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Notiziario Marketpress di
Martedì 22 Giugno 2004
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ASSOLOMBARDA: ASSEMBLEA 2004 RELAZIONE DEL PRESIDENTE MICHELE PERINI |
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Milano, 22 giugno 2004 – Di seguito la relazione del presidente di Assolombarda Michele Perini: “Siamo ancora in una situazione di grande incertezza. Veniamo da una crisi economica che ha scarsi precedenti per profondità, durata, aree coinvolte, ampiezza di settori. Subiamo la concorrenza di paesi che escono da una condizione di sottosviluppo e operano con regole diverse da quelle consolidate nelle economie più avanzate. Questo confronto cambia le condizioni di competitività. L'occidente convive con la minaccia terroristica e con l'incertezza di vaste aree dello scenario politico internazionale. Quello dell'11 settembre a New York è stato un evento terribile; quello altrettanto tragico dell'11 marzo a Madrid ci ha ricordato che non possiamo permetterci di consegnare questi episodi al passato. Di fronte alla difficoltà e all'incertezza, la tentazione di lasciarsi sopraffare, di arroccarsi in comportamenti difensivi, di concentrarsi sui problemi di casa propria è sempre alta. Soprattutto in un'Italia e in un'Europa che ancora non vedono quella crescita che, invece, sta energicamente toccando vaste aree del mondo. Ma ogni crisi, ogni momento di debolezza ha un rovescio della medaglia; in ogni sfida, per quanto ardua, ci sono opportunità che la competizione lascia aperte. Milano e le sue imprese stanno dimostrando la volontà di coglierle, il coraggio di accettare un confronto in cui c'è sempre meno spazio per salvaguardie e protezioni. Le imprese milanesi hanno scelto di confrontarsi con i competitor dei paesi emergenti e di affrontare nuovi mercati: marchio, immagine, competenze tecnologiche risultano dalle nostre indagini i loro punti di forza. Oltre un'impresa milanese su quattro compete e vince grazie alla continua proposta di prodotti innovativi. Hanno scelto di fronteggiare la stagnazione ricercando nuovi prodotti, nuovi processi e soluzioni organizzative innovative, con la consapevolezza della necessità di doversi rimettere continuamente in gioco. I nostri principali concorrenti sono ovunque nel mondo le imprese dei paesi più avanzati, Germania e Usa in primis. Anche l'iter per la firma della Costituzione europea, che pur è un fatto di rilevanza storica, lo ha dimostrato. Lo stesso avviene per l'economia: abbiamo l'opportunità di costruire su basi nuove, ma ci areniamo sulle spiagge di una malintesa stabilità. A questo proposito, è ovviamente opportuno che la politica monetaria europea si preoccupi di controllare l'inflazione. Ma i Governi che aderirono al cosiddetto patto di stabilità lo fecero guardando a due fini. Quello, sacrosanto, di sottrarre le economie europee alle crisi valutarie; e quello, altrettanto indispensabile, di favorire un contesto generale orientato allo sviluppo. Tanto è vero che quel patto si chiama "di stabilità e di crescita". E che gli obiettivi indicati a Lisbona andavano proprio in questa direzione. Ma Lisbona non ha avuto seguito. Oggi, il primo obiettivo della politica europea è di battere un colpo, di agire creando le condizioni perché le imprese possano generare sviluppo. E credo che la Commissione Europea non abbia dispiegato tutta la capacità d'impulso che le competeva. Con il programma infrastrutturale, il semestre italiano ha dato una spinta nella direzione giusta, ma non è sufficiente. La preoccupazione di proteggere settori non competitivi, di salvaguardare questo o quel comparto, questo o quel paese, questo o quell'insieme di interessi corporativi è dominante e assorbe troppe energie. Nel bilancio comunitario c'è qualcosa che, agli inizi del ventunesimo secolo, suona incredibile: il 45% delle risorse disponibili salvaguarda l'agricoltura dalla concorrenza dei paesi in via di sviluppo. Noi volevamo e vogliamo l'Europa. Ma non volevamo e non vogliamo un apparato orientato alla stasi e alla salvaguardia di interessi particolari, né un enorme macchina burocratica produttrice di vincoli e procedure, ostacoli ai processi di crescita delle imprese. La questione del brevetto europeo è emblematica. Quasi trent'anni fa, prese forma un'idea: registrando un'invenzione presso i diversi uffici degli Stati membri in un'unica operazione, un'impresa avrebbe ottenuto la protezione in tutti i paesi. L'idea è buona, ma non ha trovato definitiva attuazione, perché non è stata accettata la proposta di presentare il brevetto solo in un'unica lingua, l'inglese, valida per tutti gli Stati. Dopo trent'anni, cosa ci resta? La difficoltà di proteggere efficacemente gli investimenti in ricerca e una molteplicità di controversie e contenziosi costosi e inutili, da gestire in una babele linguistica. Viviamo in un'Europa che parla 19 lingue diverse e che, con l'ingresso dei nuovi paesi, ha adeguato i suoi costi di traduzione di 22 milioni di euro l'anno. Non possiamo continuare così. Crediamo in un'Europa che aiuti le nostre imprese a competere ad armi pari con americani, giapponesi e cinesi. Vogliamo e chiediamo con forza un'Europa che sappia affrontare la sfida dell'allargamento con la crescita e migliorando la competizione, spingendo fortemente la semplificazione negli Stati membri, rendendo più facile fare impresa. L'amministrazione americana finanzia con programmi di lungo termine la ricerca nei settori trainanti dell'economia: perché l'Europa non dovrebbe essere motore di innovazione? Il coraggio del futuro Un'altra questione decisiva è quella del coraggio di intraprendere. Una società si muove, cresce, innova, si rimette in discussione quando la necessità le impone nuove sfide, la spinge alla ricerca di opportunità, la incalza ad agire. Una società "arrivata", vecchia, appagata, finisce per illudersi di poter bastare a se stessa, e non si sforza di produrre sviluppo e innovazione. Non vorrei che i risultati delle elezioni europee spingessero alcuni Governi nazionali a fare politiche demagogiche di welfare, al solo scopo di recuperare consensi, ingrossando le fila dei partiti della spesa. Mancano le risorse per garanzie. Piene e totali per tutti; gli Stati devono tutelare solo quanti davvero vivono una situazione di disagio e consentire agli altri di poterlo fare da soli, senza duplicazioni di costi. Oggi, siamo adagiati su una struttura industriale figlia di mercati e di consumi della metà del secolo scorso. La preoccupazione di mantenere i risultati del passato ci impedisce di pensare al futuro. Invece, dovremmo avere il coraggio di creare spazi per le nuove generazioni, di farle avanzare senza la pretesa di dettare loro la via, ma offrendo valori positivi ed esempi da seguire. In questo, anche noi che facciamo impresa abbiamo una responsabilità importante. Non possiamo proporre ai nostri figli un modello di chi, affermato, ostenta un successo che magari ha soltanto ereditato. Dobbiamo offrire l'esempio di donne e uomini portatori di valori solidi, capaci di rischiare, che vivono l'azienda giorno dopo giorno, che non hanno paura di rimboccarsi le maniche, che hanno il gusto e la passione del lavoro. È l'esempio meritorio delle imprese familiari che più volte hanno salvato il Paese e ancora potranno concorrere a farlo, se sapranno attivare adeguati processi di innovazione, di internazionalizzazione e di crescita. Dobbiamo riscoprire la dedizione, il senso di sacrificio, l'entusiasmo. Per chi guiderà le nostre aziende dopo di noi e per chi ne farà nascere di nuove; ma anche per noi stessi. L'economia del Paese, quella vera, non è fatta di copertine patinate, di passerelle mediatiche, di salotti buoni e di apparenza effimera. È fatta di fatica quotidiana: quella di migliaia di imprenditori sconosciuti ai mass-media e dei milioni di lavoratori che la condividono con loro. Il coraggio del confronto C'è anche un altro genere di coraggio di cui c'è bisogno: il coraggio delle proprie idee. Nessuno meglio di noi imprenditori sa quanto sia importante costruire team, dentro e fuori dalle nostre aziende. Dobbiamo però capirci. Essere squadra significa lavorare in sintonia con gli altri, significa mettere ciascuno le proprie capacità e le proprie energie a disposizione di un disegno comune. Non significa, invece, il compromesso a ogni costo, la rinuncia, alla propria idea nel nome di un consenso obbligato. Il collante della squadra sono gli obiettivi: nel percorso. Per raggiungerli ci dev'essere spazio per l'autonomia delle idee, per il confronto, per la dialettica e, se occorre, per il dissenso. Quest'idea ci ha guidato a Milano in tutte le intese realizzate nel campo delle relazioni industriali, anche e soprattutto con chi partiva Ho citato alla lettera il passo di un saggio scritto nel 1996 da Carlo Azeglio Ciampi. Il coraggio di rischiare Un'altra questione su cui non posso tacere è quella del rapporto tra banca e impresa. Ii Governatore della Banca d'Italia ha sottolineato quanto sia importante la collaborazione tra il mondo finanziario e quello industriale. Noi ne siamo sempre stati sostenitori convinti, in modo fattivo, a beneficio delle imprese e dell'intera economia, anche in questo caso lavorando con concretezza sul territorio, al di là delle polemiche sul piano nazionale. Quello che oggi va ricostruito, all'interno di questo rapporto, è il riconoscimento e il rispetto reciproco dei ruoli, che devono restare nettamente distinti se non si vuole aprire la porta al rischio di conflitti d'interesse. Le imprese devono sapere individuare con chiarezza e presentare con trasparenza le linee del proprio sviluppo e realizzare la crescita a vantaggio degli azionisti, dei lavoratori, dei fornitori e anche dei finanziatori. A queste condizioni, le banche devono reperire i mezzi finanziari e metterli a disposizione delle imprese a condizioni convenienti, valutando il rischio in modo corretto. Il processo di concentrazione che ha segnato il sistema bancario italiano negli ultimi anni ha prodotto una dimensione degli operatori che è senz'altro un fatto positivo per il Paese. Ma non è riuscito a preservare quel rapporto diretto con le imprese basato sulla vicinanza, sulla conoscenza anche personale che nel contesto italiano è un elemento imprescindibile. E non è neppure riuscito a produrre tempi di risposta adeguati alle esigenze delle imprese, imposti dal mercato. In un mondo che cambia, con le nuove tecnologie che irrompono, con i nuovi mercati, i nuovi concorrenti, non possiamo sopravvivere con banche preoccupate più delle loro procedure che della validità dei progetti. Servono banche che valutino le potenzialità di crescita delle imprese, le loro strategie, la loro capacità di andare all'estero e di fare ricerca, i loro valori aziendali e manageriali. Da questo punto di vista, le recenti dichiarazioni di alcuni esponenti di spicco del mondo bancario sono promettenti e speriamo che presto diventino fatti. Quando le banche saranno capaci di rischiare con noi, di essere al nostro fianco nei processi di investimento nell'innovazione e nei percorsi di crescita internazionale, allora sì, potremo dire di avere fatto sistema. Il coraggio della flessibilità Le aziende italiane devono poter operare in condizioni di parità con quelle con cui si confrontano. L'economia del Paese è avviluppata in rigidità e condizionamenti che sono frutto della diffidenza nei confronti della classe imprenditoriale. Ricordiamolo: noi imprenditori siamo una risorsa per l'intera società, perché creiamo quel benessere a cui tutti prendono parte. Invece, un pregiudizio ancora diffuso vuole che le imprese vadano trattate con sospetto; che il loro sviluppo debba essere sottoposto a esami incessanti; che la loro operatività si possa garantire solo con un controllo occhiuto e minuzioso. Purtroppo, casi come quelli di Enron o Parmalat sembrano legittimare questa convinzione. Sommando il malaffare di pochi al pregiudizio di molti, tutta l'economia del Paese risulta penalizzata. In particolare, lo sono le centinaia di migliaia di imprenditori che ogni giorno devono affrontare con onestà e coraggio la sfida competitiva, costretti a farlo con un carico enorme di adempimenti inutili. L'eccesso di leggi e di controlli formali crea alibi e spazi per l'illegalità, vincola e penalizza i capaci e gli onesti, premia i furbi e i delinquenti. Occorrono poche leggi, semplici, e controlli sostanziali. Invece, alla legislazione nazionale che soffoca le nostre imprese si aggiungono altri due pesi: - la normativa di regioni, province e comuni, purtroppo destinata a crescere; - la mole abnorme di leggi, regolamenti, ordinanze e procedimenti che il Parlamento e la Commissione europei sfornano a ritmi impressionanti. No alla burocrazia, ha detto pochi giorni fa a Roma il Presidente Montezemolo, e io aggiungo: lanciamo un premio per il deputato, il senatore o il consigliere regionale, provinciale o comunale che proponga e ottenga l'abrogazione del maggior numero di leggi! Abolire la selva di norme inutili, assurde, spesso figlie di un mondo che non esiste più, delegificare e varare Testi Unici, sono riforme che costano pochissimo e producono un valore enorme per l'economia e per la società. Il che non esime, peraltro, dal fare le riforme strutturali, pur se onerose, di cui l'Italia ha bisogno. Certo, il Governo ha iniziato il difficile lavoro di ammodernamento del Paese tra mille polemiche e ostacoli legislativi. Ostacoli che non possono essere presi ad alibi per il grande lavoro ancora da fare. Se dobbiamo registrare positivamente le riforme della scuola, del lavoro e del diritto societario, la legge obiettivo e alcune semplificazioni, non possiamo non sottolineare che abbiamo ancora tasse troppo alte e inique. Abbiamo una riforma delle pensioni annunciata, in attesa che qualcuno se ne occupi. Viviamo in un cosiddetto federalismo che somma e confonde competenze e poteri, mentre auspichiamo un federalismo chiaro e non oneroso. Non abbiamo sufficiente chiarezza sulle privatizzazioni, incluse quelle locali. Manca un'azione determinata a favore delle liberalizzazioni. Non vorrei che le consultazioni elettorali dei giorni scorsi avessero segnato l'ingresso in una sorta di tunnel dell'immobilismo decisionale. Lo dico al Governo e lo dico all'opposizione: non lasciamo che gli appuntamenti elettorali che ci aspettano nei prossimi due anni ci tolgano il coraggio di compiere le tante scelte e le tante riforme necessarie al Paese. Si deve agire, senza perdere altro tempo. Il coraggio del mercato Di fronte a un sistema così rigido, che aumenta ogni giorno le difficoltà in cui operiamo, una voce di sirena cerca di incantare noi imprenditori. Ci invita a lasciare il mare aperto della competizione; ci sussurra all'orecchio di cercare la sopravvivenza in settori protetti; ci suggerisce di investire in comparti dove non ci sono le imprese straniere, di chiedere protezione allo Stato. Qualcuno, ogni tanto, si lascia irretire. E, se guardiamo i bilanci di chi lo fa, è difficile criticare. Molti cercano aree al di fuori della concorrenza, anche con motivazioni ragionevoli. Ma dov'è il futuro di un Paese in cui si confonde il profitto con la rendita? Che società vogliamo consegnare a chi verrà dopo di noi, che modello di economia vogliamo veder prevalere in Italia e in Europa? A volte, ho la sensazione che i mercati protetti generati dalle corporazioni siano addirittura più forti della volontà politica. È compito della politica e della società civile rompere questi privilegi. E anche agli ordini professionali chiediamo di sviluppare capacità e competenze così forti da non far più temere loro di confrontarsi al nostro fianco sui mercati. Il coraggio del fare Viviamo in un mondo che è diverso da quello che vorremmo per le imprese, le persone che lavorano con noi, i cittadini, i nostri figli. Ma non ci rassegniamo, non abbiamo intenzione di fermarci davanti ai problemi e alla complessità. Con la volontà e il coraggio, possiamo superare gli ostacoli, possiamo compiere azioni che a quelli Che stanno aguardare sembrano impossibili. Sto parlando del coraggio del "fare", di quel fare che è lo spirito forse più autentico della nostra milanesità, di cui siamo orgogliosi. Esempi, a Milano, sono il Passante Ferroviario che abbiamo visto entrare in funzione, il Teatro alla Scala, le nuove stazioni della metropolitana, il sistema dei depuratori. Un altro è la costruzione del nuovo polo fieristico, in tempi brevissimi nonostante le condizioni non facili. Un risultato possibile con il coinvolgimento di un Presidente di Provincia e di un Sindaco, quello di Milano, di centro-destra, e di due Primi Cittadini, quelli dí Rho e di Pero, di centro-sinistra. E con un grosso impegno del Presidente Formigoni per rendere possibile il dialogo tra tutti gli enti e le istituzioni coinvolte. Quando esiste un progetto condiviso, quando c'è comunanza di obiettivi, evidentemente, è possibile realizzare qualunque opera, anche le più complesse, anche se sono in gioco parti politiche diverse. Questo è il compito che ogni classe politica dovrebbe far suo: offrire prospettive e traguardi; fare sintesi dei diversi legittimi interessi; mobilitare in questo modo tutte le risorse del Paese e trasformare così i progetti in realtà. Quanto alle imprese di Milano, la risposta alla situazione difficile in cui ci troviamo è molto chiara. Non vogliamo sostegni. Vogliamo un futuro in cui sia premiato il coraggio di chi sa inventare il nuovo ogni giorno, affrontando le sfide con l'utilizzo della ricerca e della tecnologia. Con la Regione Lombardia, le Università, il Cnr e diversi Istituti clinici scientifici, qui a Milano, stiamo ottenendo notevole successo nella valorizzazione economica delle ricerche in campo biotecnologico: un progetto di sistema, in un comparto innovativo, che può generare mercato e far nascere imprese. Il coraggio di chi sa che oggi la competizione si può affrontare solo innovando e aprendosi agli altri, mettendosi in rete con altre imprese, con altri settori, con il mondo intero. È questo che vale per ogni impresa. Con l'aiuto delle aziende associate più grandi stiamo sensibilizzando le piccole su questo punto, offrendo tecnologie di rete e opportunità di formazione in aula e on line. Il coraggio di chi sa intraprendere nuove iniziative e nuove attività. Abbiamo linee di credito dedicate alle start-up, in grado di finanziarle dalla fase dell'idea a quella dei primi investimenti. Offriamo alle imprese la possibilità, nell'ambito delle convenzioni quadro, di avvalersi di progetti mirati di formazione finanziata. Il coraggio di chi vuole affrontare a viso aperto la concorrenza internazionale e sfruttare le opportunità che nascono dai mercati emergenti. Con Ice e Università Bocconi, stiamo realizzando un ambizioso progetto di formazione di studenti-stagisti e di scouting sui mercati cinesi; e insieme a Promos e Fiera Milano abbiamo aperto uno sportello a Shangai. Ll coraggio di chi sa creare' sul campo la rete delle collaborazioni adeguate tra banche e imprese. Da anni, grazie ai nostro Confidi, al contributo della Camera di Commercio e agli accordi con le banche, favoriamo il rafforzamento patrimoniale delle piccole imprese: solo nel 2003 abbiamo generato per questo venti milioni di euro di finanziamenti. Il coraggio di chi vuole puntare sui giovani. Solo lo scorso anno, abbiamo coinvolto oltre 6.000 studenti nei nostri incontri di orientamento. Le nostre imprese associate hanno accolto più di 15.000 stagisti. E abbiamo promosso iniziative di formazione dedicate ai giovani attraverso il Fondo Sociale Europeo per oltre 4 milioni di euro. Il coraggio di fare impresa Non devo certamente venire a presentare Io spirito che mi anima e che mi ha animato in questi anni: quello che è nel Dna di noi milanesi. Quello del fare, del non abbattersi, del vedere il bicchiere sempre mezzo pieno. Milano è sede di eccellenze in tanti campi: della salute, dell'Ict, della moda, della comunicazione, del design, della meccanica, dei servizi alle imprese, dei sistemi fieristici, della ricerca, dell'università. Ma cosa volete, che con tutti questi giocatori la nostra squadra non sia in grado di vincere la partita della trasformazione dell'industria italiana nel terzo millennio? Certo, ogni giocatore dev'essere ben preparato, ben guidato, spronato e informato sulle difficoltà e sulle opportunità. Per questo, la competizione che vogliamo affrontare deve giocarsi in campi regolamentari, in condizioni di parità con chi si confronta con noi. Sono ottimista, per Milano, per l'Italia e per l'Europa, con la convinzione che sapremo superare il torpore generato dal benessere entrando in campo per vincere. Abbiamo il dovere di dare un futuro ai nostri figli, così come i nostri genitori ne hanno preparato uno per noi. Per questo, dobbiamo lavorare di più, di più, di più. Con più impegno, con più entusiasmo, e con la consapevolezza che stiamo facendo una cosa utile per tutti. Non ci faremo fermare dalle difficoltà, ma non rinunceremo a chiedere con determinazione di essere lasciati liberi di intraprendere, di svilupparci, di migliorare, di cambiare.
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