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Notiziario Marketpress di Mercoledì 06 Ottobre 2004
 
   
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  ASSEMBLEA CENTROMARCA "CAOTICITÀ DEGLI SCENARI, INCERTEZZA DEI MERCATI, RUOLO DELLA MARCA" PALAZZO DELLA BORSA DI MILANO, 5 OTTOBRE 2004 SINOPSI DELL'INTERVENTO DEL PROFESSOR GIAMPAOLO FABRIS ORDINARIO DI SOCIOLOGIA DEI CONSUMI ALL'UNIVERSITÀ IULM  
   
   Milano, 6 ottobre 2004 - Uno dei fenomeni più caratteristici dei nostri tempi è l'estensione del concetto marca ad ambiti sempre crescenti. E' marca Madonna. È marca il Milan. E marca la mia Università o un Santuario. Ma la generalizzazione e l'estensione della marca non significa affatto una banalizzazione della stessa. Perché una marca diviene valore — una sorta di re Mida che trasforma in oro ciò che tocca — solo quando rispetta regole ben precise e quando incorpora grandi valori."Valore e valori della marca" è il titolo di un volume che ho appena scritto con Laura Minestroni per enfatizzare appunto questo in scendibile binomio: valore economico ma anche impegno etico e responsabilità sociale. Un impegno che include anche una elevata tensione ad una continua implementazione della qualità e all'innovazione perché una grande marca non può che erigersi e legittimarsi firmando un grande prodotto. Le ricerche con cui monitorizziamo dimensioni relative all'impegno della marca nel sociale evidenziano trend di adesione costantemente crescente. A sottolineare che questo tipo di impegno non è certo estraneo anche ai fini del raggiungimento di obiettivi di mercato. Certo, nel breve termine, è improbabile che si riscontri un ritorno commerciale. Anche se le indagini dimostrano che fra i motivi di abbandono o di disaffezione dalla marca, quando questa sia percepita come inadempiente a queste nuove responsabilità sociali, sono in costante aumento. Ciò che è certo è che l'arricchimento dell'immagine e dell'equity della marca — soprattutto presso i segmenti culturalmente più avanzati — con dimensioni non direttamente riconducibili alle prestazioni d'uso, a performances strutturali e all'insegna dell'etica, rappresenta un'asset importante. Ma cosa significa per i consumatori comportarsi eticamente? Anzitutto l'adempimento della marca ad alcune domande fortemente sentite: un corretto rapporto prezzo qualità e il progressivo incorporo in questa — la qualità è una dimensione storicamente condizionata ed evolve in continuazione - di dimensioni che traversano tutta la filiera produttiva. Come assicurare la massima sicurezza — dal reperimento delle materie prime, ai metodi di lavorazione, allo smaltimento dei rifiuti -, garantire eque condizioni di lavoro ai dipendenti, un rapporto con l'ecosistema che va ben oltre gli obblighi imposti dalle norme, dai codici deontologici o dalle consuetudini. Scelte produttive rispettose delle nuove domande possono divenire parte qualificante del patrimonio genetico, della cultura della marca. Il mecenatismo, la filantropia, se non vengono assolte con la massima trasparenza queste richieste di base, appaiono ininfluenti e — anche se apprezzate — rischiano di risultare spurie ed estranee rispetto all'identità della marca. L'impressione è però che a fronte del riconoscimento della marca come il più importante asset competitivo di cui l'impresa dispone — una sorta di mantra che viene recitato sempre più spesso senza poi trarne le debite conseguenze — non corrisponda un'attenzione, una cura ed una gestione della marca coerente con le nuove sfide che mercati e società che vanno avviandosi verso la post modernità richiederebbero. Le problematiche dell'awarness, il posizionamento, l'immagine - che in genere esauriscono il sapere dell'impresa sulla marca — sono ormai divenute categorie obsolete e riduttive per dar conto della complessità nuova che la marca deve assumere per risultare competitiva. Per svolgere quel ruolo da protagonista che le compete. Lo short term, la discontinuità e mancanza di coerenza, il disinvestimento in pubblicità che resta comunque sempre la principale creatrice dei valori intangibili — in realtà estremamente "pesanti" nella valorizzazione della marca -, il ricorso indiscriminato alle promozioni, soprattutto quelle di prezzo, rischiose operazioni di brand stretching stanno minando la credibilità della marca. In un periodo storico in cui la marca — nonostante i continui attacchi: dai No Logo al discount alle private labels — sta acquisendo sempre più consensi e goodwill nel pubblico rischia di dilapidare questo grande credito con una gestione miope e inadatta ai nuovi scenari verso cui cì stiamo inoltrando. Una gestione che non tiene conto dei profondi cambiamenti che sono intervenuti nel consumatore e nel suo sistema di attese, dell'esigenza di instaurare un dialogo reale rinunciando ai tradizionali monologhi, di parlargli con campagne pubblicitarie che recepiscono il mutamento di scenario e prendono rapidamente le distanze da linguaggi vecchi, consunti o da velleitari exploit creativi fini a se stessi.  
     
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