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Notiziario Marketpress di Lunedì 13 Giugno 2005
 
   
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  “PALEORADIO E PALEOTV: SENZA IDEE SARÀ IL TRIONFO DEL TONFO” MOLTI PROGRAMMI, FRULLATI DI RIFIUTI SOLIDI CATODICI, POSSONO ESSERE GUARDATI SOLTANTO CON L’ASSISTENTE SOCIALE ACCANTO  
   
  Roma, 13 giugno 2005 - Il massmediologo Igor Righetti intervenuto il 9 giugno a Siena alla tavola rotonda “Prospettive sull’infotaiment” organizzata da “Radio summer school”, scuola nazionale di radiofonia promossa dall’Università di Siena “Mancano idee, coraggio, sperimentazione, facce nuove, la lingua italiana traballa, si parla per slogan e didascalie, le citazioni vengono dai libri di ricette e siamo ormai infettati dalla dequalificazione del linguaggio di intrattenimento e da una generale sciatteria. Tranne rare eccezioni si può parlare di paleoradio e paleotv. Questa mancanza di idee e di facce nuove genera programmi anemici, i famosi flop. L’ascoltatore e il telespettatore sono stanchi di vedere sempre le stesse cose e i giovani non amano i soporiferi”. È quanto affermato i dal massmediologo Igor Righetti, docente di Linguaggi della comunicazione all’Università La Sapienza e autore e conduttore radiotelevisivo Rai durante la tavola rotonda “Prospettive sull’infotainment” nell’ambito del “Radio summer school”, scuola nazionale di radiofonia promossa dall’Università di Siena. Ecco un estratto dell’intervento del Comunicattivo Igor Righetti. È il trionfo del copia e incolla, dei distillati urticanti di inutilità, dei conduttori alla naftalina, del linguaggio estrapolato dal dizionario dei sinonimi e contrari, del riciclaggio selvaggio del format, del tono sacrale e salmodiante dei programmi culturali, politici e d’informazione, della riesumazione delle salme catodiche, di bellerine e paillets ormai polverose, di format di reality e programmi spesso neanche adattati alla nostra cultura. Tutto già visto da decenni e condotto da presentatori al cloroformio che dalla paleotv entrano con le loro faccione nelle nostre case. Trasmissioni che possono essere guardate soltanto con l’assistente sociale accanto. Insomma, sempre lo stesso copione. E così i palinsesti diventano zuppe dove c’è di tutto tranne che il sapore. Uffa, ma che noia. Siamo diventati frigidi, abbiamo paura di azzardare e di essere criticati perché noi stessi siamo sempre pronti a criticare ciò che esce dagli schemi e lo facciamo prima ancora di capire di che cosa si tratti. Si preferisce rimanere sul già noto di cui si conoscono i meccanismi e gli esiti. Radio e tv sono rimaste contagiate dal virus della pecora Dolly, la clonazione e l’omologazione dei palinsesti è ormai una realtà da troppo tempo. Il rubacchiare le idee altrui è ormai prassi. Questo in contraddizione con la necessità dell’uomo di sperimentare nuovi linguaggi, nuove vie di ricerca. Ma nessuna civiltà può sopravvivere alla mancanza di idee o al loro soffocamento e il dominio delle logiche utilitaristiche non può determinare il tramonto della creatività. Quindi untori d’idee cercansi contro la stipsi creativa. Sono ancora troppi gli autori, i direttori di rete e i conduttori che in Italia pensano che le cose intelligenti, l’informazione e la cultura si possano dare soltanto in modo serio. Che le trasmissioni dei libri in tv si debbano fare seduti sulla poltrona col libro in mano, che i programmi politici, quelli culturali e artistici debbano sempre avere un tono sacrale. E chi l’ha detto che in prima serata debbano andare in onda frullati di rifiuti solidi catodici? Gli anglosassoni colpiscono, sorprendono con linguaggio informale, creativo, ironico e intanto fanno informazione e cultura. Questo per avvicinare il maggior numero possibile di persone, allargare il target degli ascoltatori o dei telespettatori, anche e soprattutto quelli che non si sarebbero mai interessati a certi argomenti, magari ostici o troppo impegnativi se comunicati in modo classico. Gli anglosassoni, inventori dell’infotainment, ovvero del fare informazione e intrattenimento, lo sanno bene. Sono poche le tv italiane che fanno sperimentazione, non si è ancora accettata l’idea che la sperimentazione permette di differenziare il proprio palinsesto per non finire come i nostri partiti politici che ormai si somigliano tutti. Va un po’ meglio nelle tv satellitari e a pagamento. E anche la radio, in quanto a originalità di programmi, non se la passa bene. I palinsesti radiofonici sono invasi da play list, ovvero musica a rotazione, dj automi che si limitano ad annunciare il titolo del disco o, nei casi migliori, a leggere le notizie rubate dai giornali, al chiacchiericcio spicciolo di che cosa hanno mangiato e dove andranno a fare le serate. D’altronde ci sono programmi in radio, come quello di Fiorello, che vivono sull’imitazione di Mike Buongiorno. Ma è bene ricordare che le imitazioni di personaggi famosi andavano di moda negli anni 80. Alla faccia delle novità. Anche programmi radiofonici di grande successo sono diventati ormai ripetitivi, non si sono saputi aggiornare ed evolvere, la formula è logora e si trascinano stancamente nell’etere. Per non parlare dei programmi culturali fatti in radio, mummie abbandonate anche dalle tarme sempre perché se si parla di cultura bisogna mantenere il tono salmodiante. E questa è paleoradio. Tra le tv che sperimentano spiccano La 7 (Markette di Chiambretti ne è un esempio), qualche programma di Raidue e Raitre, e Italia 1. Il resto è paleotelevisione. Le trasmissioni televisive che a causa di un basso indice di ascolti vengono soppresse o spostate di orario e di giorni sono sempre di più, tanto da formare ormai un cimitero virtuale di flop. Senza andare troppo in là nel tempo è sufficiente ricordare alcuni titoli come “Le tre scimmiette” condotto da Simona Ventura, “Ritorno al presente” con Carlo Conti e Fabrizio Frizzi con il suo “Assolutamente”, “Stirpe reale” con Cristina Parodi. Ci sono poi alcuni programmi che sono passati come meteore poiché sono apparsi e subito spariti. E’ il caso di “Star flash” condotto da Jerry Calà e Elenoire Casalegno ma peggio ancora andò “Personality”, lo show condotto da Pino Insegno che non andò oltre il numero zero. Una fine più decorosa anche se anticipata toccò al reality “Punto e a capo” condotto da Alda D’eusanio incentrato sui temi dell’ingiustizia e del riscatto. Stessa sorte per il reality “Buone notizie” condotto da Licia Colò e “Super senior” presentato come programma rivelazione della stagione 2003/2004 il format andò in onda soltanto per 4 puntate. Ne erano previste 15 e, per la verità, la trasmissione meritava maggiore attenzione. Flop anche per un altro reality “Belli per sempre” andato in onda una sola volta e il cui format fu ripreso da Mediaset con “Bisturi”. La mannaia dell’audience ha colpito anche molti programmi-verità. È andato al di sotto delle aspettative “Diario, esperimento d’amore” con la conduzione di Marco Liorni e non ha fatto meglio “L’uomo dei sogni”. Condotto da Cristina Parodi il programma ha chiuso i battenti con due puntate d’anticipo. Ma non c’è dubbio che la performance peggiore vada attribuita a “Super star show” che è andato in onda per sole due puntate. La crisi degli ascolti, dunque, colpisce un po’ tutto e tutti. I numeri dell’Auditel dicono che i telespettatori italiani cominciano a essere stanchi di spettacoli basati sulla diretta tv di realtà simulate di cui sono protagonisti persone qualunque o personaggi un po’ in disarmo. Ma flop o successi da quali varianti dipendono? E ancora, con tutte le ricerche e i sondaggi che si fanno non è possibile conoscere prima se la trasmissione programmata avrà successo o meno? E poi. Non sarà che il pubblico con tutti i canali che ha a disposizione è diventato molto più esigente di prima ed è alla continua ricerca di novità? E queste novità gliele vogliamo dare o no? La televisione ha messo il turbo, è iperalimentata dalla scelta dei programmi e dei canali che ha provocato un abbassamento della soglia di attenzione del pubblico che si è abituato a una attesa continua di colpi di scena, di polemiche, urla, risa e pianti. Le emozioni, dunque, hanno preso il jet e hanno lasciato il dirigibile nel secolo scorso. Si spiega così lo scarso successo di tanti programmi che, come “Sabato italiano”, condotto da Pippo Baudo, pur presentandosi in modo elegante e vario non ha ottenuto l’ascolto che ci si aspettava. Il problema è che dava l’impressione di essere trattenuto, troppo controllato. E, soprattutto, mancava la scintilla della follia, quella che, da sola, decreta il successo o meno di una trasmissione d’intrattenimento. Il fatto è che il pubblico è smaliziato, si è abituato a una televisione ruvida, a volte rozza, condita da personaggi che movimentano di continuo la scena con battute veloci. Tipo Zelig, per intenderci. Il programma di Baudo era uno di quelli destinati alle cosiddette persone per bene che non hanno guizzi e hanno timore di osare, non vogliono neanche provare ad acquistare il pane dal fornaio di fronte perché temono che possa avere un sapore diverso da quello a cui sono abituati. E allora sarebbe una delusione. Meglio non averne. Ricerche e sondaggi continuano a indagare l’animo dei telespettatori che vengono sezionati, divisi per sesso e per età, per professioni e per collocazione. Si scopre così che le donne amano le soap opera e i reality, gli uomini lo sport e gli spettacoli comici. E i giovani? Beh, loro amano molto la musica e l’intrattenimento, ma anche l’informazione se fatta con un linguaggio moderno e diretto.  
     
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