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Notiziario Marketpress di Lunedì 06 Giugno 2005
 
   
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  CGCE: LIBERA CIRCOLAZIONE CAPITALI  
   
 

La Corte di giustizia europea con sentenza 2 giugno 2005, pronunciata nella causa C-174/04, Commissione delle Comunità europee / Repubblica italiana, ha affermato che la parte del Decreto legge 25 maggio 2001, n. 192, convertito nella Legge 20 luglio 2001, n. 301, recante disposizioni urgenti per salvaguardare i processi di liberalizzazione e privatizzazione di specifici settori dei servizi pubblici, che sospende i diritti di voto relativi a partecipazioni superiori al 2% del capitale sociale delle imprese operanti nei settori dell’elettricità e del gas, viola il principio della libera circolazione dei capitali. La sospensione dei diritti di voto impedisce l’effettiva partecipazione degli investitori alla gestione delle imprese e non è giustificata da motivi imperativi di interesse pubblico. Reputando che tale normativa, adottata nel contesto della liberalizzazione del mercato dell’energia, potesse violare le disposizioni del Trattato CE sulla libera circolazione dei capitali, la Commissione aveva presentato un ricorso per inadempimento contro l'Italia dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee. La Corte ha rammentato, innanzi tutto, che il Trattato CE vieta tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi. L’investimento diretto, sotto forma di partecipazione ad un’impresa attraverso il possesso di azioni, costituisce un movimento di capitali caratterizzato dalla possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di una società e al suo controllo. La sospensione dei diritti di voto impedisce un’effettiva partecipazione degli investitori alla gestione e al controllo delle imprese italiane operanti nei mercati dell’elettricità e del gas: essa costituisce pertanto una restrizione alla libera circolazione dei capitali. Il fatto che solo le imprese pubbliche titolari nel loro mercato nazionale di una posizione dominante siano interessate non modifica tale constatazione. Infatti, le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali non operano alcuna distinzione tra le imprese private e le imprese pubbliche né tra le imprese titolari di una posizione dominante e quelle che non godono di una siffatta posizione. La Corte ha rammentato che la libera circolazione dei capitali costituisce un principio fondamentale del Trattato che potrebbe essere tuttavia limitato da una normativa nazionale giustificata da motivi imperativi di interesse pubblico. La normativa nazionale dovrebbe garantire, inoltre, il conseguimento dello scopo perseguito e soddisfare il criterio di proporzionalità. Il governo italiano ha fatto valere che, mediante la liberalizzazione e la privatizzazione, i mercati dell’energia in Italia sono stati aperti alla concorrenza. La normativa del 2001 mirerebbe a salvaguardare condizioni di concorrenza solide ed eque in tali mercati. Essa consentirebbe di evitare che, in attesa di un’effettiva liberalizzazione del settore dell’energia in Europa, il mercato italiano sia oggetto di attacchi anticoncorrenziali da parte di soggetti pubblici operanti nel medesimo settore in altri Stati membri e avvantaggiati da una normativa nazionale che li aveva mantenuti in una posizione di privilegio. La Corte ha constatato, tuttavia, che il rafforzamento della struttura concorrenziale del mercato di cui trattasi, in linea generale, non costituisce una valida giustificazione delle restrizioni alla libera circolazione dei capitali. Di conseguenza, la Corte ha concluso che l’Italia ha violato le disposizioni del Trattato CE sulla libera circolazione dei capitali.

 
     
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