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Notiziario Marketpress di
Lunedì 25 Ottobre 2004
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AL TEATRO NUOVO DAL 2 – AL 14 NOVEMBRE NAPOLI HOTEL EXCELSIOR |
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Milano, 25 ottobre 2004 - È una città assolutamente vitale quella che Tato Russo presenta in “Napoli Hotel Excelsior”: dopo quattordici anni il Maestro napoletano ritorna sul “suo” Viviani per rimettere in gioco la sua voglia di fare l’attore, avendo attraversato tanto teatro di regia e diverse personali avventure di scrittura. “Di Viviani prediligo l’atto unico. La zampata. La graffiata improvvisa. Lui, il poeta gatto, non ama le complicanze in tre atti. Mette poco a disegnare un mondo. Trenta minuti per un capolavoro del teatro di tutti i tempi qual è la grande “Musica” e “Via Partenope”. Lui, l’aristocratico passeggiatore notturno, cannocchiale della miseria della città in cui vive, ci conduce con la sua macchina da presa a far da osservatori di cose e di mondi quotidiani e lui, il poeta, li commenta con voce da finissimo doppiatore.” Allora, il ritratto di una società in piena decadenza si carica, tuttavia, di una sua nobiltà interiore. Il cantore di Partenope infatti, quel Don Raffaele della grande tradizione napoletana, sapeva affrescare con pochi tocchi l’immagine di una Napoli degli inizi del ‘900, sempre duplice, doppia, ma in nessun aspetto falsa, raccontata attraverso specchi che non rifrangono ricordi ma li catturano per conservarli. Scegliendo una scenografia imponente - linee sghembe ed essenziali, grandi finestre ed arcate solenni – lo spettacolo si sdoppia nel contrasto con la schiettezza dei vicoli che entrano nella vita con le loro piccole voci, subito prepotenti come quelle della gente comune: i vetturini, gli scugnizzi, i posteggiatori e i pescatori del porto. Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Nazionale del Mediterraneo: testo e musiche Raffaele Viviani; uno spettacolo di e con Tato Russo; con la partecipazione di Graziella Marina; con Rino Di Martino, Antonio Romano e con Giovanni Allocca, Luca Bagagli, Salvatore Benitozzi, Enrico Bernardo, Luigi Cesarano Franco D'amato, Angela De Matteo, Toni Lama, Giulio Liguori, Susi Muselli, Umberto Noto, Claudia Paganelli, Carmen Pommella, Antonella Ruggiero, Daniele Russo, Caterina Scalatrice, Massimo Sorrentino. Scene Uberto Bertacca; elaborazione musicale Antonio Sinagra; costumi Giusi Giustino; coreografie Aurelio Gatti. Il Viviani Di “Napoli Hotel Excelsior” Di Viviani prediligo l’atto unico. La “zampata”. La graffiata improvvisa. Lui, il poeta gatto, non ama le complicanze in tre atti. Mette poco a disegnare un mondo. Trenta minuti per un capolavoro del teatro di tutti i tempi qual’è la grande “Musica”. Lui, l’aristocratico passeggiatore notturno, cannocchiale della miseria della città in cui vive, ci conduce con la sua macchina da presa a far da osservatori di cose e di mondi quotidiani e lui, il poeta, li commenta con voce da finissimo doppiatore. “Inquadratura” è il punto di vista. E lui, il gran regista, con una sola inquadratura ha detto tutto. E il “taglio” della vita, il punto di vista sull’esistenza, lo sguardo attento alle miserie del mondo. “Via Partenope” mi ha interessato per questo, per il fatto di fornire un punto di vista, un’inquadratura fissa e determinante della città. Lui, l’eterno scugnizzo, l’intellettuale separato, che osserva una società in piena decadenza, sotto vetro, che fa fatica a coprire della sua nobile facciata esteriore il sudiciume degli interni, la sporcizia delle vetrate, untuose quando la luce proviene dal di dentro a mostrar vizi e categorie di un mondo che caracolla su se stesso inarrestabilmente. Ed ecco l’eccesso della deformazione caricaturale alla quale mi ha condotto la scelta di questo grande contenitore di sguardi. L’hotel Excelsior, immaginario luogo di favole, desiderato e impenetrabile, mondo di sogni inaccessibili, contro il quale si infrangono i sogni degli esclusi, dei tanti scugnizzi che moltiplicano le loro tragiche storia al di là del Grande Vetro. Un grande Fuori e un immaginario Dentro. E l’assurdo incrociarsi di queste due città impossibili, eternamente conviventi che eternamente si toccano e mai si sfiorano, che quando lo fanno conducono solo alla tragedia della contaminazione. Questa balorda e caratteristica promiscuità che disvela da una parte un’infinita galleria di caratteri tragici, di diversi, di miserabili, e dall’altra i tipi dì una classe ormai reclinata su se stessa, del tutto improduttiva e ritratta nel suo definitivo progetto di decadenza. Questa la storia di una grande pescata, di una grande Attesa, con personaggi che aspettano ognuno qualcosa in una lunga notte che chissà quando e se finirà. E le due città viste dall’Eterno Scugnizzo appaiono entrambe rallentate nello spazio e nel tempo e sembra venire a gravare sull’altra in forma di assioma finale e morale, ecco dall’altra spuntare un anelito di vita e di speranza come puro atto rivoluzionario. Tato Russo. Raffaele Viviani nacque da Raffaele e da Teresa Sansone a Castellammare di Stabia il 9 gennaio del 1888. Suo padre era vestiarista teatrale, e gestiva in paese un locale estivo: l’ “Arena Margherita”. Il debutto di Papiluccio avvenne a quattro anni e mezzo, a Napoli, dove Raffaele si trasferì con la famigliuola (aveva altri due figli, maggiori del Nostro: Vincenzo e Luisella); ed avvenne in circostanze straordinarie. Raffaele dava in fitto i costumi al suo amico e socio Aniello Scarpati, impresario del “Nuovo San Carlino” al Largo delle Pigne: un localuccio dove alle rappresentazioni dell’ “Opera dei pupi” si alternavano “numeri” di varietà. Una sera venne a mancare al programma un certo Trengi, tenore e comico, e Papiluccio lo sostituì, indossando il fracchettino d’un pupo, aggiustatogli addosso da sua madre. L’anno dopo (1893) Raffaele costruì un suo teatro, il “Masaniello”, nei pressi di Porta Capuana; e Papiluccio debuttò in prosa in un dramma intitolato appunto Masaniello, dovuto ad un tal Quadretti. Nel 1895 egli cominciò ad eseguire canzoncine da solo e duetti con sua sorella Luisella in un secondo teatro “Masaniello”, anche questo di gestione paterna, ch’era sito in via Marina. Tre anni dopo, il vecchio Raffaele Viviani costruì un terzo teatro “Masaniello” al Corso Garibaldi: teatro che divenne un centro popolare assai vivo, proprio in quel tempo ed in quel luogo in cui, nell’estate, dovevano scoppiare i famosi moti operai del ‘98. Nel 1900, diventato orfano di padre, Papiluccio e Luisella furono costretti a lavorare per dura necessità. Comincia il periodo più spietato nella vita del Nostro. Nel 1904 a quattordici anni è scritturato in un Circo equestre ed interpreta il famoso “contrasto” settecentesco “La canzone di Zeza”. L’anno dopo riesce a debuttare al Teatro Petrella a Basso Porto, dove ottiene uno straordinario successo ne Lo scugnizzo di Capurro e Buongiovanni. Successivamente è all’ “Arena Olimpia ” alla Ferrovia; e qui crea con “Fifì Rino ” la sua prima canzoncina comica, versi e musica. L’esito ottenuto lo spinge a perseverare; diventa poeta e musicista come era diventato istruito: tutta forza di volontà. Nell’inverno di quello stesso anno ritenta una nuova tournée in “Alta Italia” (la prima, tentata nel 1904, s’era conclusa a Civitavecchia, dove, rimasto affamato sulla “piazza”, era stato tratto in arresto, prima di poter essere “rimpatriato” dalla Questura). Viene scritturato dalla Compagnia di varietà di Bova e Camerlingo e parte per Milano, in un carrozzone da circo equestre. Nel 1907 è a Malta; nel 1908 riesce a debuttare all’“Eden” di Napoli, uno dei maggiori “varietà” cittadini, ed il suo “genere” realistico impressiona. Nell’estate dello stesso anno è al Teatro Nuovo e quindi a Roma, al Teatro Jovinelli, con Petrolini. Qui interpreta tre film in costume: uno dei quali, “Amore selvaggio”, avendo ad antagonista Giovanni Grasso. Tre anni dopo è a Budapest, dove crea le sue pantomime di sapore avanguardistico; e di là, tornato in Italia, conquista i maggiori pubblici di “varietà” della Penisola con il suo “numero” originale. A Roma lo scopre Tommaso Salvini; e Mario Corsi sulla “Tribuna” gli dedica un saggio critico in terza pagina. Nel 1912 sposa Maria Di Maio, nipote di Gaetano Gesualdi, e cioè del reale “creatore” del “Teatro d’Arte Napoletana”. Ormai è un artista celebre, al punto da contendere a Petrolini persino il successo alla “Sala Umberto” di Roma, nella stagione del 1914, in una straordinaria rassegna di tutto il Varietà Italiano. Nel 1917 fu a Parigi, ma non interessò. Al ritorno in Italia, a causa della disfatta di Caporetto, ed essendo venuto l’ordine governativo di chiusura dei “varietà”, organizzò una compagnia di prosa e musica e debuttò al Teatro Umberto di Napoli con l’atto unico “‘O vico”. Cominciò da qui per Raffaele Viviani un’attività febbrile: in pochissimo tempo scriveva versi, prosa e musica - metteva in iscena e recitava, pretendendo ed ottenendo da attori completamente “nuovi” una recitazione a memoria. E’ ammirato da Eduardo Scarpetta, Roberto Bracco, Matilde Serao, Salvatore Di Giacomo; Gemito vagheggia su di lui un ritratto, che eseguirà nel 1926, così Saverio Gatto, Luca Postiglione, Ezechiele Guardascione (l’ultimo a dipingere i tratti sarà Luigi Crisconio nel 1947). Egli rimase all’“Umberto” nella stagione del 1918, ’19 e ‘20: quindi cominciò a “girare” per i teatri della Penisola. Nel 1921, i suoi primi comici lo abbandonarono e Viviani, in pochi giorni li sostituì, ottenendo ancora più successo. Agli “atti unici” aveva aggiunto lavori in due atti ed anche in tre. Fu a Tripoli nel 1925; e, quattro anni dopo, si recò nell’America Latina (Argentina, Uruguay, Brasile) dove dimorò circa un anno ottenendo memorabili successi. Al ritorno in Italia fu interprete del “Cerchio della morte” di Cavacchioli al “Lirico” di Milano e, due anni dopo, fu protagonista de “La tavola dei poveri”: un film da lui stesso tratto da una sua commedia, allora appena abbozzata per la regia di Alessandro Blasetti. Gino Rocca, nel 1934, lo chiamò a Venezia, interprete del personaggio di Don Marzio, nella “Bottega del caffè” di Carlo Goldoni, data in Campo San Luca. L’anno dopo fu a Tunisi; nel 1936 fu il protagonista del “Malato immaginario” di Molière ed a Torino, città particolarmente “vivianesca”, conobbe tramite Tatiana Pavlova, sua grande e fedele amica, Nemirovic Dàncenco, fondatore del Teatro di Stato di Mosca, che lo avrebbe voluto per una “stagione” in Russia. Sono gli anni più duri di Raffaele Viviani, quelli che precedono la seconda guerra mondiale. La lotta al dialetto, voluta dal regime di allora, fa sì che la Direzione dello Spettacolo gli neghi i teatri. A questo s’aggiunga la funzione di copertura del “ trust ” delle sale di spettacolo perseguita dalla sedicente “U.n.a.t.”; la quale dà addirittura l’ostracismo a Viviani che però eroicamente resiste e combatte, continuando a scrivere ed a recitare. Fa un film: “L’ultimo scugnizzo” per la regia di Righelli; nel 1940 recita in “Miseria e nobiltà” di Eduardo Scarpetta e in “Chicchignola” di Petrolini; e l’anno dopo fa conoscere Antonio Petito, interpretandone una commedia ed indossando egli stesso il camiciotto bianco di “Pulcinella”. Fermatosi a Napoli, nella stagione del 1942, recita tre mesi, ininterrottamente, al Teatro delle Palme, noncurante delle incursioni aeree che sconvolgono la città. Qui interpreta una “novità” di Pirandello: “Bella vita” (la sua terza interpretazione dell’Agrigentino dopo “La patente” e “Pensaci Giacomino”). E intanto collabora alla sceneggiatura del suo dramma “I pescatori”: film che non riesce ad interpretare perché una crisi fisica glielo impedisce. Si riprende a stento dal male che lo mina e, dopo la “liberazione”, torna per un breve periodo alle scene nel 1945, chiudendo definitivamente la sua carriera nel giorno di Pentecoste di quell’anno con “‘O vico”: il suo primo lavoro. Da allora, chiuso nella sua casa al corso Vittorio Emanuele, scrive con la collaborazione del figlio Vittorio “I dieci Comandamenti”, riordina le sue “Poesie” edite ed inedite, la sua “Autobiografia” e tenta ancora due commedie rimaste incompiute: “Cavalli ed asini” e “Trovare un posto”. Muore il 22 marzo 1950. Tournee 2004/2005: 2 - 14 novembre Milano - Teatro Nuovo; 16 - 18 novembre Locarno - Teatro Di Locarno; 19 - 21 novembre Seregno - Teatro San Rocco; 23 novembre Merate - Teatro Manzoni; 24 novembre Arcore - Teatro Nuovo; 2 dicembre Battipaglia - Teatro Garofalo; 3 dicembre Taranto - Teatro Orfeo; 4 - 5 dicembre Avellino - Teatro Partenio; 7 dicembre Maddaloni - Teatro Alambra; 8 dicembre Sulmona - Teatro Comunale; 9 - 12 dicembre Bari - Teatro Piccinni; 14 - 19 dicembre Palermo - Teatro Biondo; 20 dicembre Trapani - Teatro Dell’universita’; 6 gennaio Sant’arpino - Teatro Lendi; 7 - 9 gennaio Barletta; 11 - 16 gennaio Genova - Teatro Della Corte; 17 gennaio Alassio - Sala Alassio 18 gennaio Brugherio - Teatro San Giuseppe 19 - 23 gennaio Brescia - Teatro Sociale; 25 gennaio Gallarate - Teatro Delle Arti; 27 - 30 gennaio Trento - Auditorium Santa Chiara; 2 - 3 febbraio Pescara - Teatro Massimo; 4 - 6 febbraio L’aquila - Teatro Comunale; 8 - 12 febbraio Cagliari - Teatro Alfieri; 13 - 14 febbraio Sassari - Teatro Verdi; 16 - 17 febbraio Livorno - Teatro La Gran Guardia; 18 - 20 febbraio Reggio Emilia - Teatro Romolo Valli; 6 - 8 maggio Cosenza - Teatro Rendano.
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