivo, ma poco consolante, è la riduzione del numero di casi nell’arco di tre anni (anche se dobbiamo ricordare che sono presi in considerazione solo gli incidenti indennizzati), passati da 10.773 nel 1998 a 7.653 nel 2000. E’ sconvolgente, comunque, vedere che, anche se c’è una tendenza decrescente, molti bambini (77 nel 2000) riportano conseguenze gravi dall’infortunio, tali da causare l’inabilità permanente, e altri, più sfortunati, perdano addirittura la vita (15 nel 1998 e 4 nel 2000). Questi dati fanno riflettere e anche se il numero dei casi è diminuito sono ancora troppe le piccole vite spezzate a causa delle negligenze dei grandi.
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