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Notiziario Marketpress di Lunedì 13 Giugno 2005
 
   
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  ANCHE IL VICEMINISTRO PALESTINESE AL FESTIVAL DELLA POESIA DAL 16 AL 21 GIUGNO FIRENZESTATE E IL LABORATORIO NUOVA BUONARROTI PRESENTANO LA RASSEGNA VOCI LONTANE, VOCI SORELLE, 14 POETI E POETESSE DI OTTO NAZIONI PER UN CONFRONTO DI CULTURE E IDENTITÀ  
   
  Firenze, 13 giugno 2005 – Firenzestate 2005 non dimentica la poesia e per il ciclo Parole a Caso propone addirittura un festival, ovvero la 3° edizione di Voci lontane, voci sorelle, rassegna (16 – 21 giugno) organizzata dall’associazione Laboratorio Nuova Buonarroti. Protagonisti 14 noti poeti e poetesse di otto paesi, tra i quali il viceministro della cultura palestinese Ghassan Zaqtan. Ecco gli altri: Sujata Bhatt (India), Ban’ya Natsuishi (Giappone), Thong-in Soonsawad e Somsak Srieimkun (Tailandia), Luljeta Lleshanaku e Arjan Leka (Albania), Jihad Hudaib (Palestina), Vicki Feaver (Inghilterra), Kimiko Hahn (Usa) e gli italiani Elisa Biagini, Alba Donati, Rosaria Lo Russo, Giacomo Trinci. Tre i recital serali (ore 21,30), al Giardino dei Semplici (16 e 21 giugno, Via La Pira 10) e alla Villa Reale di Castello (20 giugno, Via di Castello 46, bus 28), e numerosi eventi collaterali. La rassegna è rivolta al confronto tra culture e identità diverse, tra poeti distanti per lingua, formazione e scelte stilistiche. Obiettivo: offrire, muovendo dalla qualità della singola proposta poetica, un ampio panorama di esperienze significative, dove voci straniere da noi spesso ancora poco conosciute sono accostate a voci italiane. Molti di questi poeti sono d’altra parte segnati dentro il loro stesso percorso dalla contaminazione tra differenti eredità culturali. Mentre è ampiamente presente la riflessione sul tema dell’identità, della modernità e del suo rapporto con la tradizione. Così la poetessa indiana Sujata Bhatt, che vive in Germania e scrive in inglese e in gujarati (esce in questi giorni (edizioni Donzelli) un’antologia italiana delle sue liriche e sarà presentata nel corso del festival) propone testi coinvolgenti per la viva restituzione della corporeità e dell’eros in un’ottica femminile. La sua poesia è segnata dalla volontà di dar voce alle “cose delle donne”, alle loro esperienze peculiari (sessualità, parto, reale condizione di figlia e di madre) usualmente private di rappresentazione: “Chi parla mai delle forti correnti / che scorrono nelle gambe, nei seni / di una donna incinta / al quarto mese?”. Vicky Feaver, una delle voci più importanti della letteratura inglese, offre anche lei una poesia intensamente “femminile”, caratterizzata da emozioni e sensazioni forti, di solito estranee al repertorio della scrittura delle donne: aggressività, violenza, erotismo profondo e apertamente fisico. Canta non i fiori delicati ed eleganti “che gli uomini danno alle donne”, ma “le calendule”, i fiori dall’odore sconvolgente associati agli antichi riti misterici femminili: quelli che “che ci ricordano / che siamo assassine, capaci di strappare le teste / dalle spalle degli uomini; / fiori che noi portiamo ancora / di nascosto e con vergogna / in casa, strofinandoci / braccia e seni e gambe / con le loro calde frange arancione, / l'odore del desiderio.” Con modalità tutte diverse rientra in questa linea “femminile” la lirica di Kimiko Hahn, americana con madre giapponese e padre tedesco, specialista in culture dell’estremo oriente ma anche studiosa del pensiero poststrutturalista francese e impegnata nelle tematiche femministe. “Voglio che le mie lettere assomiglino al fumo / quando il vedovo brucia le poesie della giovane moglie / così che lei possa rifinirle in paradiso. / Un fumo non dissimile da quello / del toast bruciato o dell’incenso repellente”. La Hahn si distingue per il delicato equilibrio tra immediatezza sensibile e riflessività, tra esposizione alla modernità e recupero della tradizione. Si riappropria dell’esperienza femminile calando contenuti attuali in forme di scrittura minori o segrete (il nushu ossia “zanzara e formica”) usate dalle donne in Cina e Giappone. Luljeta Lleshanaku è la figura più interessante della nuova poesia albanese. Figlia di oppositori al regime di Hoxha, ha compiuto gli studi e pubblicato le sue opere solo dopo la fine della dittatura. È comparsa in antologie in Germania, Austria, Francia e Italia e nel 2002 è stata tradotta negli Usa un’ampia scelta delle sue poesie. Si è ormai lasciata alle spalle il realismo socialista impostole, assumendosi il difficile compito di confrontare esperienze moderne e modelli di altre letterature con una lingua letteraria singolarmente giovane (nella letteratura scritta l’albanese ha sostituito il turco solo dall’inizio del ‘900). In una dimensione completamente diversa ci porta il giapponese Ban’ya Natsuishi. Esperto di cultura francese contemporanea, è uno dei maggiori rappresentanti della poesia tradizionale haiku, proiettata però in una prospettiva internazionale (è uno dei fondatori della World Haiku Association). Il tema dell’esilio, infine, è al centro della lirica del palestinese Ghassan Zaqtan. “Devo lasciare questa città: / qui non ho sole, / né ombra, / nemmeno una taverna che rallegri l’anima, / né parole che rimandino a un incontro! / Devo lasciarla di nascosto / senza rimpianto per il suo cuore amaro.” Zaqtan è il più significativo esponente della generazione dei cinquantenni, che dopo le grandi esperienze di Mahmoud Darwish e di Samih Al-qasim ha realizzato un radicale rinnovamento della poesia palestinese, riuscendo a declinare i temi tradizionali della lotta per l’indipendenza e della difesa della propria cultura con una grande modernità di modi espressivi.  
     
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