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Notiziario Marketpress di
Lunedì 16 Maggio 2005
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DAVIDE ENIA “SUD'ORAZIONE” PREGHIERE PER L'ANIMA E PER I PIEDI” AL TEATRO ELFO DI MILANO |
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Milano, 16 maggio 2005 - "Vera forza della natura per creatività e fiato da battitore libero della scena", Davide Enia, palermitano in maniera pervicace, classe 1974, si aggiunge alla schiera di quei giovani affabulatori che hanno riportato al centro della scena la parola, il gesto, l'attore. "Enia è più sanguigno, una folata di vento caldo, di quelle con la sabbia dentro che ti riga il viso". Raccolti sotto un unico e immaginifico titolo - Sud'orazione, preghiere per l'anima e per i piedi - vanno in scena i due monologhi che hanno segnalato quest'artista all'attenzione del pubblico e della critica: Italia - Brasile 3 a 2, debuttato allo Stadio Meazza nel 2002, e maggio '43, debuttato nella versione definitiva nel 2004. Dal 17 al 22 maggio Italia - Brasile 3 a 2. Italia - Brasile 3 a 2 non è solo il racconto dell'epopea sportiva che ha visto la nostra nazionale trionfare ai quarti di finale dei mondiali di Spagna del 1982. Davide Enia, spalleggiato dalle musiche di Fabio Finocchio e di Giulio Barocchieri, scandisce le fasi di quella serata, portandoci a casa sua, un appartamento palermitano, affollato di parenti e amici inchiodati davanti al televisore a colori comprato per l'occasione. L'intreccio si colora delle vivaci sfumature della lingua palermitana, che diviene cuntu - arte antica di narrare per picchi vocali un'impresa eroica - e del concatenarsi di riti propiziatori di sapore antico e moderno. Con tratti gustosi, ma di trama sottilissima, Enia, trasporta l'evento calcistico in quella famiglia, fra quella gente in quella città. Antiche devozioni e superstizioni inventate per l'occasione, il senso dell'impotenza e della disfatta riscattato e poi subito frustrato, fino all'apoteosi finale. Il santino di Paolo Rossi attaccato al televisore, le sigarette e i caffè scaramantici. Riti propiziatori contro quell'incombente fato che ci vedrebbe all'inizio schiacciati da qualcosa di più potente e di imbattibile. Sembra naturale, a un certo punto, che Davide Enia si abbandoni agli spericolati picchi vocali del "cunto", quell'antico modo di narrare inventato per le imprese dei paladini e che ormai nessuno (tranne Mimmo Cuticchio) sa più fare, combinando tutti gli elementi in una sintesi di singolare potenza espressiva. Antonio Audino, il Sole 24 ore Cantastorie frugale ma ispirato da una vitalità caparbia, manifestante in grado di evocare esuberanze patriarcali, Davide Enia scandisce più ritmi narrativi, dal cronachistico al rituale, dal laconico all'eccitato, dallo straniato al visionario, e in certe fasi del punteggio attua da fermo, seduto o in piedi, un saliscendi vocalico che è proprio del " cunto". Così, col pretesto delle gesta col pallone, e della nomenclatura dei giocatori eroi, di quell'anno in cui morì Fassbinder riconsultiamo gli scenari del caffè, le leggende tra dispotismo e football, i movimenti senza palla decantati da Carmelo Bene, e assistiamo ad uno spettacolo pieno di grazia, di vigore, di devozione e di lusinga. Una drammaturgia lunga 90 minuti. Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica. Dal 24 maggio al 5 giugno, maggio '43 "Cos'è vedere il massacro di Palermo il 9 maggio '43 e camminarci dentro e non ci sono più le case e nemmeno le strade e non si vede niente che c'è polvere e fumo dappertutto ma comunque quello che vedi nemmanco si riconosce?" Una serie di interviste ai sopravvissuti di quei giorni, frammenti di memoria si ricompongono in una storia che cerca di trovare un punto d'incontro tra passato e presente. Davide Enia è Gioacchino, un orfano di 12 anni, affidato alle cure dei parenti, che impara a vivere tra trucchi e furbizie, lavoro e sofferenza, fatica. In questo emozionante "cunto" in dialetto palermitano, non stretto, immaginifico e materico, Enia riesce a far rivivere, grazie a matura drammaturgia, non solo quel 9 maggio, ma, con l'odissea del ragazzino e della sua famiglia, la miseria implacabile della guerra, l'orrore dei profittatori, la violenza dei fascisti, la fameŠ Evoca personaggi rudi e coloriti, descrive episodi di ordinario orrore con semplicità stupita, ora lanciandosi in vorticosi galoppi, ora perdendosi in infantili dolcezze, ma sempre inseguendo, in una filastrocca che affiora di continuo, la capacità di restare ragazzini, di guardare la realtà con gli occhi della speranza: la speranza di chi sa vedere nel fumo delle macerie del tremendo bombardamento figure fantastiche, la speranza di chi non vuole, malgrado tutto, perdere la sua infanzia e con essa la forza di sognare. Da vedere. Magda Poli, Corriere della Sera. Spettacolo che colpisce come una rasoiata. Conquista per la forza del linguaggio e pathos recato dall'interprete. (Š) Fatti, episodi tragici o umoristici, rielaborati da vari racconti orali, sono visti con gli occhi di un ragazzino, Gioacchino, "chiddu" che tutte le storie vede, memorizza e poi racconta (trovata splendida) sulla tomba del fratello maggiore anzi tempo scomparso. Racconti che si sviluppano con una attenta straordinaria tecnica narrativa in una sorta di circolarità musicale. Spaziature fantastiche che imprimono alla narrazione un ritmo ora incandescente, ora riflessivo, ora dolorosamente ripiegato su se stesso. Memorie divenute fantastiche, leggendarie ma che conservano tutto il peso della loro verità. Una partitura di emozioni Maggio '43, il canto del moderno cantastorie Davide Enia che lascia un segno profondo. Domenico Rigotti, Avvenire. Il tema è storico, e la capacità di rimontare con legggerezza pure un momento tragico, ci riporta alla Palermo del '43, ai traffici quotidiani per sopravvivere con furbizia tra mercato nero, giochi di carte, fame e bombardamenti: tra il riso e il pianto, grazie alle sue facce e alla sua bella lingua, Enia ci ricrea un momento storico di transizione (come il nostro) e il suo passaggio d'età. Ditemi se non è un miracolo. Franco Quadri, la Repubblica. Al Teatro Leonardo da Vinci www.Elfo.org
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