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Notiziario Marketpress di
Lunedì 21 Giugno 2004
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IL DIRITTO DI CRITICA NEL MIRINO DEI GIUDICI D'APPELLO DI MILANO |
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Milano, 21 giugno 2004 - Su incarico del Consiglio regionale dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia, continua il lavoro di ricerca degli avvocati Sabrina Peron ed Emilio Galbiati sulle sentenze rese dalla giustizia ambrosiana in materia di diffamazione a mezzo mass-media. Pubblichiamo i risultati della disamina delle sentenze emesse in materia dalla Corte d'Appello civile di Milano nel biennio 2001-2002; prossimamente verranno pubblicati quelli inerenti la Corte d'Appello Penale di Milano (sempre con riferimento al biennio 2001-2002). Dall'esame delle sentenze (46 in tutto), è emerso che le pronunzie di primo grado - rese in larga maggioranza dal Tribunale di Milano (86%) e riguardanti soprattutto i quotidiani nazionali (45%) ed i settimanali (26%) - vengono confermate nel 67,4% dei casi. Tra le categorie professionali maggiormente coinvolte in fattispecie di diffamazione a mezzo mass-media spiccano i magistrati (nel 44% dei casi dei giudizi di appello contro il 18% risultante dalla precedente analisi del giudizio di primo grado, cfr. Tabloid 12/2003), seguiti dai privati (11%) e dalle persone giuridiche (11%). Vi è una percentuale interessante (5%) di giornalisti coinvolti nelle vesti di diffamato. La media dei danni liquidati a favore del diffamato dalla Corte d'Appello Civile è di ?.17.606,49 procapite. Trova conferma anche in grado di appello l'orientamento, già manifestato in primo grado, di ridurre ampiamente le pretese risarcitorie avanzate dal diffamato: contro una media di richieste di risarcimento danni da parte del diffamato appellante (attore in primo grado) pari a ? 9.563.089,50, sono stati in media liquidati danni procapite per ? 15.862,60. Si noti però che in caso di riforma di una sentenza di condanna in primo grado, con una media risarcitoria di circa ? 10.501,29, la Corte d'Appello Civile ha considerevolmente elevato la media risarcitoria, praticamente raddoppiandola a ?. 20.658,28. I criteri di liquidazione del danno utilizzati sono stati la gravità dell'illecito, la personalità dell'offeso, l'ambito di diffusione, le modalità di pubblicazione della notizia (articolo di apertura in prima pagina, richiamato da titolo e immagini). Si noti che la campagna stampa ha un'efficacia aggravante e la pubblicazione di una smentita comunque non esclude il danno. A differenza del giudizio di primo grado, dove la tipologia degli articoli diffamatori concerneva prevalentemente la cronaca (53%, cfr. Tabloid 12/2003), nel giudizio di appello investe, invece, il diritto di critica (52%), definita come un'attività di commento ed interpretazione del fatto storico in cui l'articolista finisce per fondere la propria personalità, prestando la propria identità culturale ed intellettuale al pubblico, chiamato a valutare le sue osservazioni. Quanto alle forme di critica sottoposte al vaglio della Corte, queste hanno riguardato: la critica musicale (dove si è ritenuto pressocché inutilizzabile il criterio della verità, risultando prevalente l'aspetto valutativo), quella politica (che giustifica l'utilizzo di espressioni anche aspre e dure), quella giudiziaria (la quale deve rigorosamente rispettare la verità del fatto narrato) ed, infine, la satira alla quale viene riconosciuto un più ampio margine di libertà e di guarentigie, a condizione che sia immediatamente riconoscibile come tale (ossia il pubblico deve percepire senza difficoltà che lo scopo dell'articolista è quello di mettere alla berlina un noto personaggio). Quanto alla cronaca, invece, che si sostanzia nel potere/dovere attribuito al giornalista di portare a conoscenza dell'opinione pubblica fatti, notizie e vicende della vita sociale, la Corte ha precisato che ogni giornale sceglie tra le diverse notizie quelle meritevoli di attenzione interpretando a suo modo i fatti accaduti, giacché non esiste una verità assoluta per tutti i quotidiani, ma solo quella verità che si ritiene meritevole di attenzione. In ogni caso, la verità deve consistere in una sostanziale corrispondenza dei fatti riferiti a quelli storici e potrà avere a carattere putativo purché sia stato preventivamente svolto dal giornalista un serio ed accurato lavoro di verifica e di ricerca. Tale attività di verifica è valutata in modo più rigoroso nel caso in cui le esigenze di tempestività dell'informazione sono inferiori, come può ad esempio accadere nel caso in cui la pubblicazione avvenga in un periodico. Alcune sentenze hanno altresì riguardato la pubblicazione di immagini. In questi casi, poiché la diffusione di immagini può avvenire solo con il consenso dell'interessato la pubblicazione non autorizzata è lecita solo se giustificata da esigenze di pubblica informazione.
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