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Roma, 13 giugno 2005 Il 96,28% delle micro imprese italiane non supera la soglia di rischio di default fissata come discrimine tra imprese “sane” e imprese “a forte rischio”. Nel 54% dei casi questa tipologia imprenditoriale può essere considerata altamente “affidabile”. Tra Nord, Centro e Sud non emergono grandi differenze in termini di rischiosità delle imprese, sebbene il più giovane e meno strutturato tessuto economico del Mezzogiorno presenti elementi di debolezza maggiori. Ben più importante è la struttura dell’impresa: aziende più grandi (in termini di collaboratori e di fatturato) e con un mercato di riferimento ampio sono da considerare a basso rischio di insolvenza. Queste alcune delle conclusioni più significative dell’indagine realizzata da Unioncamere presentata a Roma, nell’ambito del convegno “Basilea 2: l’affidabilità delle imprese minori”. “Basilea 2 – ha detto il presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli - è una grande opportunità di sviluppo: per le nostre imprese per avere più risorse a disposizione per crescere e per le banche, per essere più efficienti e allocare meglio il credito. Lo strumento di analisi che Unioncamere ha elaborato – ha evidenziato Sangalli - va proprio in questa direzione, di supporto ad una riconoscibilità più “fine” dei fondamentali delle micro-imprese, che la ricerca mostra essere un sistema tutt’altro che inaffidabile. Basilea 2, quindi, deve contribuire a far maturare il dibattito anche su altri temi, non meno importanti, in vista di una modernizzazione del quadro giuridico all’interno del quale opera il nostro sistema produttivo”. Per il presidente di Unioncamere “un primo importante passo avanti già è stato compiuto in questa legislatura con il Ddl sulla competitività, che introduce incentivi alle aggregazioni tra imprese utilizzabili anche dalle piccole aziende. Ora occorre continuare l’opera di revisione del nostro ordinamento con la riforma del diritto fallimentare e della giustizia civile e con l’attuazione delle direttive sui tempi medi di pagamento dell’impresa privata. Lo sviluppo e la competitività sono obiettivi che un’azienda, soprattutto se piccolissima, difficilmente può conseguire da sola.”. Perché un’indagine sull’affidabilità delle imprese minori Duplice lo scopo della ricerca, effettuata su un campione di oltre 11mila imprese di piccola dimensione, costituite in forma di ditte individuali o di società di persone, attive nei settori commercio, costruzioni, servizi e manifatturiero, che non presentando il bilancio annuale rimarrebbero sconosciute alle analisi di tipo quantitativo[1]. Da una parte, valutare il livello di rischiosità, attraverso l’utilizzo di un modello di posizionamento (ranking), che gli intermediari creditizi potranno utilizzare in vista dell’applicazione delle nuove regole che l’Accordo di Basilea 2 introdurrà a partire dal 2007. Dall’altro, realizzare un benchmark di riferimento, ovvero un metodo di confronto, per le micro-imprese, utilizzabile nel processo di valutazione del merito del credito che le banche adotteranno. Gli Accordi di Basilea 2 sui coefficienti patrimoniali che le banche devono detenere a fronte dei rischi connessi all’erogazione del credito prevedono, infatti, che le imprese che abbiano un fatturato annuo inferiore ai 5 milioni di euro e un indebitamento bancario inferiore al milione di euro rientrino nella categoria retail. Questo insieme di soggetti economici, che rappresentano in Italia l’85% delle imprese esistenti, non sarà sottoposto ad istruttorie personalizzate per la determinazione del rating da parte delle banche, come invece avverrà per le imprese maggiori. Al contrario, tenendo conto della esiguità dei prestiti richiesti, dello scarso “peso specifico” delle aziende – considerate singolarmente – nel portafoglio-clienti delle banche e della anti-economicità di avviare istruttorie ad hoc per ciascuna di esse, le banche individueranno dei raggruppamenti di imprese con caratteristiche simili e a ciascuno di questi saranno applicate condizioni standard di accesso al credito. Per definire il prezzo e le condizioni di un’operazione di credito per le imprese minori, le banche terranno conto di numerosi elementi che concorreranno a definire i diversi livelli di rischiosità di questi gruppi di imprese. Diventa quindi fondamentale disporre di dati oggettivi (simulazioni di contesto, serie storiche, esperienze pregresse, etc.) che permettano di valutare con precisione l’incidenza di tali elementi sull’effettivo livello di rischiosità di ciascuna azienda considerata. L’iniziativa di Unioncamere rappresenta una prima risposta operativa a questa esigenza, attraverso la costruzione di un modello di valutazione della rischiosità delle micro imprese. Questo modello permette di creare un termine di confronto, attraverso il quale le informazioni disponibili sulle singole imprese, confrontate con i valori di riferimento previsti dal modello, consentiranno di fornire una stima puntuale del loro grado di rischiosità. L’affidabilità delle micro imprese Due gli indicatori utilizzati dalla ricerca. Il primo individua la soglia di rischio di default, ovvero il discrimine tra imprese sane e imprese “meno affidabili”. Questa è stata fissata nel 70% del rapporto tra debito e fatturato medio degli ultimi 3 anni[2]. In base a questo parametro, la ricerca mostra che il 96,28% delle imprese non supera la soglia di rischio di default. Il modello di ranking, basato sull’analisi multivariata di 20 parametri relativi alla struttura dell’impresa, all’area geografica di appartenenza, alla formula organizzativa, uniti ai dati finanziari dell’attività economica, si articola, invece, su 11 classi di vulnerabilità crescente[3]. Considerando la distribuzione delle imprese in queste classi, emerge che il 10,32% delle imprese rientra nella fascia di eccellenza per affidabilità e “robustezza” strutturale (solvibilità 1, 2 e 3), l’88,55% nelle cinque classi di vulnerabilità e solo l’1,12% nelle tre classi di rischio strutturale e operativo. La maggioranza delle imprese (il 59,3%) si colloca nelle classi di Vulnerabilità 2 e 3, che rappresentano una specie di spartiacque tra le imprese più solide e quelle che mostrano criticità. Nel complesso, il 53,83% delle micro imprese (ovvero quelle che rientrano nelle prime 5 classi, tre di solvibilità e due di vulnerabilità) presenta un livello di affidabilità buona, che varia da casi di eccellenza, a casi in cui esistono alcune criticità strutturali, economiche o finanziarie non gravi. Il 28,87% delle aziende (appartenenti alla classe di Vulnerabilità 3 evidenzia di debolezza, che potrebbero determinare situazioni di crisi nel medio periodo. Esiste, infine, un 17% di imprese, dalla classe Vulnerabilità 4 (14,73%) alla classe Rischio 3 (solo lo 0,03%), che si caratterizzano invece per una presenza sempre più diffusa di elementi critici, che rendono queste aziende sempre più soggette a situazioni di difficoltà mano a mano che si scende nella scala di ranking. I “rischi” del territorio Il Nord nel suo complesso presenta una percentuale doppia, rispetto al Centro e al Sud, di imprese che rientrano nelle tre classi di eccellenza e che, quindi, sono altamente affidabili (15% circa a fronte dell’8% circa). La stragrande maggioranza delle imprese di tutte le ripartizioni si colloca comunque a ridosso delle classi 2 e 3. Ciò significa che anche le imprese del Centro e del Sud, pur presentando una serie di criticità, hanno una discreta struttura economico-finanziaria. Inoltre, sebbene le imprese del Sud mostrino una debolezza relativa maggiore (in parte anche spiegata dalla presenza di una neo-imprenditoria diffusa), questa non si traduce in un gap incolmabile. La distribuzione delle imprese per territorio Classe | Nord-ovest | Nord-est | Centro | Sud | Solvibilità 1 | 4,85% | 4,42% | 2,12% | 2,49% | Solvibilità 2 | 4,96% | 5,07% | 2,24% | 2,58% | Solvibilità 3 | 5,57% | 5,22% | 3,62% | 3,01% | Totale | 15,38% | 14,71% | 7,98% | 8,08% | Vulnerabilità 1 | 18,33% | 18,01% | 10,53% | 10,75% | Vulnerabilità 2 | 34,50% | 34,95% | 27,75% | 29,92% | Vulnerabilità 3 | 19,76% | 20,66% | 33,89% | 31,04% | Vulnerabilità 4 | 9,07% | 8,94% | 17,96% | 16,42% | Vulnerabilità 5 | 1,55% | 1,32% | 1,10% | 2,32% | Totale | 83,21% | 83,88% | 91,22% | 90,46% | Rischio 1 | 0,89% | 0,85% | 0,31% | 0,52% | Rischio 2 | 0,54% | 0,56% | 0,46% | 0,86% | Rischio 3 | 0,00% | 0,00% | 0,03% | 0,09% | Totale | 1,41% | 1,41% | 0,80% | 1,46% | L’incidenza della forma giuridica Mentre l’appartenenza ai diversi settori non fa rilevare sostanziali differenze in termini di rischiosità delle imprese, la scelta della forma giuridica non appare ininfluente. Nelle prime classi di eccellenza rientrano solo il 5,1% delle ditte individuali a fronte del 17,1% e del 19,7% delle Società in accomandita semplice e delle Società in nome collettivo[4]. Le forme giuridiche Classe | Ditta Individuale | Sas | Snc | Solvibilità 1 | 1,3% | 5,6% | 5,6% | Solvibilità 2 | 1,5% | 3,7% | 6,5% | Solvibilità 3 | 2,3% | 7,8% | 7,5% | Totale | 5,1% | 17,1% | 19,7% | Vulnerabilità 1 | 10,4% | 14,9% | 21,1% | Vulnerabilità 2 | 29,2% | 31,5% | 35,6% | Vulnerabilità 3 | 37,8% | 19,1% | 10,9% | Vulnerabilità 4 | 15,3% | 1 3,9% | 9,6% | Vulnerabilità 5 | 1,3% | 0,7% | 1,5% | Totale | 94,1% | 80,2% | 78,8% | Rischio 1 | 0,3% | 1,0% | 0,8% | Rischio 2 | 0,4% | 1,7% | 0,7% | Rischio 3 | 0,0% | 0,0% | 0,1% | Totale | 0,8% | 2,7% | 1,5% | Il fattore “internazionalizzazione” Un aspetto che fa la differenza è il mercato in cui operano le imprese: la percentuale di presenze nelle classi di “solvibilità” aumenta con l’ampliarsi dei confini commerciali. Il mercato di riferimento Classe | Quartiere | Città | Provincia | Regione | Tutta Italia | Estero (Europa) | Resto del mondo | Solvibilità 1 | 0,60% | 1 ,72% | 3,14% | 4,22% | 3,87% | 4,70% | 7,23% | Solvibilità 2 | 1,39% | 1,91 % | 3,42% | 4,22% | 4,47% | 3,36% | 8,43% | Solvibilità 3 | 2,79% | 2,52% | 3,42% | 5,05% | 7,38% | 8,72% | 8,43% | Totale | 4,78% | 6,15% | 9,98% | 13,48% | 15,72% | 16,78% | 24,10% | Vulnerabilità 1 | 9,96% | 9,96% | 13,72% | 14,72% | 16,32% | 15,44% | 18,07% | Vulnerabilità 2 | 30,28% | 25,81% | 32,15% | 34,00% | 29,99% | 29,53% | 24,10% | Vulnerabilità 3 | 40,44% | 38,29% | 28,41% | 20,84% | 19,47% | 20,81% | 13,25% | Vulnerabilità 4 | 12,15% | 17,82% | 13,76% | 13,65% | 15,11 % | 10,74% | 15,66% | Vulnerabilità 5 | 1,00% | 1,23% | 0,88% | 1 ,99% | 2,18% | 4,03% | 3,61% | Totale | 93,82% | 93,12% | 88,91% | 85,19% | 83,07% | 80,54% | 74,70% | Rischio 1 | 0,80% | 0,37% | 0,60% | 0,50% | 0,48% | 1,34% | 0,00% | Rischio 2 | 0,60% | 0,37% | 0,46 % | 0,74% | 0,73% | 1,34% | 1,20% | Rischio 3 | 0,00% | 0,00% | 0,05% | 0,08% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | Totale | 1,39% | 0,74% | 1,11% | 1,32% | 1,21% | 2,68% | 1 ,20% | Quanto “pesano” i collaboratori Anche il numero dei collaboratori[5] ha una certa incidenza sul livello di rischiosità delle aziende di piccole dimensioni: al crescere del numero di collaboratori diminuisce il rischio di insolvenza. Da notare, però, che le aziende con oltre 10 dipendenti sono al tempo stesso quelle maggiormente rappresentate nelle tre classi di eccellenza e nelle tre classi a forte rischio. I collaboratori Classe | Nessuno | Uno | Da2a5 | Da 6 a 10 | Oltre 10 | Solvibilità 1 | 0,64% | 0,72% | 2,85% | 1 0,64% | 15,92% | Solvibilità 2 | 0,72% | 1,08% | 4,49% | 9,36% | 11,41 % | Solvibilità 3 | 0,89% | 2,37% | 5,44% | 13,21% | 10,88% | Totale | 2,25% | 4, 16% | 12,78% | 33,21% | 38,20% | Vulnerabilità 1 | 4,55% | 14,93% | 21,82% | 17,80% | 8,49% | Vulnerabilità 2 | 26,48% | 40,49% | 32,81% | 23,30% | 16,18% | Vulnerabilità 3 | 47,64% | 23,40% | 17,64% | 11,38% | 14,32% | Vulnerabilità 4 | 17,08% | 14,64% | 12,36% | 11,56% | 16,71 % | Vulnerabilità 5 | 1 , 1 0% | 1 ,58% | 1,58% | 1 ,28% | 2,65% | Totale | 96,86% | 95,05% | 86,21% | 65,32% | 58,36% | Rischio 1 | 0,47% | 0,36% | 0,53% | 0,55% | 1,33% | Rischio 2 | 0,38% | 0,43% | 0,48% | 0,92% | 2,12% | Rischio 3 | 0,04% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | Totale | 0,89% | 0,79% | 1 ,00% | 1 ,47% | 3,45% | L’importanza del fatturato e l’incidenza del debito Al crescere dei volumi di fatturato, l’incidenza del rischio di default si abbassa fino ad essere prossimo allo zero nelle classi superiori ai 500.000 euro. La tabella mostra, infatti, l’assenza degli estremi, vale a dire delle imprese con bassi fatturati ed alta solvibilità e di quelle con alti fatturati e alti rischi. Ammontare di fatturato Classe | < 50.000 | < 150.000 € | < 500.000 € | < 1.000.000 | > 1.000.000 | Solvibilità 1 | 0,00% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | 61,30% | Solvibilità 2 | 0,00% | 0,00% | 0,00% | 34,38% | 14,86% | Solvibilità 3 | 0,00% | 0,00% | 4,61% | 38,33% | 5,88% | Totale | 0,00% | 0,00% | 4,61% | 72,71% | 82,04% | Vulnerabilità 1 | 0,00% | 0,00% | 54,87% | 6,88% | 3, 1 0% | Vulnerabilità 2 | 0,04% | 89,97% | 34,05% | 11,04% | 14,86% | Vulnerabilità 3 | 62,76% | 7,01% | 1,74% | 9,38% | 0,00% | Vulnerabilità 4 | 32,96% | 1,22% | 3,14% | 0,00% | 0,00% | Vulnerabilità 5 | 2,21 % | 0,64% | 1 ,60% | 0,00% | 0,00% | Totale | 97,97% | 98,84% | 95,39% | 27,29% | 17,96% | Rischio 1 | 0,62% | 1 , 16% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | Rischio 2 | 1,34% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | Rischio 3 | 0,07% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | Totale | 2,03% | 1, 16% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | Analoga la situazione riguardo al debito: per classi di indebitamento basse, il 10,47% di imprese ricade nella categorie di solvibilità massima, mentre sono assolutamente assenti imprese “rischiose”. Di contro, all’aumentare del debito – soprattutto tra i valori compresi fra i 70.000 ed i 100.000 euro e superiori - si registrano corrispondenti aumenti di imprese nelle categorie vulnerabili ed a rischio, fino a toccare quote del 23% di presenze quando il debito supera volumi di 100.000 euro. Il debito Classe | < 20.000 | < 50.000 | < 70.000 | < 100.000 | > 100.000 | Solvibilità 1 | 3,45% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | Solvibilità 2 | 3,07% | 8,20% | 0,76% | 0,00% | 0,00% | Solvibilità 3 | 3,96% | 6,15% | 12,21% | 2,56% | 0,00% | Totale | 10,47% | 14,35% | 12,98% | 2,56% | 0,00% | Vulnerabilità 1 | 14,32% | 6,83% | 2,29% | 12,82% | 0,00% | Vulnerabilità 2 | 29, 17% | 43,51% | 50,38% | 24,36% | 27,56% | Vulnerabilità 3 | 30,21 % | 23,46% | 6,87% | 23,08% | 20,00% | Vulnerabilità 4 | 15,68% | 2,05% | 13,74% | 6,41% | 18,67% | Vulnerabilità 5 | 0,14% | 9,79% | 9,16% | 10,26% | 1 0,67% | Totale | 89,53% | 85,65% | 82,44% | 76,92% | 76,89% | Rischio 1 | 0,00% | 0,00% | 4,58% | 14,10% | 8,00% | Rischio 2 | 0,00% | 0,00% | 0,00% | 6,41% | 14,22% | Rischio 3 | 0,00% | 0,00% | 0,00% | 0,00% | 0,89% | Totale | 0,00% | 0,00% | 4,58% | 20,51% | 23,11% | Un “focus” sulle micro e piccole imprese L’indagine effettuata ha anche il pregio di aver portato alla luce una serie di caratteristiche e di comportamenti delle imprese fino ad ora poco analizzati. Il quadro che emerge mostra che: Le micro imprese hanno un volume d’affari pari a circa 800.000 euro l’anno: più elevato risulta quello medio delle società di persone (1.200.000 euro), inferiore quello delle ditte individuali (200.000 euro). In ogni caso, il 98% delle aziende censite presenta volumi di attività inferiori al limite stabilito per il settore “retail” dai nuovi Accordi di Basilea, pari a 5 milioni di Euro. Il 59,3% delle imprese ha meno di due collaboratori, il 27,6% ha da 2 a 5 collaboratori, il 7,8% ne ha da 6 a 10 e il 5,3% oltre 10. Nell’84% dei casi l’attività dell’impresa non oltrepassa i confini regionali, mentre oltre il 3% di queste micro aziende ha all’estero il proprio mercato di riferimento. Dall’incrocio sui tempi di pagamento dei fornitori e di riscossione dai clienti si registra un dato particolarmente interessante circa la gestione del circolante e la liquidità: solo il 43% delle imprese “minori” vede coincidere tempi di pagamento e tempi di incasso. Al contrario, il 24% potrebbe trovarsi esposto a problemi di liquidità in quanto i tempi di incasso sono ben più lunghi di quelli di pagamento (un ulteriore 32% ha tempi di pagamento più lunghi di quelli di incasso). Per il 45% delle imprese i costi diretti (materia prime, semilavorati, manodopera e componenti) incidono per oltre il 30% del fatturato, mentre i costi di gestione (spese di tipo amministrativo, di struttura, di marketing) hanno un peso – per il 54% delle imprese – non superiore al 15% del fatturato (per il 26% è compreso tra il 15 ed il 20% del fatturato; per il 12% tra il 21 ed il 30% del fatturato; oltre l’8% dichiara che è superiore al 30%). Mediamente basso è il valore dell’utile: circa il 40% delle imprese dichiara di aver ottenuto un risultato lordo ante imposte compreso tra i 10.000 ed i 25.000 euro; il 24%, invece, utili tra i 25.000 ed i 50.000 euro; solo il 17% denuncia valori di utile superiori ai 50.000 euro, mentre un buon 3% dichiara di aver subito solo perdite. L’utile è stato reinvestito dal 54% delle aziende. Di queste, ben l’11% ha effettuato nuovi investimenti con quote di utile superiori al 30%. Nell’81% dei casi, l’autofinanziamento è la formula utilizzata per l’avvio dell’impresa (a fronte del 45% della media rilevata per la generalità delle imprese). Le piccole imprese tendono a costruire rapporti duraturi con il proprio istituto di credito. Nel 68,3% dei casi, addirittura, gli imprenditori hanno un’unica banca di riferimento. Tra le tipologie di credito ottenute dalle imprese, la quota maggiore è rappresentata dai prestiti a medio-lungo termine (superiori cioè ai 18 mesi). Il 29% delle aziende, infatti, dichiara di aver effettuato questo tipo di operazione bancaria. Un altro 18% ha richiesto l’apertura di un fido sul conto corrente. Marginale, invece, la quota di imprese che è ricorsa ai crediti a breve termine (5%) e ai mutui ipotecari (3%).
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