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Notiziario Marketpress di Mercoledì 24 Marzo 2004
 
   
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  I FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE  
   
  Milano, 24 marzo0 2004 - Le malattie cardiovascolari non sono legate a una causa unica e sempre identificabile. Esse vengono definite "multifattoriali", in quanto sono promosse da più condizioni che interagiscono tra loro: i cosiddetti "fattori di rischio", caratterizzati sulla base di evidenze e argomentazioni scientifiche. Si delinea così per ciascuno quello che si potrebbe definire un profilo di rischio, determinato dall'interazione tra influenze ambientali, abitudini di vita, alimentazione e assetto genetico, che si traduce numericamente in una probabilità statistica di comparsa di malattie e complicanze. In futuro, grazie alle ricerche nell'ambito della cardiologia predittiva, sarà possibile caratterizzare con notevole precisione la predisposizione individuale alle malattie cardiovascolari. Oggi l'interesse è strettamente focalizzato sui fattori di rischio noti e sull'effetto delle loro possibili combinazioni (per esempio ipertensione e diabete, valori elevati di colesterolo fumo di sigaretta). I fattori di rischio cardiovascolare possono essere suddivisi in due categorie principali: I fattori modificabili (sovrappeso, stress, sedentarietà, fumo, ipertensione e diabete), rappresentati da abitudini o malattie controllabili mediante opportuni comportamenti o terapie, e I fattori non modificabili (età, sesso e familiarità), che quindi concorrono a determinare il cosiddetto "rischio basale", cioè la probabilità che una determinata malattia cardiovascolare si verifichi anche in assenza di evidenti condizioni favorenti, nei cui confronti sia ipotizzabile un qualsivoglia intervento correttivo. E' evidente che l'intervento non può che mirare con la massima tempestività possibile ai fattori modificabili, per esempio attraverso la promozione sin dalle fasce d'età più giovani uno stile di vita corretto e un regolare check up di salute dal medico di famiglia. Un aspetto merita tuttavia di essere sottolineato: la distribuzione dei vari fattori di rischio non è uniforme sul territorio nazionale. La prevalenza del diabete, per esempio, è notoriamente più elevata nelle regioni meridionali rispetto a quelle del Centro-nord. Proprio sulla base di queste rilevazioni sono state elaborate le carte del rischio, che, tenendo conto dell'eterogeneità della popolazione, costituiscono lo strumento attualmente più appropriato per i cittadini italiani. I fattori modificabili Sovrappeso e obesità L'obesità, che nel nostro paese interessa il 18% degli uomini e il 22% delle donne, aumenta il rischio globale per due ragioni fondamentali: la prima è il superlavoro cui viene sottoposto il cuore, predisposto per soddisfare le esigenze di un corpo di dimensioni e struttura minori. La seconda sta nel rischio combinato tra peso eccessivo, colesterolo alto (il 20% degli uomini e il 24% delle donne ha una colesterolemia totale uguale o superiore a 240 mg/dl) e diabete, di cui soffrono in Italia I'8% degli uomini e il 6% delle donne. Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, il soggetto sovrappeso o obeso continua ad alimentarsi in maniera eccessiva e non equilibrata, ed è quindi più a rischio di presentare valori elevati di colesterolo e glicemia. Per tenere sotto controllo la situazione occorre limitare l'apporto calorico, riducendo soprattutto i piatti più elaborati nonché i grassi e le proteine animali (carne, uova, burro, formaggi, salumi) e privilegiando i grassi di origine vegetale, come l'olio extravergine di oliva. La dieta generalmente consigliata è dunque a base di pasta, pane, pesce, frutta e verdura e, come condimento, olio extravergine d'oliva. Come suggeriscono numerose osservazioni riportate anche nella letteratura scientifica, inoltre, un buon bicchiere di vino, preferibilmente rosso, può esplicare un'azione protettiva grazie alla presenza di antiossidanti naturali. Sedentarietà Nell'immaginario collettivo l'antitesi alla sedentarietà viene spesso idealmente e utopisticamente associata al concetto di palestra o di pratica di attività sportive. In realtà, più che di attività fisica, sarebbe più corretto parlare di attività motoria: come è stato ampiamente ribadito in questi ultimi anni, sono sufficienti "10.000 passi" al giorno, pari a una passeggiata di mezz'ora al giorno per dimezzare il rischio di infarto. La sedentarietà, in effetti, comporta una riduzione del ritorno del sangue verso il cuore, che è invece favorito dall'attività muscolare, aumentando così il lavoro del muscolo cardiaco. Allo stesso modo una vita monotona e poco dinamica condiziona una minore ossigenazione del sangue e una riduzione di quella riserva naturale che consente all'apparato cardiovascolare di adattarsi a eventi improvvisi, come per esempio uno sforzo imprevisto, anche di minima entità. Attualmente, sulla base delle stime, risulta che il 34% degli uomini e il 46% delle donne non svolgono alcuna attività fisica durante il tempo libero. Fumo Sul fumo si è detto e scritto di tutto, ma ciononostante esso rimane ancora un'abitudine ampiamente diffusa: il 30 % degli uomini fuma in media 17 sigarette al giorno, contro il 21% delle donne che ne fuma 13. La nicotina è uno dei tanti responsabili dell'azione nociva del fumo di sigaretta: il 25% della quantità inalata raggiunge subito il cervello, mentre il restante 85% viene distribuito agli altri tessuti dell'organismo. La nicotina favorisce l'aggregazione piastrinica, l'aumento della pressione arteriosa (è infatti un vasocostrittore) e della frequenza cardiaca, la diminuzione della contrazione delle cellule cardiache e soprattutto del trasporto di ossigeno, con il risultato che il cuore, oltre a ricevere meno sangue, va anche incontro a un "debito" d'ossigeno. Tutti questi elementi portano il cuore a lavorare in condizioni non ottimali, tanto che un uomo di cinquant'anni non fumatore corre un rischio di quattro volte inferiore di infarto rispetto a uno che fuma 20 sigarette al giorno. La soluzione ideale, quindi, sarebbe non incominciare mai a fumare e comunque smettere quanto prima: occorrono infatti 8-10 anni di sospensione prima che il rischio cardiovascolare dell'ex-fumatore torni simile a quello di chi non ha mai fumato. Ipertensione L'ipertensione è già stata trattata in un'altra sezione della presente cartella stampa. E' opportuno tuttavia soffermare l'attenzione su due aspetti chiave: • l'ipertensione colpisce molte più persone di quanto non si creda, e se un tempo sembrava essere confinata soltanto ai soggetti anziani, oggi tende sempre più a veder anticipata la sua comparsa, a partire dai 40 anni d'età. In Italia il 33% degli uomini e il 30% delle donne ha valori uguali o superiori a 160/95 mmHg oppure sta seguendo una terapia farmacologica specifica; • spesso viene diagnosticata "per caso", per esempio attraverso un controllo estemporaneo, in quanto non provoca disturbi. Anzi, come spesso si usa dire, proprio quando diventa sintomatica, l'ipertensione ha ormai raggiunto una fase avanzata: in altri termini ha già provocato danni irreversibili ed è più difficilmente controllabile. Per questa ragione è importante motivare anche un iperteso giovane a curarsi: poiché l'ipertensione è una patologia cronica è inevitabile una terapia continuativa, il cui beneficio, a differenza di altre situazioni in cui il paziente avverte sin da subito gli effetti favorevoli, sarà apprezzabile soltanto nel lungo termine. I fattori non modificabili Il sesso maschile, un'età superiore a 65 anni e un parente di primo grado colpito da malattia cardiovascolare (familiarità) sono gli elementi che aiutano a costruire ('identikit del candidato all'infarto miocardico. Nelle donne — grazie all'effetto protettivo conferito dagli ormoni estrogeni prodotti durante la vita fertile — tale eventualità è estremamente rara prima della menopausa, ma tende ad aumentare per raggiungere o addirittura superare il sesso maschile verso i 70 anni. Anche la predisposizione ereditaria può costituire un pericolo rilevante. La tendenza ad ammalare di infarto tende infatti a essere maggiore in alcuni gruppi familiari, probabilmente perché anche diabete, ipertensione, obesità, alterazioni del profilo lipidico (dislipidemie) e altri elementi di rischio si ripresentano più frequentemente in quegli sessi gruppi.  
     
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