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Notiziario Marketpress di
Martedì 31 Agosto 2004
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LO STATO DELL’EDITORIA IN ITALIA NEL PANORAMA DELL’INDUSTRIA DEI CONTENUTI CULTURALI LA FOTOGRAFIA: CIFRE, TENDENZE E TEMI A CURA DELL’UFFICIO STUDI AIE |
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Milano, 31 agosto 2004 - Il settore nel 2003: ancora in leggera crescita. Ma… 3.621 milioni di euro complessivi (libri, collezionabili, editoria elettronica, coedizioni, export) a prezzo di copertina (+1,8% a valore corrente sul 2002, escluse le vendite di libri allegati a quotidiani e periodici), circa 53mila titoli pubblicati tra novità e ristampe e 254 milioni di copie stampate e immesse nei canali di vendita; un indice di lettura di libri tra la popolazione italiana (superiore ai 6 anni di età) del 41%, in leggera crescita (+1,1%), ma ancora lontano dai valori degli altri Paesi europei. Sono questi gli elementi strutturali che fotografano il comparto dell’editoria libraria e multimediale italiana nel 2003: un mercato caratterizzato da una sempre modesta velocità di crescita (1-2% a valore corrente), che non consente nemmeno di recuperare l’inflazione reale e rischia di allontanarci dai Paesi e mercati tradizionalmente più sviluppati. All’interno di questo quadro esistono però alcune novità: la crescita dell’editoria di viaggi e turistica, dei libri a fumetti, dei libri sullo sport, dell’editoria religiosa o legata alla spiritualità, di collane e case editrici specializzate sulla salute; l’incremento della visibilità in libreria del giallo, della fantascienza e del fantasy, ecc. E ancora l’aumento di importanti best seller o la grande attenzione delle case editrici – piccole e grandi – ai fenomeni culturali, sociali, artistici, agli autori emergenti in altre letterature e paesi. Oppure il romanzo d’autore italiano, da cui viene sempre più spesso tratto un film di successo. Sono tuttavia novità che non modificano lo scenario complessivo, che rimane caratterizzato da forti elementi di incertezza e da una sostanziale staticità del mercato, in parte legato al fatto che i consumi culturali (lettura di libri e giornali ma anche consumo di musica registrata o di sala, la frequentazione di mostre e musei) non possono crescere l’uno separato dall’altro. Si legge e si potrà leggere di più (sia libri che quotidiani) solo se si creeranno le condizioni nella società civile per far crescere tutti insieme i consumi culturali. Libro e mondo dei contenuti (escluse le tv) a confronto: il libro pesa per il 31% Il mercato italiano del libro e dei prodotti multimediali non è certo marginale rispetto agli altri settori dell’industria editoriale e della comunicazione, di cui condivide la situazione di elevata instabilità e di modifica dei confini che storicamente delimitavano quest’area di business. L’industria libraria si inserisce nel più ampio settore dell’industria dei contenuti editoriali, che comprende la stampa quotidiana e periodica, gli annuari, l’editoria elettronica on line e off line, l’home video, l’editoria musicale, il cinema. E aggiungiamo anche i segmenti della formazione, delle banche dati on line e dell’e-learning. In questo ambito, i dati disponibili permettono di proporre una interpretazione sufficientemente analitica di alcuni aspetti dello scenario macroeconomico che caratterizza il settore. Premesso che non è sempre possibile effettuare raffronti puntuali e precisi (per inevitabili sovrapposizioni tra i diversi settori o per difficoltà nella comparazione delle fonti dei dati), nell’analisi si è limitato il confronto ad un gruppo di segmenti industriali più vicini a quello librario, o per le tecnologie impiegate (la stampa) o per gli sbocchi commerciali. Il comparto librario rappresenta il 31% di questo mercato (televisioni escluse). Così, dopo la stampa quotidiana e periodica (di cui però circa il 50% del fatturato deriva dai ricavi pubblicitari), il libro rappresenta il secondo settore dell’industria dei contenuti. La produzione: 53mila titoli, 254 milioni di copie. Sono troppi? Siamo il terz’ultimo Paese europeo per titoli pubblicati ogni mille abitanti Sono circa 53mila i titoli pubblicati e 254 milioni le copie stampate, con un trend sostanzialmente stabile (+2% medio annuo tra 1995 e 2003). Continua invece la riduzione (-1,5% medio annuo) nel numero di copie complessivamente prodotte. Il numero di titoli pubblicati rappresenta un indicatore importante di come il sistema editoriale percepisca l’evoluzione della domanda di lettura nel proprio mercato di riferimento: al crescere e all’articolarsi dei bisogni di lettura, di aggiornamento professionale, di studio, di evasione o di svago, di cultura, ecc. All’interno di una società non può, infatti, che corrispondere un crescente numero di titoli pubblicati dalle case editrici. 53mila titoli possono sembrare tanti, perfino troppi. È tuttavia sufficiente confrontare il rapporto del numero di titoli pubblicati per mille abitanti nei paesi dell’Europa a Quindici (i dati dei nuovi paesi non sono ancora comparabili) per scoprire che il nostro Paese segue (con i suoi 0,95 titoli pubblicati per mille abitanti) la Francia (0,97 per mille abitanti), la Germania (con 1,01), la Finlandia (con 1,26), la Svezia (con 1,45), la Spagna (con 1,60) e il Regno Unito (con 1,85 - ma i suoi editori, come quelli spagnoli, possono contare su una sorta di lingua franca che rende meno facile il raffronto). Alle nostre spalle ci sono solo il Portogallo (con 0,90) e la Grecia (con 0,62 titoli per mille abitanti). In particolare, il mercato librario italiano si colloca, nella graduatoria dei maggiori Paesi europei, sempre nella stessa posizione, crescendo di anno in anno, ma senza recuperare rispetto a quelli che lo precedono. La tiratura media diminuisce È continuata la riduzione della tiratura media, ormai scesa a 4.800 copie, best seller inclusi. Sono lontani i tempi in cui, negli anni Ottanta, raggiungeva le 8.500 copie, o il biennio 1994-1995, quando la tiratura media riprese a crescere fino a toccare, nel 1994, le 6.200 copie a titolo. In particolare, se si presta attenzione alle tirature medie delle novità, si rileva come, in sette anni, queste siano passate dalle 6mila copie per titolo del 1995 alle 4.700 del 2002. Certo è ancora impossibile stabilire se si sia in presenza di un fenomeno strutturale, in cui giocano un ruolo sia la difficoltà a conseguire allargamenti effettivi e non occasionali del mercato, sia l’innovazione delle tecnologie di stampa che rendono economiche le più basse tirature, ma è comunque un importante campanello d’allarme per il settore. Il mercato, se escludiamo il settore della narrativa di consumo e di best seller, si va sempre più caratterizzando come un insieme estremamente “puntiforme” di segmenti sempre più ristretti, fatti da poco più di un migliaio di lettori (talvolta anche meno) a fronte invece di costi tendenzialmente crescenti per l’acquisizione di diritti sui mercati stranieri, per la produzione redazionale, per la distribuzione, ecc. I prezzi: sotto il livello dell’inflazione Il 23% dei titoli complessivamente pubblicati ha un prezzo di copertina che non supera i 7,75 euro e un altro 17% i 15,50 euro. Tra l’altro, è in questa fascia d’offerta che si concentra, in termini di copie stampate, la produzione editoriale italiana: ben il 37% dei pezzi messi in commercio non supera i 7,75 euro e un altro 30% si colloca tra i 7,75 e i 15,50 euro. Il prezzo medio ponderato (calcolato alla produzione per il 2002) è di 18,52 euro (Fonte: Istat, 2003). Rispetto all’anno precedente la crescita – in un anno caratterizzato anche dal passaggio all’euro – è stata (con il + 1,3%) sensibilmente al di sotto dell’inflazione. Quasi un libro su quattro (il 23%) pubblicato in Italia è tradotto da lingue straniere L’editoria italiana è, tra le diverse editorie europee, quella più attenta a proporre autori e titoli provenienti da altre letterature e altre culture: nel 2002 il 23% (un valore pressoché identico all’anno precedente) dei titoli complessivamente pubblicati in Italia erano traduzioni da lingue straniere. Si tratta di oltre 12mila opere, corrispondenti a circa 80 milioni di copie (il 31% del totale). Dagli anni Novanta l’incidenza delle opere tradotte da lingue straniere sul totale della produzione nazionale non è mai stata inferiore al 22%, con punte che in alcuni anni sono arrivate a superare il 25% (1994) e addirittura il 30-35% delle copie stampate. L’area da cui proviene l’assoluta maggioranza dei testi tradotti è quella inglese – che con 7.900 titoli pubblicati nel 2002 copre da sola il 65% dell’offerta di titoli stranieri – seguita da quella francofona (con 1.800 titoli) e tedesca (con 1.100 opere). Mentre la tiratura media nel 2002 di un libro tradotto è di 6.600 copie, quella di un libro di autore italiano, con 4.200 copie, continua a risultare più bassa di circa il 30-35%. Il fenomeno è ancor più evidente nel settore del libro per bambini e ragazzi dove il 51% delle novità pubblicate nel 2003 (il 54% nel 2002) è composto da titoli i cui diritti sono acquistati all’estero. Anche in questo caso è l’area di lingua anglosassone il mercato di provenienza largamente predominante, con un maggior peso della Gran Bretagna (53% dei titoli importati) rispetto agli Stati Uniti (25%). Il fatto nuovo – emerso da una recente indagine condotta da Doxa per conto dell’Aie e dell’Istituto per il commercio estero – è rappresentato dal fatto che se tra 2001 e 2003 il numero di titoli acquistati dalle case editrici italiane all’estero è cresciuto del 7%, il numero di titoli venduti è aumentato del 32,2% (pur rappresentando un terzo rispetto alle importazioni). Si vendono diritti soprattutto di libri per bambini, libri illustrati, manuali, libri di argomento religioso; solo dopo vengono la narrativa e la saggistica di cultura. I libri allegati ai quotidiani I libri venduti in allegato ai giornali hanno rappresentato per il mercato italiano, a partire dal 2002, il fenomeno più dirompente per il numero delle copie vendute, tanto da contribuire in maniera determinante al riequilibrio economico dei bilanci di non pochi gruppi editoriali della carta stampata. Si tratta di un insieme di operazioni che si sono progressivamente articolate in direzione di libri per bambini, enciclopedie, opere di reference o di giardinaggio, gialli, classici (ritradotto), libri e monografie d’arte, fumetti, fino ad arrivare oggi alla “novità” proposta con il quotidiano. E per cui parlano la cifre: Nel 2001 il fenomeno, tranne che per alcune operazioni sporadiche, era completamente assente dal panorama editoriale e l’edicola stava vivendo un periodo di difficoltà relativamente alla vendita di libri. Nel 2002 le iniziative di “La Repubblica” e del “Corriere della Sera” hanno immesso attraverso questo canale di vendita qualcosa come 44 milioni di copie. Una quantità che rappresenta il 47% delle vendite dei tradizionali canali del libro, con un giro d’affari stimabile a copertina in 220 milioni di euro. Questo quadro subisce nel 2003 un’ulteriore accelerazione: si contano non meno di 19 diverse iniziative, con oltre 400 titoli proposti e oltre 62 milioni di copie vendute (forse 64 milioni, considerando le operazioni condotte da quotidiani locali di più difficile monitoraggio). Un incremento dunque del 40% nelle copie vendute, per un valore di 328 milioni di euro (+49,1% sul 2002). Queste copie si sono aggiunte ai tradizionali canali di vendita del libro di varia – che in libreria cresce del 2% a copie – che non hanno risentito, per fortuna, in analoga misura del fenomeno. Secondo un’indagine Aie, considerando il numero di italiani che hanno comprato almeno un libro, esclusi quelli scolastici e professionali - indipendentemente quindi dal canale d’acquisto (e quindi comprendendo anche i libri in edicola in vendita congiunta a quotidiani e periodici) - arriviamo a 15.900.000 persone di età superiore a 14 anni. Di questi, solo 500mila dichiarano di aver acquistato libri esclusivamente in edicola e quindi possiamo considerarli – almeno temporaneamente – acquisiti al mercato librario. Una indagine Mondadori dello scorso anno stimava in circa 850 mila - 1milione i “nuovi lettori” acquisiti dalle diverse operazioni avviate da giornali e periodici. Il dato Istat del 2002 sulla lettura – l’ultimo a oggi disponibile a livello nazionale - costituisce una conferma importante, perché il 2002 rappresenta il primo anno in cui il fenomeno delle vendite di libri allegati ai quotidiani si è manifestato in tutta la sua ampiezza. Ma questi dati sulla lettura, con il loro +1,1%, sembrerebbero dar credito all’opinione di chi ha ritenuto che, nel suo insieme, l’operazione abbia finito per far comprare e forse leggere libri a chi già era lettore, piuttosto che allargare in misura significativa il perimetro complessivo del mercato (Fonte: Istat). I lettori in Italia? Sono poco meno di 23milioni (pari al 41% della popolazione) Meno di 23 milioni di persone (22.800.000 per l’esattezza): tanti sono gli italiani, con più di 6 anni di età, che leggono “almeno un libro non scolastico” nei 12 mesi precedenti (Fonte: Istat). Rappresentano il 41% della popolazione italiana. A questo valore – che colloca l’Italia nelle ultime posizioni in Europa – possiamo aggiungere altri comportamenti di lettura, a cominciare da quella che è stata definita “lettura morbida”, che riguarda l’11% della popolazione (i “lettori morbidi”, nella definizione di Istat, sono quelle persone che dichiarano di leggere “esclusivamente” narrativa gialla, fantascienza, libri rosa, libri di genere fantasy, guide e manuali, libri di cucina e gastronomia, ecc.). Il risultato non cambia. Legge “almeno un libro” solo un italiano su due (il 52,9% della popolazione con più di 6 anni): rispetto all’anno precedente la crescita è stata dell’1,1%. Una crescita, come si vede, modesta, tanto più che, lo ricordiamo, il 2002 rappresenta il primo anno in cui il fenomeno delle vendite di libri allegati ai quotidiani si è manifestato nel nostro Paese in tutta la sua ampiezza. In termini generali, il mercato della lettura non ha subito modificazioni significative nei suoi assetti strutturali dai primi anni Novanta: La lettura è ancora donna: Il pubblico femminile continua ad essere il segmento della popolazione (giovane e meno giovane) con una propensione più elevata a leggere rispetto agli uomini e ai ragazzi. E’ il 47% di donne e ragazze a indicare di aver letto un libro nel 2002, contro il 36% degli uomini. Ci sono poco più di 13 milioni di lettrici contro i poco più di 9 milioni di lettori. Lo stesso fenomeno dei libri allegati ai quotidiani non ha portato a cambiamenti neppure nella lettura per genere: visto che il libro viene veicolato attraverso un prodotto prevalentemente maschile come il quotidiano, ci si poteva aspettare una crescita della lettura anche tra i lettori. Invece nel 2001 – prima del lancio di Biblioteca di “La Repubblica” e poi di tutte le altre iniziative che sono seguite – solo il 35% degli uomini dichiarava di aver letto almeno un libro, contro il 46% delle donne; l’anno successivo, gli uomini restavano al 35%, le donne salivano al 47%. I figli leggono più dei genitori: Se esaminiamo l'andamento della lettura nelle diverse fasce di età, vediamo che l’indice di lettura risulta superiore alla media tra le fasce di età più giovani della popolazione: è del 50% tra i bambini di 6-10 anni, del 60% degli 11-14enni. Inizia a scendere invece anche in fasce di età ancora inserite nei processi di scolarizzazione superiore o universitaria. È del 55% tra i 15-17enni, si riduce ancora tra i 18 e i 19enni (50%), è al 51% tra chi ha i 20-24 anni di età e del 48% tra chi ha 25-34 anni. Resta lo squilibrio territoriale: si passa da una diffusione della lettura di libri del 48-50% nelle regioni del Nord ovest e del Nord est al 29-32% in quelle del Sud e Isole. Un italiano su due, residente nelle regioni del Nord, legge almeno un libro (considerando anche la “lettura morbida”, i valori non si scostano di molto da quelli di altri Paesi del Centro Europa), ma fanno altrettanto solo tre italiani su dieci tra quelli residenti nel Sud e nelle Isole. Le differenze regionali sono notevolissime: legge il 28% in Sicilia e in Puglia contro il 53% del Trentino Alto Adige; il 29% della Campania contro il 50% del Piemonte; il 34% dell’Abruzzo contro il 52% in Friuli; il 34% delle Marche contro il 43% del Lazio; ecc. Si legge di più nei grandi centri urbani: si legge di più nei grandi centri urbani e meno nei piccoli e medi comuni o capoluoghi della grande provincia italiana: il tasso di lettura è del 47% nelle aree metropolitane ma scende al 41% nei piccoli comuni (fino a 2mila abitanti) e al 38-39% in quelli fino a 50mila. Un quadro da cui si evince la necessità tanto di un’azione pubblica (a livello centrale e locale) e privata di promozione della lettura, quanto di strategie più innovative nella definizione dell’offerta da parte delle aziende e dei canali commerciali, così da stimolare quelle fasce di popolazione non ancora conquistate in modo stabile alla lettura. Senza dimenticare l’educazione alla lettura, fin dal mondo della scuola, e soprattutto il ruolo che deve giocare la famiglia. Sono tutti dati che confermano la povertà del consumo di libri nel nostro paese: sono poco più di 5milioni le famiglie che avrebbero in casa una biblioteca domestica di più di due metri lineari di scaffale. E quelle che ne hanno più di otto metri sarebbero il 6,5%. Infine, molti dei lettori sono poco più che occasionali: la metà (o poco meno) di chi legge non arriva a tre libri; i forti lettori, coloro che ne leggono almeno uno al mese, non sono più 2,5-2,8milioni di persone. Tra l’altro, questi dati sulla lettura, che indicano in buona sostanza la ristrettezza del perimetro del mercato con il quale devono fare i conti editori, librai e distributori, aiuta a comprendere le difficoltà in cui si trova oggi la libreria. Dei 1.935 esercizi commerciali che possiamo in qualche modo considerare “librerie”, 820 non hanno più di 100 mq di superficie (e quindi anche meno titoli, autori, case editrici tra cui il lettore può scegliere cosa leggere e comprare). Solo 290 hanno una superficie di vendita superiore a 300 mq e i megastore sono poco più dell’1%! La lettura dei bambini cresce. Ma… Basta guardare ai dati per sfatare il luogo comune che i bambini non leggono: nel 2003 il 65% dei bambini tra 5 e 13 anni di età aveva letto, nei 12 mesi precedenti, almeno un libro non scolastico. Siamo, in media, di 15-16 punti percentuali al di sopra di quanto legge la popolazione adulta (genitori dei bambini compresi) (Fonte: Doxa Junior). Anche qui si possono segnalare alcuni elementi strutturali: leggono più le bambine dei bimbi: rispettivamente il 47% contro il 44% tra i 6-10 anni e il 65% contro il 56% dagli 11 ai 14 anni (Fonte: Istat); leggono di più i bambini che risiedono nelle regioni del Nord (61% nel Nord ovest, 64% nel Nord est) che nel Sud (30%), Isole (33%), ma anche nelle regioni centrali (50%; Fonte: Istat). In realtà la diffusione della lettura tra i bambini negli ultimi anni mostra un andamento particolare. A una crescita, che era iniziata nella seconda metà degli anni Ottanta, e che raggiunge il 70-71% alla fine del decennio scorso, è subentrato un andamento molto più discontinuo, senza più raggiungere quel valore conseguito ormai sei anni fa. Questo significa un perimetro del mercato di poco più di 3milioni di bambini e tendenzialmente in calo. È vero che oggi i 5-13enni sono pari a 4,9 milioni mentre nel 1997 erano oltre 5 milioni (-5%), ma si è ridotto, e con maggior rapidità, il perimetro del mercato rappresentato dai lettori: nello stesso arco di anni il calo è stato del 13%. Tra l’altro, se nel 1997 chi leggeva, leggeva in media 2,6 libri a testa, oggi siamo a 2,1. Il secondo fattore su cui richiamare l’attenzione è che all’interno del particolare segmento della popolazione italiana che sta frequentando la scuola dell’obbligo c’è almeno un 30% di bambini che non legge alcun libro oltre quelli scolastici. Questo, per dare l’ordine di grandezza, significa nel 2003 oltre 1,7 milioni di bambini non lettori che frequentavano la scuola elementare o media inferiore. E questo chiama in causa il ruolo della scuola (e quindi gli strumenti e le risorse a cominciare dalle biblioteche) nel costruire un rapporto tra bambino e lettura di libri come momento positivo e di crescita. A sua volta la lettura di libri si inserisce all’interno dei più generali processi di consumo culturale: i bambini italiani – ce lo dice la stessa Doxa Junior – abitano in case con pochi libri, ma fortemente tecnologizzate. Il 94% delle famiglie ha un videoregistratore, che oltre la metà dei bambini (53%) usa almeno una volta alla settimana; il 19% ha lettori di Dvd; il 58% ha una consolle per videogiochi; il 63% ha un personal computer, un valore più che raddoppiato dal ‘97 (quando era il 29%) ad oggi. Soprattutto, il 48% dei bambini usa il pc in casa (molto meno a scuola: solo il 15%) e per vari scopi: per giocare (39%), per studio (19%), per disegnare (15%), per scrivere testi (15%), per guardare cd rom (14%). Se il 63% dei bambini abita in famiglie con un personal computer, nel 40% dei casi dispone anche di un collegamento a Internet e il 15% naviga abitualmente. Percentuali elevate si hanno già con i 10-11enni: 45% di collegamenti e 20% di utilizzatori. Per i 12-13enni si sale al 48% di collegamenti e al 35% di utilizzatori. Infine, oltre un terzo (38%) usa abitualmente il telefono cellulare proprio o di altri e il 27% lo possiede personalmente (23% l’anno prima): fra i ragazzi che hanno un cellulare il 76% lo usa per inviare e ricevere Sms. Aspetti che chiamano in causa il ruolo della famiglia nel favorire o meno un rapporto tra bambino e libro. Tanto più che solo la metà delle famiglie italiane (50%) con figli tra 0 e 14 anni, indica di aver acquistato direttamente, o comunque di aver ricevuto per regalo, almeno un libro per i loro figli (Fonte: Acnielsencra, per Aie). L’anno precedente questo valore riguardava il 54% delle famiglie. Anche qui il fenomeno non è omogeneo a livello territoriale: nelle regioni del Nord ovest si concentra il 34% delle famiglie che acquistano libri contro il 24% nel Nord est, il 15% nel Centro e il 28% nel Sud e isole. Se guardiamo al titolo di studio più elevato presente in famiglia tra i genitori, vediamo come il settore continua a portarsi dietro i tradizionali ritardi storici del nostro Paese: non è un caso che il 57% del mercato del libro per ragazzi sia costituito da genitori in possesso di laurea o di diploma di scuola media superiore (Fonte: Acnielsencra per Aie) e ciò chiama in causa, ancora una volta, il ruolo della scuola, priva di biblioteche scolastiche e di una coerente politica di promozione del “piacere di leggere”, ma anche di utilizzo del libro come strumento di lavoro in cui trovare informazioni che servono nella vita quotidiana (professionale, ma non solo) e la sua incapacità nel colmare i ritardi derivanti da contesti culturali meno favorevoli in famiglia. Gli altri consumi culturali I bassi indici di lettura dei libri, e della stampa quotidiana (parzialmente di quella periodica), sono solamente un aspetto di un più generale scarso livello di consumi culturali degli italiani, che leggono pochi libri ma ascoltano anche poca musica registrata, frequentano poco le mostre d’arte (che non diventino fenomeni e occasioni mediatiche) e ancor meno musei e collezioni permanenti, concerti di sala, teatro, ecc. Vediamo alcuni dati relativi a questi altri settori: Nel 2002 si sono registrati 15.820.000 ingressi nei musei: il 39% a gallerie d’arte antica o contemporanea, il 33% ad aree archeologiche e il 28% a circuiti museali. Complessivamente meno di un italiano su tre (il 28%) dichiara di visitare nel corso dell’anno – vacanze e week-end compresi – un museo, una galleria d’arte, una mostra, uno scavo archeologico. Sono ancora peggiori i dati relativi al teatro e ai concerti: appena il 19% della popolazione ha frequentato uno spettacolo teatrale nel 2002. Il 9% ha seguito concerti di musica classica e un altro 19% altri concerti. Un po’ meglio, ma non di molto, è l’andamento del cinema di sala, anche se solo un italiano su due ha fatto il suo ingresso in una sala cinematografica. Tra l’altro tutti questi consumi culturali presentano una forte connotazione territoriale: più elevati nelle regioni del Nord, notevolmente più bassi in quelle del Sud e delle Isole. Ad esempio se il 28% della popolazione residente nelle regioni del Nord ha visitato un museo, il valore scende al 19% per quelle del Mezzogiorno; da un 10% di frequentatori di concerti di musica classica delle regioni settentrionali si passa al 7% di quelle meridionali; ecc. Se gli italiani non sono un popolo di lettori, sono ancor meno un popolo che consuma musica registrata quando non viene scaricata gratuitamente da Internet o acquistata illegalmente. E questo pone una serie di problematiche a quelle librerie (di catena, ma non solo) che, in alcune realtà, hanno puntato ad una integrazione in termini di assortimento (libri più musica registrata) per molti aspetti congruente dal punto di vista merceologico e del profilo del pubblico. I dati relativi al consumo di musica di sala e di concerti che abbiamo citato poco sopra aiutano a inquadrare la situazione generale che caratterizza poi il mercato musicale nel nostro Paese: nel 2003 si è avuto un calo dell’8% a volume (e del 7,7% a valore) rispetto al periodo precedente. Se nel 1999 vennero venduti 53.205.000 pezzi (cd musicali, vinile, ecc.) lo scorso anno ne sono stati venduti 36.248.000 (Fonte: Fimi). Solo il dvd musicale appare in controtendenza - visto che si è passati dai 362mila pezzi venduti nel 2002 a 1.131.000 dello scorso anno (+212%) - ma non tale da cambiare il quadro complessivo del settore. Soprattutto è sui “singoli” che pesa la concorrenza della pirateria on line, che fa registrare un – 12% (contro il 7% degli album). Come si vede, i consumi culturali – dalla lettura dei libri a quella dei giornali (39% di lettori nel giorno medio; Fonte: Audipress), sino alla frequentazione di mostre e musei, di concerti e al consumo di musica o di cinema (di sala ma anche registrato, ecc.) – sono tra loro fortemente intrecciati: uno non cresce se non cresce l’altro. Sono intrecciati lungo il percorso di crescita della persona: dalla scuola alla vita adulta. E sono intrecciati tra loro. Ma soprattutto rileviamo da molte indagini che anche il consumo delle nuove tecnologie – che non sia il telefonino o l’uso della posta elettronica – è più alto e diffuso in quegli stessi paesi europei in cui sono più alti, ancora una volta, gli indici di lettura dei libri e dei giornali.
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