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Notiziario Marketpress di Martedì 22 Giugno 2004
 
   
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  ASSEMBLEA ASSOLOMBARDA: L'INTERVENTO LUCA DI MONTEZEMOLO DEL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA  
   
  Milano, 22 giugno 2004 – Di seguito l’intervento di Luca Corsero di Montezemolo neo presidente di Confindustria: “ Ho la percezione che con il discorso all'Assemblea di maggio abbiamo avviato un nuovo ciclo di speranze per l'economia di questo Paese. Non pretendo di essere stato io la sola causa di questo avvio. Di certo esisteva nel Paese una diffusa voglia di sentire un discorso positivo e di porre una fine alle mille divisioni interne che stanno lacerando il nostro tessuto sociale, economico, politico ed istituzionale: sempre più diffusa è la convinzione che il dialogo rafforzi Io scenario della ripresa. A me è capitato il compito di intercettare questa voglia ed alle imprese va riconosciuto il merito di avere ancora una immagine positiva, data l'accoglienza che è stata data al mio discorso. Il Paese si aspetta anche da noi una spinta per uscire dalle difficoltà. Non possiamo deluderlo. Si tratta ora di dare contenuti alle nostre azioni future, in linea con le aspettative create. Di certo non pretendiamo di poter fare tutto da soli. Molte delle azioni che intraprenderemo ci porteranno ad intercettare gli altri attori della politica sociale ed economica e ci condurranno necessariamente ad uno stretto contatto con i sindacati, con la politica, con il governo, con le istituzioni, con le altre associazioni, ecc.. Ma questo non ci esime da avviare la nostra agenda, con spirito di collaborazione, ma anche con un profondo senso di autonomia. La nostra autonomia non sarà la risultante di una sterile equidistanza capace solo di condurre all'immobilismo. Essa deriverà invece dalla forza delle nostre posizioni, argomentate con autorevolezza e condivise con quanti hanno competenze effettive. Per questo la prima azione dovrà essere a casa nostra: costruire una Confindustria autorevole e partecipata. Questo implica: a) l'allargamento della partecipazione degli imprenditori alla vita di Confindustria, cosa già avviata con la definizione di deleghe specifiche attribuite (credito, marchi e federalismo), con l'allargamento delle presenze al Consiglio Direttivo, con la futura attribuzione di deleghe specifiche nell'ambito delle Commissioni tecniche; b) l'immissione di nuove competenze funzionali all'interno della struttura, volte a garantire capacità di analisi e di proposta alla struttura e non solo capacità di pressione politica (lobby in senso tradizionale); c) la valorizzazione di tutte le competenze esistenti nel sistema Confindustria (territoriali e categorie) e la loro reale messa a rete. Sempre sul piano interno, Confindustria dovrà dare forte la prova di saper gestire al meglio i suoi patrimoni nell'ottica di servire le imprese ed il Paese. Così come ho sollecitato per le imprese italiane, occorre darsi una governance che consenta alla Luiss-guido Carli ed a Il Sole 24 Ore di perseguire i propri fini istituzionali senza confusione di ruoli con i compiti quotidiani del loro azionista Confindustria. Questa separazione di ruoli dovrà condurre ad una crescita del valore del patrimonio e rappresenterà, altresì, il contributo di Confindustria al Paese nel campo dell'istruzione superiore ed in quello, importantissimo, dell'informazione autorevole per la Business Community. Dobbiamo poi elaborare alcuni progetti con la collaborazione di tutti gli interessi coinvolti. Mi limito qui ad elencare temi che sono prioritari. La logistica è oggi determinante per la crescita del Paese, sia come fattore di competitività che come fattore di nascita di nuove imprese. Per arrivare ad elaborare un progetto occorre attivare una vera "coalizione per la logistica", capace di coinvolgere più interessi, che sono tantissimi. Non solo gli operatori tradizionali, ma anche coloro che hanno la gestione del territorio (autorità locali, istituzioni private, ecc.). Il territorio è ormai un bene scarso nel nostro Paese; esso va gestito con intelligenza e con la dovuta cura del patrimonio artistico ed ambientale. Le città d'Italia sono una ricchezza ed una fonte di crescita economica se valorizzate opportunamente. Confindustria può farsi portatrice di un progetto. Energia ed ambiente, non devono più essere "sinonimi di un contrario". Disporre di maggiore energia modernamente prodotta, aiuta la conservazione dell'ambiente. La scarsità di territorio genera un rifiuto a nuovi impianti sia per l'energia che per lo smaltimento dei rifiuti. Confindustria deve poter elaborare progetti capaci di rispondere a queste esigenze. Ii processo di liberalizzazione iniziato circa tre anni fa deve riprendere vigore per evitare persistenti posizioni dominanti scarsa concorrenza e prezzi troppo alti, oltre il 20% in più degli altri Paesi europei per gas ed elettricità. L'abitazione è il patrimonio più desiderato degli italiani, ma il nostro mercato dell'abitazione rappresenta anche un vincolo alla mobilità territoriale e sociale. La crescita dei prezzi degli immobili indica una forte domanda a cui corrisponde una offerta limitata. Molti sono i motivi di questa situazione. Non è questa la sede per enunciarli. Mi basta ricordare che questo squilibrio genera un aumento dei prezzi delle abitazioni e, quindi successivamente, anche dei canoni di affitto. Per equilibrare il mercato occorre evitare scelte dirigistiche, ma puntare ad un aumento dell'offerta con nuove costruzioni, ristrutturazioni del patrimonio esistente, liberalizzazione del mercato della compravendita della casa. Se non si interviene per tempo, il Paese si dividerà tra chi ha (almeno) una casa e chi non ce l'ha. Ne deriveranno tensioni marcate sulla popolazione più debole e rischi di inflazione, con il corollario di scelte dirigiste tanto inutili nei loro obiettivi di calmierare gli affitti, quanto dannosi sul mercato della casa (il danno dell'equo canone non è stato ancora superato dal nostro Paese). L'europa ha ormai una sua Costituzione. E' un gran passo in avanti. Ma ancora non possiamo dirci veri cittadini europei. Occorre sfruttare questa occasione di edificazione dell'Europa per generare un circuito virtuoso di riforme e di liberalizzazioni. Per dare una visione dell'Europa. Così come è in Italia per il federalismo, anche l'Europa deve rappresentare opportunità ed allargamento e non vincoli e nuova burocrazia. Siamo convinti dell'Europa: dobbiamo far sentire la voce delle imprese in favore della reale creazione di un mercato interno europeo, per l'abbattimento delle barriere e per la costruzione di una politica europea che non sia rappresentata solo da una tabella di parametri. Il vero problema dell'Europa è la crescita economica e la spinta all'innovazione. L'innovazione è, come ho più volte detto, il vero fattore di competitività. L'innovazione non è solo quella rivoluzionaria che capita una volta nella vita. E' una tensione continua e quotidiana. E' un'attitudine al cambiamento. L'innovazione è fatta di persone e di mezzi tecnici. Chiediamo che le spese delle imprese in ricerca ed innovazione siano esentate dall'Irap. Non è una gran cosa e non penso che sia sufficiente una misura come questa per rilanciare un ciclo di innovazione. Ma è un segnale in questa direzione. E' una spinta a cui molte delle nostre imprese possono agganciarsi. Ii Mezzogiorno rimane al centro dei nostri progetti. Dobbiamo contribuire a dare contenuto al Sud come la nostra nuova frontiera. Vorrei mobilitare in favore del Mezzogiorno la capacità progettuale di tutti. Anche qui, non credo esistano soluzioni semplici. Anche qui sono innanzi tutto gli imprenditori, quelli del Sud in primo luogo, che devono rimboccarsi le maniche. Noi possiamo e dobbiamo aiutarli, coinvolgendo gli altri attori della società e della politica ed elaborando nuovi progetti indicando chiare priorità: il recupero delle città, un turismo moderno, un allestimento di zone industriali attrezzate, il miglioramento delle comunicazioni, il partenariato tra imprese per sviluppare la subfornitura e le joint-venture, una Pubblica Amministrazione più efficiente, dobbiamo favorire attività innovative. Nulla deve essere trascurato. Ci sono poi temi dell'agenda che ci vedono impegnati direttamente con le altre parti sociali e con il Governo. Con il Sindacato abbiamo ripreso a parlare ed abbiamo individuato alcuni terreni di discussione e un'agenda per lo sviluppo. Sono contento dell'inizio, ma non basta. Vedo risorgere vecchi modi di contrattare e desideri di rivalsa che non ci portano lontano. Sono riprese le punzecchiature. Non gradisco i messaggi in codice che mi arrivano attraverso interviste o battute. Non mi interessa sapere se dobbiamo fare concertazione o dialogo sociale o contrattazione o come altro la vogliamo chiamare. L'importante è che si riavvii la ricerca di intese che consentano a noi, ai lavoratori, al governo ed a tutto il Paese il recupero di competitività industriale e il conseguimento di obiettivi condivisi. Se ciò avverrà tutti assieme o per gradi o in forma sequenziale o in altro modo, poco importa. Intanto, cominciamo. Penso che possiamo cercare una posizione comune sui problemi della nostra economia da sottoporre al Governo. Possiamo avanzare delle ipotesi condivise di inflazione obiettivo da discutere con il Governo. Possiamo cercare di semplificare i contratti di lavoro, che sono numerosi e che mal si giustificano con le regole della contrattazione derivanti dall'accordo del 1993. Possiamo investire nella formazione e chiedere al Governo la disponibilità reale dei fondi versati da parte delle imprese (lo 0.30% del salario). E' un primo passo. Poi ne faremo altri. Non facciamoci prendere dalla smania di risolvere tutti i problemi in un solo colpo. Soprattutto, e questo è un invito che faccio prima di tutto a noi stessi, superiamo la logica dei professionisti della contrattazione che partono da lontano, tergiversano, rimettono sempre tutto in discussione al solo scopo di dimostrare ai propri iscritti quanto sono rigidi e quanto sono capaci a negoziare. Abbiamo un po' più di fiducia in noi stessi. Anche con le Banche abbiamo avviato incontri. Abbiamo constatato l'esistenza di posizioni comuni su importanti provvedimenti legislativi. Sul Disegno Legislativo relativo al Risparmio, nato in fretta dopo gli scandali finanziari e poi arenatosi di fronte a veti incrociati. Le categorie tutte sono d'accordo per una soluzione legislativa che rafforzi i controlli e garantisca i risparmiatori. L'assonime ha fatto un eccellente lavoro. Dobbiamo spingere perché questo provvedimento passi, senza tentazioni dirigistiche. Lo stesso vale per la regolamentazione delle crisi di impresa. Non possiamo andare avanti con provvedimenti ad hoc, come si è fatto per il caso Parmalat. Dobbiamo rivedere la legislazione .Sul fallimento, con lo scopo di preservare l'azienda ed i creditori. Oggi né gli uni né gli altri sono realmente tutelati. La durata media dei fallimenti è di ben 7 anni. Nel Sud si arriva a 10 anni. Con questa lunghezza di termini, non si tutelano i creditori e si distrugge l'apparato produttivo sottostante. Anche in questo caso, le associazioni di impresa e I'assonime hanno elaborato proposte comuni. Dobbiamo agire per una loro approvazione. Ma con le Banche dobbiamo soprattutto sviluppare un discorso che riguarda la crescita delle imprese. Non solo con riferimento alle condizioni di credito. Ma soprattutto alla possibilità di valutazione. Si tratta di uno sforzo congiunto. Le imprese devono apprendere ad essere più trasparenti, organizzate in modo comprensibile, attente ad evitare conflitti di interesse interni, aperte ad esporre i propri piani industriali, disponibili a lasciarsi valutare, pronte ad aumentare il proprio patrimonio anche ricorrendo a soci esterni e, quindi, limitando la quota del possesso di proprietà da parte dell'imprenditore-famiglia. Le banche devono elaborare sistemi di valutazione capaci di apprezzare le potenzialità di crescita: le capacità di crescita dell'impresa rappresentano le reali garanzie che devono essere date alle banche. E' meglio che l'imprenditore investa il proprio patrimonio nell'azienda, piuttosto che lo dia in garanzia per prestiti a breve da parte della banca. E' con questo spirito che va affrontato Basilea 2, che deve essere un'occasione di crescita del mercato e non un mezzo per regolare i conti con le piccole imprese. Con le Università vorrei avviare un discorso di collaborazione per l'innovazione. So bene che Imprese ed Università si parlano poco. So anche che l'innovazione è compito delle imprese, mentre l'Università gestisce la ricerca. Ma andiamo oltre le definizioni e cerchiamo di lavorare assieme. Nelle Università c'è un patrimonio di ricerche che non è conosciuto e nelle imprese c'è un patrimonio di competenze che è sottovalutato. Un progetto di collaborazione può avvenire sia al centro che sul territorio. Si tratta inizialmente di accrescere la frequenazione reciproca e, quindi, di far circolare l'informazione. Ci sono anche i mezzi tecnici informatici per accrescere l'informazione. Ma la circolazione delle idee veicola ancora con il contatto fisico e con la frequentazione delle persone. Mi piacerebbe avviare un progetto di collaborazione che coinvolga il Ministero, la Crui e, a livello territoriale, singole Università ed Associazioni di impresa. In questa agenda non ho toccato in modo specifico i rapporti con il Governo. Non per dimenticanza, ma perché tutta la nostra azione vuole essere un contributo alle Istituzioni, e quindi in primo luogo al Governo, per la soluzione di problemi che riguardano le imprese, ma che sono di tutto il Paese. Lo penso che non sia giusto avere nei confronti del Governo una funzione di pura rivendicazione. Ho una idea più istituzionale del nostro ruolo e ho un grande rispetto per chi si è assunto l'onere di governare l'Italia, con tutte le difficoltà interne ed internazionali. Lo non voglio che Confindustria rappresenti una difficoltà in più per chi governa. Essa deve essere un supporto per il perseguimento di obiettivi generali. Per questo dichiaro la completa disponibilità di Confindustria a collaborare con chi governa il Paese, pronti, a rappresentare le nostre esigenze e ad ascoltare quelle generali del Paese e quelle specifiche degli altri attori. Penso che avremo modo di parlare presto della politica economica, delle riforme di sistema, di politica internazionale. Non intendo dettare io obiettivi e condizioni che competono al Governo. Intendo però far sentire la mia voce e dare il nostro contributo. Non si può non pensare che le imprese non siano preoccupate del disavanzo pubblico, del peso del fisco, della sua distribuzione, della stagnazione degli investimenti pubblici e privati, delle liberalizzazioni da fare nei servizi alle imprese (energia, trasporti, ecc..) e nelle libere professioni per recuperare produttività e crescita del sistema industriale, e così via. Parlare di queste cose non significa, per noi, invadere il campo della politica. Significa invece contribuire alla soluzione dei problemi e preparare una parte della società, le imprese, a fare la loro parte. Così come ho inteso fare con questa Agenda' per le Imprese, volta a contribuire ad un Progetto per la crescita del Paese.  
     
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