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Notiziario Marketpress di
Giovedì 12 Maggio 2005
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UNA NUOVA EUROPA CHE RICORDA GUARDANDO AL FUTURO |
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Bruxelles, 12 maggio 2005 - A nome del Consiglio, Jean-claude Juncker si è innanzitutto congratulato con i Parlamento per aver voluto ricordare l'8 maggio 1945. Ricordare è «un obbligo ardente», soprattutto per quelli che sono nati dopo la guerra che non hanno visto i campi di concentramento, i campi di battaglia, i cortei di prigionieri e che non sono stati confrontati a scelte individuali e collettive drammatiche. Oggi, ha proseguito, i testimoni diretti di «questa epoca terribile della storia continentale» stanno sparendo e a loro le nuove generazioni devono essere riconoscenti. Perché, ha spiegato, «la generazione che ha dovuto fare la guerra e che ha voluto fare la pace» ha ricostruito l'Europa e «ne ha fatto il più bel Continente che ci sia». L'8 maggio 1945 è stato, per l'Europa, un giorno di liberazione e bisogna esprime riconoscenza ai soldati americani e canadesi, ai militari dell'Armata rossa e al popolo britannico che «ha saputo dire no e senza il cui apporto niente sarebbe stato possibile». La libertà, ha poi aggiunto il Presidente del Consiglio, tuttavia non è stata uguale per tutti. Le popolazioni che vivevano in Europa centrale e orientale, ha spiegato, sono state sottoposte alla «pax sovietica, che non era la loro». Non erano liberi, hanno dovuto evolvere sotto un regime di principi che furono loro imposti. Dicendosi quindi triste pensando a chi dice del male dell'allargamento «proprio mentre la seconda guerra mondiale si è finalmente conclusa», ha quindi esclamato: «Viva l'allargamento!». L'europa del dopoguerra, ha proseguito, senza la guerra non avrebbe potuto diventare quello che è oggi. Un'europa, ha concluso, che è nata dalla ceneri della guerra e non avrebbe mai potuto esistere senza i padri fondatori come Schuman, Bech, Adenauer e De Gasperi che, della frase «mai più la guerra», per la prima volta nella storia del Continente, ne «hanno fatto una speranza, una preghiera e un programma». Non l'avrebbero potuto fare «se non si fossero sentiti trasportati dai sentimenti nobili e profondi dei loro popoli», perché «non si realizza niente di grande senza la volontà del popolo». Il Presidente del Consiglio ha poi voluto rendere omaggio a quei filosofi, pensatori e uomini politici meno conosciuti, come Léon Blum e «il grande Spinelli» che sono stati imprigionati e altri ancora di cui «non conosciamo il nome ma ai quali dobbiamo molto». Egli ha reso omaggio anche a chi «ha dovuto portare l'uniforme del suo nemico» come i lussemburghesi nati tra il 1920 e il 1927 e i giovani di Alsazia e Lorena. Vi era una parte dell'Europa libera e una parte paralizzata, ha poi proseguito. La guerra fredda è stata un periodo tragico che ha paralizzato le migliori energie e i migliori talenti europei. Da ambo le parti dell'Europa si pensava che la minaccia venisse dall'altro lato, «che opportunità e che tempo persi» a causa di queste «stupidità», ha quindi esclamato. Oggi dobbiamo essere felici di non dover più fare riferimento «alla logica implacabile della guerra fredda» e che possiamo fare la pace tra le due parti dell'Europa. Pensando «al grande Churchill» ha poi sottolineato una frase da lui pronunciata nel 1947, quando nacque l'idea di creare il Consiglio d'Europa davanti al rifiuto dell'Urss di permettere ai paesi dell'Europa centro-orientale di beneficiare del Piano Marshall: «Cominciamo oggi all'ovest quello che un giorno termineremo all'est». «Dobbiamo esseri fieri di esserci riusciti», ha quindi affermato. Junker ha poi detto che bisogna anche essere fieri di citare al Parlamento europeo una frase pronunciata da Victor Hugo nel 1949: «verrà il giorno in cui le bombe saranno sostituite dai voti». Un Parlamento eletto dai popoli europei, «eredi di quelli che hanno saputo dire no quando era necessario e di quelli che hanno detto sì quando era l'unica opzione che restava». Dobbiamo quindi esseri fieri «di chi ha detto no e di chi, oggi, dice sì alla grande Europa, che ha visto la sua storia e la sua geografia riconciliarsi». Dobbiamo essere fieri, ha aggiunto, di chi non vuole un'Europa che si trasformi in una zona di libero scambio. Siamo fieri, ha concluso, «dell'Europa costruita da chi era qui prima di noi, dovendone essere degni eredi». L'assemblea, in piedi, ha quindi tributato un lungo applauso al Presidente del Consiglio. «Siamo qui per ricordare, riconoscere e ricostruire», ha esordito il Presidente della Commissione Barroso. Ricordare la distruzione e lo sterminio, ma anche le storie straordinarie di trionfo nelle avversità. Ricordare anche quei popoli che «non hanno avuto fortuna», il cui «incubo è stato sostituito da un'altro». Per questi ultimi, ha spiegato il Presidente, la fine della guerra non ha portato pace e libertà, ma unicamente la pace. A loro, la libertà è arrivata solo con la caduta del Muro di Berlino. Barroso ha poi sottolineato le parole coraggiose di Churchill che, per primo, si è appellato alla riconciliazione tra Francia e Germania per ricostruire l'Europa. Ha poi reso omaggio alla determinazione nel ricostruire, invece che asserragliarsi, di Robert Schuman, Jean Monnet, Konrad Adenauer e Alcide de Gasperi nonché dei leader transatlantici. L'europa ne è uscita così trasformata: democratica, libera e che condivide valori comuni. L'europa, che presto conterà 57 paesi e 500 milioni di cittadini, però non deve essere «vittima del proprio successo». Non bisogna dare per acquisiti i valori fondanti della nuova Europa, ha aggiunto. Basta pensare alla guerra che solo pochi anni fa si svolgeva sul nostro Continente. Pertanto, ha detto il Presidente, «si deve lavorare per la pace e non darla definitivamente per acquisita». Il problema, oggi, è rispondere ai timori degli europei: è trovare un lavoro, non il proprio paese, è gestire efficacemente l'integrazione dei mercati, «non i conflitti armati tra concorrenti che diventano avversari e nemici». Ricordiamoci, ha sottolineato il Presidente, che l'ambizioso partenariato che abbiamo concluso «è stato la fonte di rivoluzioni pacifiche che hanno portato la libertà e la democrazia a milioni di europei». E' questa «la forza motrice che stimola la crescita, l'occupazione e gli investimenti, offrendo agli europei la prospettiva di una vita migliore». Dal suo mercato interno alle sue frontiere esterne, dalla promozione della coesione interna a quella della solidarietà e della giustizia in tutto il mondo, «l'Unione costruisce l'Europa». Lo ha realizzato per tappe concrete, che migliorano la vita quotidiana dei suoi cittadini. La Costituzione, ha quindi concluso, «consoliderà questa opera e porrà i fondamenti per progressi ancora più importanti in futuro». Giusto Catania (Gue/ngl, It) ha sottolineato che l'8 maggio del 1945 è la data che marca la fine della seconda guerra mondiale ma anche «la data che sancisce la fine delle dittature fasciste e naziste in Europa» ed ha segnato «l'inizio di un'Europa che aspira alla pace e alla giustizia sociale». L'europa, ha proseguito, «è stata liberata dalla resistenza di uomini e donne, dalla resistenza di partigiani che ne hanno costruito le fondamenta istituzionali e morali». L'europa «è stata liberata da quelli che hanno combattuto a Stalingrado, è stata liberata dalle truppe alleate americane e canadesi e anche dall'esercito sovietico». Questa data, ha quindi affermato, «può essere considerata la pietra su cui è stata edificata la nuova Europa». Purtroppo, ha però aggiunto, «questa pagina di storia troppo spesso è oggetto di saccheggi e di attacchi revisionisti» e «anche questo dibattito è viziato da concreti impulsi revisionisti». Si fa un cattivo servizio alla commemorazione della liberazione dell'Europa, ha spiegato, «mescolando indistintamente l'8 maggio del 1945 e i crimini dello stalinismo». Precisando poi che «per cultura politica, per dato anagrafico e per formazione culturale», lui e il suo gruppo non hanno «alcun problema a condannare duramente gli orrori dello stalinismo», il deputato ha rilevato che, nel dibattito, «si tenta di far vivere in modo surrettizio le teorie di Nolte che impongono un'equazione tra nazismo e comunismo». Ad onor del vero, ha proseguito, i valori della pace e della giustizia sociale «sono stati minati anche dal colonialismo, dall'imperialismo, dal neoliberismo»: «dall'Algeria al Vietnam, dal bombardamento di Belgrado ai massacri di Sabra e Chatila, fino ai fatti dell'11 settembre 2001 e a Santiago del Cile». Bisogna fare un buon servizio alla storia, ha quindi affermato: «la memoria del passato è una dote essenziale per affrontare il futuro e per costruire le prospettive di questa Europa». E, a suo parere, c'è solo un modo per rendere più forte l'Europa: «bisogna bandire la parola guerra dal nostro vocabolario e l'Europa deve svolgere un ruolo attivo nella costruzione di un mondo di pace, dall'Iraq all'Afghanistan alla Palestina». L'europa, pertanto, «deve essere più coraggiosa e autorevole» e, ribaltando il detto latino, occorre «sostenere con forza civis pacem para pacem»; «questa deve essere la nostra stella polare».
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