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Notiziario Marketpress di
Lunedì 13 Giugno 2005
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FIDEURAM INVESTIMENTI: MARKET OUTLOOK MAGGIO 2005 |
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Milano, 13 giugno 2005 - Lo scetticismo sulla possibilità che l’economia Usa e, più in generale, quella mondiale continuino a crescere su ritmi sostenuti sta evidentemente aumentando. I più recenti dati relativi al mese di maggio provenienti dagli Usa (in particolare, la flessione marcata dell’indice Ism e l’aumento molto modesto dell’occupazione) hanno rafforzato l’aspettativa secondo cui il ciclo restrittivo della Fed sarebbe ormai quasi giunto al termine. Questo scenario appare, alla luce dell’evidenza disponibile, eccessivamente pessimistico, ma è indubbio che l’incertezza sulle prospettive dell’economia Usa nei prossimi mesi è aumentata significativamente. Nell’area euro il flusso di dati sull’andamento dell’economia si è mantenuto alquanto negativo e ha costretto ad una nuova revisione al ribasso delle previsioni di crescita per il 2005 e per il 2006, con la fase congiunturale dell’Italia particolarmente delicata. Un taglio dei tassi da parte della Bce appare al momento improbabile, ma potrebbe essere determinato, entro la fine dell’anno, non solo dall’andamento deludente dell’economia, ma anche da un’ulteriore riduzione dell’inflazione core (intorno all’1.0%). Il quadro complessivo per l’Europa Continentale è reso ancora più delicato dalla crisi politica determinata dalla mancata ratifica della Costituzione Europea in Francia e nei Paesi Bassi, con implicazioni negative sulla possibilità di nuove riforme strutturali orientate a rendere più competitive le economie dell’area. In presenza di un rallentamento significativo dell’economia Usa, infine, è improbabile che l’Asia possa rappresentare un motore di domanda “autonomo”, vista la debolezza complessiva della crescita della domanda interna. Si deve però notare che le informazioni più recenti provenienti dalla regione (Giappone incluso) non forniscono supporto ad una lettura pessimistica dell’evoluzione dello scenario macro. Stati Uniti - La decelerazione della crescita dell’economia Usa sembra essere proseguita anche nel corso del secondo trimestre, anche se con un’intensità meno allarmante di quella indicata dai dati relativi al mese di marzo che sono probabilmente stati influenzati negativamente dalla Pasqua “anticipata” e dal clima rigido. I dati relativi ad aprile hanno mostrato un generale recupero della domanda e dell’attività economica, evidente in modo particolare nell’andamento delle vendite al dettaglio e dell’occupazione, ma la crescita nel trimestre corrente dovrebbe attestarsi sotto i ritmi del trimestre precedente: la nostra stima al momento è di una crescita del 3.0% annualizzato, contro il 3.5% del primo trimestre. Questa decelerazione deve essere attribuita per intero alla correzione delle scorte. I primi dati mensili sull’andamento delle scorte nel secondo trimestre, relativi per il momento al solo settore manifatturiero, mostrano una decelerazione molto più marcata delle attese e il canale delle scorte dovrebbe sottrarre circa l’1% alla crescita annualizzata nel trimestre corrente. La decelerazione della domanda finale interna appare invece, in linea con le nostre precedenti previsioni, molto contenuta: i consumi privati sono infatti stimati crescere poco sopra il 3% (contro il 3.6% del primo trimestre), mentre gli investimenti fissi totali sono previsti in leggera accelerazione rispetto alla crescita del 5.3% del primo trimestre. Quest’ultima dinamica risulterebbe da una crescita molto brillante nel comparto residenziale, nuovamente tonificato dai bassi tassi sui mutui, che dovrebbe più che compensare l’ulteriore rallentamento degli investimenti in macchinari e attrezzature. Nel secondo trimestre il canale estero dovrebbe, infine, tornare a fornire un contributo positivo alla crescita, anche se modesto (0.4% ann. Nelle nostre stime), per la prima volta dal terzo trimestre del 2003. Uno degli elementi di fondo del nostro scenario è rappresentato dal fatto che non riteniamo che il rischio principale per l’economia Usa nel breve periodo sia costituito da una repentina decelerazione dei consumi determinata dagli squilibri che caratterizzano il settore delle famiglie (elevato debito, basso tasso di risparmio, prezzi delle case in continua crescita, ecc). Colpisce semmai quanto la crescita dei consumi sia rimasta “immune”, a partire dalla metà dello scorso anno, a fronte del mutamento della politica economica, sia monetaria che fiscale, e del notevole rialzo dei prezzi energetici. In questa fase appare invece più preoccupante il rischio che le imprese, in presenza di prospettive di medio periodo alquanto incerte, “tirino i remi in barca” riducendo significativamente l’attività d’investimento e l’occupazione. Il recente deterioramento delle condizioni di fiducia nel settore manifatturiero e l’andamento piuttosto deludente degli indicatori relativi a ordini e fatturato di beni d’investimento nei mesi fra febbraio e aprile non è molto confortante. Il nostro scenario contempla che il deterioramento delle condizioni del settore manifatturiero e il rallentamento della produzione manifatturiera e dell’attività d’investimento siano temporanei, legati principalmente al mini-ciclo delle scorte e all’impatto della fine degli incentivi fiscali alle imprese. E’ fondamentale, per lo scenario complessivo, che i dati delle prossime settimane confermino la validità di questa previsione. L’aumento dell’occupazione negli Usa in aprile aveva decisamente sorpreso le attese, ma era opinione condivisa che nel corso del mese di maggio si sarebbe assistito ad una decelerazione nel ritmo della creazione di nuovi addetti. L’andamento effettivo dell’occupazione in maggio, con un incremento di sole 78 mila unità (l’aumento più modesto dall’agosto del 2003) è risultato però decisamente più debole delle attese. La disaggregazione settoriale dell’andamento dell’occupazione mostra inoltre una debolezza generalizzata: all’ulteriore, diminuzione degli occupati nel manifatturiero, si è associata una decelerazione molto marcata della creazione di addetti nei servizi privati. Un rallentamento molto marcato ha riguardato, in particolare, i settori dei servizi alle imprese (incluso il lavoro “temporaneo”) e del tempo libero: l’andamento di questi due settori spiega circa 2/3 del rallentamento complessivo dell’occupazione nei servizi privati in maggio. Non vi è dubbio che la crescita degli occupati di maggio è stata alquanto deludente, ma non si deve perdere di vista l’elevata volatilità che caratterizza questo indicatore: appare quindi prematuro giungere alla conclusione che l’evidenza a favore di un netto rallentamento dell’economia nel corso della primavera sia schiacciante. L’incertezza sul sentiero di crescita dell’economia Usa nei prossimi mesi è indubbiamente aumentata. Un aspetto che è però importante sottolineare è che la dinamica del reddito da lavoro è rimasta piuttosto vivace anche in maggio, grazie al fatto che la settimana lavorativa media non ha subito una flessione e pertanto le ore lavorate totali hanno mostrato un leggero aumento. Questa dinamica rende improbabile che si assista ad una significativa decelerazione dei consumi nel breve periodo. Le notevoli revisioni al rialzo nella crescita dei salari fra fine 2004 e inizio 2005 hanno però portato la dinamica del costo del lavoro per unità di prodotto su ritmi (4.3% a/a nel primo trim. Dal -1.1% dello stesso trim. Del 2004) che solo raramente sono stati raggiunti nel corso degli ultimi 15 anni. Questo andamento giustifica i rischi di accelerazione dell’inflazione riaffermati nell’ultima riunione del Fomc, anche se in aprile la crescita dei prezzi core è risultata più contenuta delle attese, dopo il sorprendente aumento del mese precedente. E’ probabile tuttavia che anche i dati sull’inflazione di marzo e aprile siano stati “distorti”, almeno in parte, dalla Pasqua caduta in anticipo. Area Euro - Il deterioramento della fiducia delle imprese è continuato anche nel mese di maggio, sebbene non si sia assistito ad un ulteriore, marcato peggioramento, come poteva essere temuto di fronte alla sorprendente e sensibile flessione che si è invece registrata negli indici di fiducia per gli Usa. E’ comunque preoccupante non avere osservato alcuna influenza positiva dalla discesa del prezzo del petrolio e del tasso di cambio sulle condizioni del settore manifatturiero, il cui indice Pmi, uno dei più importanti indicatori congiunturali dell’area euro, è sceso ancora a maggio a 48.7 (da 49.2), rimanendo per il secondo mese consecutivo sotto la soglia di 50 e confermando la probabile contrazione della produzione del settore tra l’1 e il 2% annualizzato nel secondo trimestre. Il rischio è che si stia verificando un rallentamento della crescita estera maggiore di quanto attualmente incorporato nelle nostre previsioni, in una fase in cui sembra purtroppo evidente che la ripresa della domanda interna non è ancora sufficiente a sostenere la crescita. La fiducia delle imprese appare pertanto destinata a stabilizzarsi su livelli decisamente dimessi per un periodo di tempo più prolungato rispetto a quanto inizialmente preventivato. Inoltre appare sempre più arduo ipotizzare che al rallentamento della crescita del Pil atteso nell’area euro nel secondo trimestre segua una netta ripresa nella seconda metà dell’anno. Di conseguenza, le previsioni di crescita del Pil per il terzo e quarto trimestre sono state riviste al ribasso all’1.6% annualizzato dal precedente 2.0%. La crescita media annua per il 2005 è confermata all’1.2%, mentre quella per il 2006 è ora scesa all’1.5% (dal precedente 1.7%). Nella tradizionale conferenza stampa di inizio mese la Bce ha presentato le nuove previsioni, a frequenza trimestrale, su crescita ed inflazione dell’area euro. L’indebolimento della congiuntura ha indotto la Banca Centrale ad una maggiore cautela sulle prospettive di crescita per il 2005, che sono state ridotte all’1.4% dal precedente 1.6%, mentre per il 2006 si continua a prefigurare una ripresa significativa della crescita al 2.0%. Le previsioni di inflazione sono state modificate solo lievemente, con un aumento al 2.0% dal precedente 1.9% per il 2005 ed una discesa all’1.5% dal precedente 1.6% per il 2006, in quest’ultimo caso per tenere conto, secondo quanto affermato dalla stessa Bce, dell’effetto sull’indice armonizzato dei prezzi dell’area euro dell’introduzione, a partire da gennaio 2006, di una riforma sanitaria nei Paesi Bassi. Nel complesso però la Bce, a dispetto di queste ragioni “tecniche” invocate per la revisione dello scenario di inflazione, è parsa riconoscere la preponderanza dei rischi al ribasso sulla crescita rispetto a quelli al rialzo sui prezzi, che sono stati sensibilmente ridimensionati. I toni sono stati decisamente “ammorbiditi” rispetto ai mesi precedenti e la Bce è tornata ad assumere un atteggiamento neutrale e non escludendo categoricamente, come fatto invece in precedenti occasioni, di avere discusso anche di un ribasso dei tassi di interesse. Tale possibilità appare peraltro segnalata anche dalla formulazione delle nuove previsioni che, pur in presenza di uno scenario di ripresa della crescita che potremmo definire “robusto” per il 2006, presentano una dinamica d’inflazione decisamente contenuta. Delusioni ulteriori sul fronte della crescita potrebbero pertanto aprire la strada ad un taglio dei tassi e a questo proposito l’aspetto fondamentale per la politica monetaria nei prossimi mesi, di fronte ad un possibile indebolimento della crescita, sarà rappresentato da come evolverà l’inflazione core nell’area euro. Continuiamo a ritenere che in presenza di un’inflazione core che si mantenga fra l’1.0% e l’1.5% e, soprattutto, in presenza di aspettative di inflazione che restino stabili e di una crescita degli aggregati creditizi che continui a mantenersi robusta, la Bce non ridurrà i tassi di interesse, ma attenderà piuttosto il 2006 per avviare il ciclo restrittivo. Confermando le indicazioni giunte dai sondaggi d’opinione nelle settimane precedenti al voto, la vittoria del “No” al referendum per l’approvazione della Costituzione Europea è stata netta sia in Francia sia nei Paesi Bassi, con percentuali di contrari che si sono attestate rispettivamente al 55% e al 62% e un’elevata affluenza alle urne (70% in Francia e 63% nei Paesi Bassi). Tale opposizione da parte di due dei paesi fondatori del progetto comunitario, oltre ad ostacolare il processo di riforma dell’Unione di fronte all’allargamento, apre la strada ad un difficile e contrastato periodo di crisi delle istituzioni europee, chiamate ad una riflessione sulla propria identità e ad uno sforzo per recuperare il dialogo con i cittadini. L’aumento dell’incertezza politica, nonché il probabile affievolirsi nel medio periodo dell’impulso alle riforme strutturali esercitato delle istituzioni europee nei confronti dei singoli paesi dell’area, ha comportato un’accelerazione della tendenza al deprezzamento della valuta europea, che nei giorni immediatamente successivi al voto ha superato la soglia di 1.22 contro dollaro per la prima volta da settembre 2004. Inoltre, le difficoltà istituzionali a livello europeo si sommano al ciclo politico elettorale in atto nelle principali economie dell’area euro, aumentando il rischio di immobilismo delle riforme e di lassismo delle politiche fiscali. A questo proposito, si osservi che il voto in Francia si è immediatamente riflesso in un cambio della compagine governativa, ma sono improbabili variazioni significative nelle scelte di politica economica prima delle elezioni politiche del 2007. Al contrario in Germania la netta sconfitta del partito di governo alle elezioni federali in uno dei più importanti Laender del paese ha indotto, a sorpresa, il governo ad annunciare elezioni anticipate, che dovrebbero tenersi già questo autunno invece che nel 2006, come inizialmente previsto. In tale ipotesi, il processo riformatore in Germania potrebbe riprendere già il prossimo anno, fornendo un importante supporto al miglioramento delle aspettative di imprese e consumatori. Giappone e Cina - I primi dati relativi ai consumi del secondo trimestre in Giappone sono compatibili con una crescita più sostenuta di quanto scontato nel nostro scenario (0.6% annualizzato). Dopo due mesi di andamento asfittico, i consumi in aprile sembrano infatti aver accelerato sensibilmente. I dati relativi alle vendite al dettaglio, alle immatricolazioni di nuove auto, alle spese delle famiglie, sono in linea con una crescita dei consumi intorno al 3.5% annualizzato. Esiste dunque un significativo rischio al rialzo anche per la previsione della crescita del Pil del secondo trimestre, al momento da noi stimata all’1.3%. Le famiglie hanno beneficiato ad inizio trimestre anche di un’accelerazione del reddito da lavoro, dovuta principalmente all’aumento degli straordinari legato alla vivace attività produttiva di aprile ed a una crescita dei bonus. Inoltre, sempre ad aprile il numero di occupati è aumentato notevolmente (410mila unità), in linea con una crescita degli impieghi a tempo pieno. Sarà comunque importante attendere anche i dati relativi al mese di maggio per verificare se, come è più volte accaduto di recente, la forza dei consumi registrata ad inizio trimestre non venga meno nei mesi successivi- Il rapporto della produzione industriale di aprile mostra che, grazie ad una ripresa del fatturato, le imprese giapponesi possono mantenere un ritmo produttivo brillante nonostante l’accumulo di scorte che si è andato evidenziando nelle statistiche del Pil relative agli ultimi trimestri. La produzione industriale ad aprile è infatti cresciuta del 2.2% m/m a fronte di un fatturato in crescita ancora più forte 2.7% m/m. In particolare, il fatturato legato alle esportazioni, dopo tre trimestri di crescita molto debole, ha registrato una crescita molto forte in aprile (5.4% rispetto al primo trimestre). In generale il fatturato dei beni d’investimento ha mostrato una crescita molto solida ad aprile, lasciando intravedere la possibilità di una revisione al rialzo anche degli investimenti non residenziali nel Pil relativo al secondo trimestre. Diventa sempre più probabile una “normalizzazione” della politica monetaria in Giappone. Alla luce delle minute della riunione della Boj del 5-6 aprile e della modifica apportata alla clausola relativa alla liquidità in occasione dell’ultima riunione (del 19-20 maggio), non si può escludere la possibilità che l’obiettivo di politica monetaria venga ridotto già nella riunione di metà giugno. A nostro avviso rimane però più probabile una mossa a metà luglio, alla luce di una serie di dati molto importanti che saranno pubblicati tra le due prossime riunioni della Boj. La crescita economica in Cina si è mantenuta su livelli molto sostenuti anche all’inizio del secondo trimestre. La banca centrale cinese (Pboc), nel rapporto trimestrale di maggio ha evidenziato rischi inflazionistici per quanto riguarda il medio periodo (fine 2005) in linea con ritmi di attività non in moderazione. La Pboc sembra preoccupata dei rialzi dei prezzi nei settori caratterizzati da limitata offerta (settori in cui, come evidente nei dati di aprile si continua ad operare per aumentare l’offerta e ridurre in tal modo la pressione sui prezzi) come anche dei rialzi salariali (in crescita in media del 14.9% nel primo trimestre nelle stime della Pboc e persino del 24.7% a/a nella zona industriale costiera). Fatto salvo un graduale e ordinato ridimensionamento degli investimenti residenziali, è plausibile però non attendersi un collasso di investimenti e produzione data la significativa accelerazione di questi ultimi nei segmenti caratterizzati da insufficiente offerta. Gli investimenti urbani hanno mostrato una lieve accelerazione. Per quanto concerne l’andamento della produzione industriale (16% a/a dal 15.1% di marzo) è possibile che parte dell’accelerazione negli ultimi mesi sia anche attribuibile al timore di misure protezionistiche nei confronti dell’export cinese. In proposito, per quanto concerne il comparto tessile, nel corso del mese di maggio sono aumentati gli scontri commerciali e gli attriti tra Cina, Usa ed Europa. Margini ai massimi, ma il costo del lavoro aumenta - Nell’ultimo mese tutti i principali mercati azionari internazionali hanno registrato una performance positiva intorno al 5%, in valuta locale, tornando ai livelli di due mesi fa. A causa del rafforzamento del dollaro si sono particolarmente distinti l’indice americano e gli indici dei paesi emergenti. Sul fronte societario le attenzioni si sono rivolte alla stagione degli utili delle società europee relativa al primo trimestre dell’anno. I punti salienti si possono così riassumere: i risultati riportati sono apparsi moderatamente positivi, a dispetto della difficoltà congiunturali dell’area Euro e degli alti prezzi del petrolio: le vendite e gli utili hanno continuato ad espandersi battendo leggermente le attese degli analisti (con l’esclusione del risultato particolarmente deludente, nel settore dei Consumer Discretionary, di Daimler Chrysler); il grado di efficienza operativa e la liquidità presenti nei bilanci si mantengono a livelli record degli ultimi anni; i buoni risultati hanno, però, portato ad una revisione al rialzo molto modesta delle stime degli analisti per il 2005, in gran parte concentrata sui settori degli Energy e Materials. Escludendo proprio questi settori, il quadro appare leggermente meno roseo (si guardi il grafico); rispetto ai risultati delle società americane, le società europee deludono leggermente: il rapporto tra il numero delle revisioni al rialzo, effettuate l’ultimo mese, ed il numero delle revisioni al ribasso è 0.95 contro l’1.56 delle società statunitensi. Nonostante il quadro dei fondamentali societari rimanga sostanzialmente positivo, permangono incertezze sul futuro. Proprio i dati incoraggianti provenienti dal mercato del lavoro americano, se da una parte rappresentano un utile punto di appoggio per la sostenibilità dei consumi privati, possono rivelarsi, dall’altra parte, controproducenti per i corsi azionari Giungono, infatti, segnali evidenti di un aumento dei costi salariali sia in termini di aumento degli average hourly earnings sia delle ore di lavoro settimanali. In contrasto con gli ultimi tre anni, il costo unitario del lavoro (Ulc) sta ora crescendo in linea con l’inflazione core e appare arduo riuscire a mantenere i margini di profitto attuali. E’ quindi improbabile che la percentuale dei profitti societari sul Pil americano rimanga agli alti livelli sinora raggiunti, vicini all’11% e lontani dalla media storica del 5.9%. Nel caso in cui le società riescano a scaricare sul consumatore l’aumento dei costi salariali, si pongono rischi di possibili pressioni sui prezzi, considerando che il livello di utilizzazione della capacità produttiva, ai minimi degli ultimi 30 anni nel 2003, sta tornando ora verso la media di lungo periodo. Questa ipotesi, poco gradita alla Fed è probabile che induca la Banca Centrale a contrastare l’aumento dell’inflazione con un rialzo dei tassi più accentuato di quello attualmente previsto. In sintesi, l’aumento del costo del lavoro americano registrato negli ultimi mesi segnala il rischio di un ridimensionamento degli utili, a causa dalla compressione dei margini, o di un aumento dell’inflazione, con conseguente restrizione monetaria. Sono evidenti le differenze rispetto alla fase di espansione degli utili, che ha contraddistinto gli ultimi due anni, nei quali le condizioni monetarie ed il processo di ristrutturazione societaria in atto costituivano un ambiente particolarmente favorevole. Sebbene alla luce delle precedenti osservazioni rimanga opportuna una maggiore cautela, i buoni multipli di valutazione e il basso livello dei rendimenti obbligazionari governativi ci inducono a confermare la preferenza per l’investimento azionario. Materials: picco del ciclo? A livello globale il comparto dei titoli legati alle materie prime ha registrato, da inizio anno, una performance negativa, sia in termini assoluti sia rispetto all’indice Msci World, risentendo dell’andamento piuttosto volatile dei produttori di metalli e delle aziende di estrazione mineraria. In particolare l’andamento del settore ha riflesso sia una generale revisione al ribasso delle aspettative di crescita per l’economia mondiale, sia una serie di altri fattori più specifici riguardanti le prospettive di domanda-offerta di alcuni metalli, ed in particolare dell’acciaio. Inoltre l’andamento del dollaro americano, correlato negativamente con i prezzi delle materie prime ha contribuito al deterioramento della percezione degli investitori nei confronti del settore minerario. A questo proposito, il recente rallentamento di alcuni indicatori prospettici relativi all’andamento dell’attività produttiva in America (Ism manufacturing) ed in Europa (Leading Indicator Oecd) hanno contribuito a far crescere tra gli investitori la sensazione di aver ormai raggiunto il picco del ciclo delle materie prime, in atto da oltre due anni. Oltre a ciò, la minor velocità nella riduzione delle scorte e le prime evidenze di accumulo per alcuni metalli hanno ulteriormente alimentato lo scetticismo, nonostante il mercato fisico delle materie prime sia tuttora in deficit ed i prezzi restino vicini ai massimi storici. Oltre ai citati fattori congiunturali, sul comparto delle materie prime pesano anche alcuni cambiamenti strutturali osservati recentemente. Uno dei principali motivi dell’ottimo andamento del settore, negli ultimi anni, era spiegato dalla forte crescita della domanda di materie prime proveniente principalmente da mercati emergenti quali la Cina, alla quale tonnellate ad essere esportatrice netta per circa 1 milione di tonnellate in questi primi mesi del 2005. Nel complesso le prospettive sul settore delle materie prime rimangono incerte: se da un lato crescono i dubbi circa la sostenibilità dei prezzi attuali, dall’altro lato i titoli del settore, anche in ragione della recente correzione, presentano valutazioni interessanti secondo diverse metriche, quali il rapporto prezzo/utile e il rapporto prezzo/cash flow. Rimane inoltre elevata la possibilità, in caso di un prolungamento del ciclo congiunturale, di assistere ad un processo di consolidamento soprattutto nel settore minerario, considerato l’interesse dei produttori di maggiori dimensioni verso miniere di qualità e con elevata vita residua. Non era corrisposta un altrettanto forte crescita dell’offerta a causa dei limitati investimenti effettuati dalle aziende nel decennio precedente. La situazione di squilibrio tra domanda e offerta ha portato al forte rialzo dei prezzi delle materie prime nel corso degli ultimi due anni. Per alcuni metalli questo quadro però sta cambiando. Un caso emblematico è il mercato dell’acciaio dove per il 2005 e per il 2006 è attesa una fortissima crescita dell’offerta proveniente quasi totalmente dalla Cina. Per capire quanto questo possa cambiare l’equilibrio tra domanda e offerta a livello globale basti pensare che la Cina è passata dall’essere importatrice di acciaio nel 2004 per oltre 3 milioni di tonnellate ad essere esportatrice netta per circa 1 milione di tonnellate in questi primi mesi del 2005. Nel complesso le prospettive sul settore delle materie prime rimangono incerte: se da un lato crescono i dubbi circa la sostenibilità dei prezzi attuali, dall’altro lato i titoli del settore, anche in ragione della recente correzione, presentano valutazioni interessanti secondo diverse metriche, quali il rapporto prezzo/utile e il rapporto prezzo/cash flow. Rimane inoltre elevata la possibilità, in caso di un prolungamento del ciclo congiunturale, di assistere ad un processo di consolidamento soprattutto nel settore minerario, considerato l’interesse dei produttori di maggiori dimensioni verso miniere di qualità e con elevata vita residua. Consumer Discretionary: miglioramento delle prospettive solo parziale Usa - Il comparto dei consumi discrezionali statunitense, ed in particolare quello legato alla grande distribuzione, ha seguito nelle ultime settimane un andamento al rialzo analogo a quello del mercato nel complesso. L’entità del rialzo per il settore è stata amplificata dalle consistenti prese di profitto che avevano penalizzato il comparto da inizio anno, periodo nel corso del quale i principali titoli del settore anticipavano un singificativo calo dei consumi che poi non si è effettivamente verificato. A sostenere la spesa per consumi negli Stati Uniti sono state, ancora, le dinamiche favorevoli del reddito e dei salari in continua crescita. Oltre a ciò il mantenimento dei tassi di interesse di lungo periodo su livelli inaspettatamente bassi ed il parziale ritracciamento del prezzo del petrolio, evento però circoscritto e già parzialmente esaurito, hanno per il momento ridimensionato i principali timori di un brusco rallentamento nel trend dei consumi. Il giudizio sul settore rimane comunque sostanzialmente neutrale in quanto, nonostante l’assenza di forti rischi di un imminente crollo della spesa per consumi, appaiono pochi gli spunti e scarso lo spazio per una qualunque ulteriore accelerazione della domanda. Inoltre, le valutazioni non offrono un livello di attrattività sufficiente a giustificare un’impostazione più ottimistica sul comparto. Europa Il settore dei consumer discretionary in Europa ha recentemente realizzato una performance positiva (+6% circa nell’ultimo mese), recuperando quasi interamente il crollo dei prezzi registrato nel mese di aprile. La pubblicazione dei risultati trimestrali non ha fornito particolari temi d’interesse circa i trend degli utili aziendali, con la maggior parte delle società che non è riuscita a superare le stime di consenso del mercato, fatta eccezione per alcune compagnie del comparto automobilistico. Il rimbalzo dell’indice settoriale può quindi essere attribuito principalmente al movimento generale dei mercati nel mese di maggio e, più di recente, alle dinamiche valutarie che hanno visto l’euro deprezzarsi contro dollaro e yen, favorendo così le prospettive di guadagno per quelle società con una significativa 1 esposizione del fatturato all’area americana (principalmente il 11 settore auto) e all’area giapponese (titoli del sotto-comparto del lusso). Pur in considerazione dell’estrema eterogeneità dell’indice consumer discretionary (elemento che, nel solo mese di maggio, ha generato dei differenziali di rendimento tra le sub-componenti del comparto, anche del 9%), è opportuno ricordare che il settore nel suo complesso rimane piuttosto sensibile all’andamento dei consumi ed è quindi molto legato allo scenario macroeconomico. Da questo punto di vista, il fatto che il recente apprezzamento sia coinciso con una fase di debolezza nella congiuntura economica aumenta i rischi sulle future performance del comparto. Del resto, il rimbalzo del settore non ha tenuto minimamente conto del progressivo appiattimento della curva dei rendimenti (specie in Usa), né del fatto che sia gli indicatori di fiducia sia quelli sull’attività economica stiano suggerendo un ulteriore rallentamento del ciclo industriale. Pertanto, nell’attuale contesto in cui l’espansione degli utili per i titoli ciclici non è più superiore rispetto al mercato in generale e, contestualmente, le prospettive sulla crescita del Pil europeo e la tenuta dei consumi (specie in Uk) sono moderatamente negative, la sostenibilità del processo di re-rating è senz’altro messa in discussione. Infine, non si può non ricordare che il settore discretionary continua a presentare delle dinamiche competitive molto marcate, specialmente nel comparto retail, con effetti di pressioni al ribasso tanto sui prezzi quanto sui margini. Ribassi dei rendimenti su tutti i segmenti di curva - Nel mese di maggio i mercati obbligazionari internazionali hanno registrato una buona performance, evidenziando una riduzione dei rendimenti omogenea per tutti i principali segmenti di curva. Tale dinamica è stata particolarmente evidente in Europa, dove il titolo guida, con scadenza a dieci anni, ha oltrepassato il minimo di rendimento toccato nel giugno del 2003, attestandosi vicino al 3.25%. Peraltro, anche gli altri segmenti di curva hanno evidenziato flussi in acquisto che hanno spinto i rendimenti vicino ai minimi registrati nel 2003. Negli stati Uniti i rendimenti hanno registrato i nuovi minimi da inizio anno, sebbene il livello sia ancora molto lontano dai valori registrati nel 2003. Il rendimento del titolo guida con scadenza a dieci anni è, tuttavia, sceso sotto la soglia del 4%, attestandosi al 3,90%. I titoli inflation linked hanno registrato performance inferiori rispetto a quelli a cedola fissa sia in Europa sia in America, con le break even inflation (differenziale di rendimento dei titoli nominali a cedola fissa e rendimento reale dei titoli inflation linked) che in maggio hanno proseguito il restringimento del mese precedente. Il buon andamento del mercato obbligazionario negli Stati Uniti trova spiegazione in una attenuazione delle spinte inflazionistiche, generate in particolare dal deterioramento di alcuni dati anticipatori del ciclo economico che sembrano indicare un rallentamento della crescita nei prossimi mesi. In effetti, i timori di un’accelerazione dell’inflazione hanno continuato ad essere un tema dominante in diversi discorsi tenuti da esponenti della banca centrale e sono stati uno dei fattori principali a guidare il rialzo dei tassi osservato nel primo trimestre dell’anno. Il rilascio di un dato di inflazione non troppo preoccupante è stato accolto, dunque, con particolare risalto dagli operatori del mercato obbligazionario, anche in presenza di altri indicatori macroeconomici che hanno mandato segnali di segno opposto. Persistono, tuttavia, i dubbi sulla crescita lanciati dalle indagini sulle imprese, a cui il mercato obbligazionario sembra dare particolare risalto scontando l’eventualità che il rallentamento dell’economia possa durare più a lungo di quanto inizialmente previsto. Anche in Europa il ribasso dei rendimenti è stato guidato da dati di inflazione deboli, accompagnati da indicazioni di crescita che rimangono deludenti. Anche in quest’area si è assistito ad un peggioramento della fiducia delle imprese, che non aiuta a guardare con maggiore ottimismo alla crescita europea dei prossimi mesi. Da sottolineare che i prezzi sono saliti pur in presenza di una valuta in continuo deprezzamento invertendo, almeno temporaneamente, una correlazione che associava ad una valuta debole rendimenti in rialzo. A maggio è proseguito, inoltre, il processo di allargamento del differenziale di rendimento tra i titoli dei paesi core rispetto ai paesi con rating più bassi in seguito ai timori, poi risultati corretti, di una bocciatura della costituzione europea nei referendum francese e olandese. E’ ragionevole ritenere che tale tendenza possa continuare ancora per qualche tempo se il dibattito sulla coesione europea, acceso dai due referendum, dovesse intensificarsi nelle prossime settimane. Agli attuali livelli di rendimento uno scenario di crescita deludente appare ampiamente prezzato. In Europa, le attese per un rialzo dei tassi da parte della Bce continuano ad essere assenti e si sono notevolmente ridotte anche per il 2006, essendo scontato un incremento dei tassi ufficiali di circa 25 punti base. Anche negli Stati Uniti, peraltro, ci si attende che il processo graduale di rialzo dei tassi si fermi con il meeting di agosto della Federal Reserve. In effetti, con il tasso di riferimento sul decennale americano sotto il 4% i mercati obbligazionari internazionali hanno, di fatto, già anticipato uno scenario di rallentamento della crescita americana e globale più prolungato di quanto ci si attendesse nel primo trimestre di quest’anno. Inoltre, considerando la forte incertezza che caratterizza il quadro macroeconomico internazionale non si può escludere che l’attuale tendenza possa continuare con un’ulteriore riduzione dei rendimenti. Occorre, tuttavia, considerare che qualora il quadro macroeconomico dovesse rasserenarsi anche solo parzialmente rispetto a quanto ora prezzato dal mercato, si assisterebbe ad un riallineamento dei rendimenti con gli effettivi fondamentali macroeconomici. Riteniamo, comunque, che i citati fattori strutturali (acquisti di fondi pensione, forte sensibilità del mercato immobiliare alle dinamiche dei tassi, acquisti da parte di banche centrali) tenderanno a contenere l’aumento dei rendimenti mantenendoli al di sotto dei livelli storici di lungo periodo. Quadro Spread di Credito High yield - Investment grade - Riepilogo - Il mese di maggio ha visto un andamento contrastante per le asset class a spread alternando un movimento di brusco allargamento ad un successivo restringimento altrettanto violento. Le variazioni sul mese, quindi, risultano poco indicative della vera volatilità osservata. L’elemento più importante nell’ambito del credito è stato il declassamento a high yield dei titoli Gm e Ford da parte dell’agenzia di rating S&p e della sola Gm da parte di Fitch. Proprio le vendite e successive ricoperture su questi emittenti hanno spiegato gran parte della volatilità registrata sui mercati a spread. Quadro - Il quadro di riferimento per le asset class corporate ha confermato nel mese di maggio alcuni elementi fondamentali di deterioramento, pur trovando spunti tecnici di supporto rilevanti. Tra gli aspetti negativi rimane persistente la serie di dati macroeconomici sottotono negli Stati Uniti ed in Europa e resta alta la tensione sulle operazioni di finanza straordinaria; sono inoltre emerse preoccupazioni legate alle posizioni sul credito di molti operatori speculativi, che si sono trovati in alcuni casi a dover smobilizzare con pesanti perdite. Tra gli aspetti positivi, invece, si segnala il recupero di appetito per il rischio degli investitori, come testimoniato dal recupero contenuto sugli indici azionari e dalla tenuta dei titoli emergenti, e il cambio del giudizio sulla solvibilità di Ford e Gm che ha per lo meno tolto incertezza dai mercati. Nel complesso il quadro non appare positivo ma senz’altro più equilibrato rispetto al mese scorso. Prospettive - Sebbene l’allargamento abbia ricostituito un minimo premio nei differenziali di rendimento, non cambia la valutazione che vede ancora forte l’asimmetria sfavorevole tra rischio sopportato e remunerazione offerta. Non si può certamente escludere una stabilizzazione o un ulteriore recupero, ma le prospettive rimangono ancora verso un tendenziale peggioramento.
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