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Notiziario Marketpress di
Mercoledì 11 Febbraio 2004
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ETICA NEGLI AFFARI? I PICCOLI IMPRENDITORI ITALIANI PIÙ CORRETTI OGGI CHE IN PASSATO, MA GLI AMERICANI SONO PIÙ ORGANIZZATI PER PASSARE ALLE “BUONE” AZIONI |
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Milano, 11 febbraio 2004 - Il problema dell’etica negli affari scuote anche le piccole imprese italiane. Intervistato da George. May International, società americana di consulenza aziendale, in Italia da quasi 50 anni, il 77% dei piccoli imprenditori italiani dichiara di essere più attento oggi rispetto al passato sia alla reputazione della propria azienda sia all’etica nei metodi utilizzati sul lavoro. Il 24% ha persino un codice etico scritto. Più alta l’attenzione, secondo il 70% degli imprenditori, anche da parte dei loro stessi dipendenti, disposti in gran parte ad adottare comportamenti più corretti nei confronti del datore di lavoro e dei colleghi. L’indagine, che è stata condotta su un campione di 200 piccole imprese , mette però in evidenza che troppo spesso l’etica non fa parte di una vera e propria cultura del lavoro, inserita nelle procedure delle attività, ma è affidata all’estro dell’imprenditore o è dovuta agli adeguamenti parziali dell’azienda alle richieste di un mercato sempre più esigente. Nelle imprese americane, dove George S. May ha condotto la stessa ricerca, l’interesse di oggi rispetto l’etica negli affari “scende” al 66%, e anche l’attenzione all’etica da parte degli impiegati supera di poco il 50% Ma negli Usa l’85% degli imprenditori cerca di promuovere all’interno dell’azienda svariati strumenti per un comportamento etico, come se facesse naturalmente parte della metodologia del lavoro, atteggiamento condiviso da solamente il 49% degli italiani. Quindi, in breve gli imprenditori italiani dichiarano complessivamente un più spiccato orientamento all’etica nel loro lavoro rispetto ai “colleghi”americani, ma sono meno organizzati per agire concretamente nella promozione dei comportamenti etici in azienda. La ricerca in Italia In Italia, il campione di riferimento di 200 aziende è costituito da piccoli imprenditori da più di cinque anni in affari, con un numero di dipendenti compreso per il 54% da uno a dieci, per il 21% fino a 20 unità, per il 10% fino a 30 e per il 15% superiore. Dai risultati è emerso che il 77% degli imprenditori italiani, alla domanda “Lei è oggi più interessato a seguire un comportamento eticamente corretto negli affari, piuttosto che in passato?” ha risposto si. Il 36% degli intervistati è oggi interessato ad una condotta eticamente corretta per la preoccupazione di perdere la reputazione della propria società. Il 18%, invece, ha cambiato il suo comportamento in conseguenza di una scorrettezza subita, il 15% semplicemente perché ritiene sia una cosa giusta da fare in un mercato sempre più difficile, ma che alla fine premia l’etica. Il 15% ha risposto che non gli importa cambiare l’atteggiamento di sempre, ovvero che l’etica non è un problema che li tocca. Un’altra domanda è stata rivolta per indagare cosa pensino gli imprenditori sul modo di agire dei loro dipendenti. Il 70% del totale degli intervistati ha dichiarato che i dipendenti oggi tendono a seguire un comportamento eticamente corretto anche se con diverse motivazioni: il 39% crede che costoro siano più attenti all’etica perché è la cosa giusta da fare per vivere armoniosamente nel proprio posto di lavoro, il 19% perché non vogliono compromettere la propria reputazione, il 5% per quella della società e il 4% per l’eventuale risalto negativo che verrebbe dato dai media. Per contro, il 30% ha dichiarato che ai loro impiegati non importa nulla, che i problemi a livello etico sono sempre esistiti, e che l’etica non è qualcosa che si ripercuote su loro lavoro. Infine, è stato chiesto agli imprenditori italiani quali siano gli sforzi che hanno compiuto per promuovere l’etica nella loro azienda. Il 51% ammette di non compiere alcun tentativo di migliorare la situazione, ma il 49% mette in atto azioni appropriate: il 24% si avvale di un codice etico scritto, il 14% diffonde promemoria informali sui comportamenti etici negli affari, mentre pochi investono in iniziative di training, il 6% per i dipendenti e il 5% per i dirigenti. Il confronto con le aziende americane alle quali sono state rivolte le stesse domande Gli imprenditori italiani, tra i quali sono più numerosi quelli con meno di 10 dipendenti (54% rispetto al 23% degli americani) dichiarano complessivamente un più spiccato orientamento all’etica nel loro lavoro rispetto ai “colleghi”americani (77% contro 66%), ma più per motivi di interesse (per salvare la reputazione della società per il 36% contro il 16% e perché già vittime di scorrettezze per il 18% contro il 7%) piuttosto che per il principio “essere etici è la cosa giusta da fare” (15% contro 28%). Parallelamente, tra chi ha ammesso di non considerare l’etica nel business più di prima, il 15% (5% negli Usa) risponde che non gli importa, mentre il dato si inverte sulla convinzione che i problemi a livello etico siano sempre esistiti (4% contro il 18% degli americani). Anche alla domanda sui propri dipendenti, il 70% (contro il 54% dei colleghi statunitensi) pensa che essi considerino maggiormente l’etica la giusta prerogativa del loro lavoro. Le motivazioni sono principalmente orientate al principio della correttezza etica (39% contro 17%) e della reputazione personale (19% contro 10%). Però la proporzione si mantiene anche sulla convinzione che sarebbero molti coloro ai quali non importa (21% contro il 16% in Italia). Sulla terza domanda però si può rilevare che, nonostante le dichiarate buone intenzioni, per difetto di mentalità o per mancanza di strumenti di gestione, gli italiani sono meno organizzati per agire concretamente nella promozione dei comportamenti etici in azienda. Il 51% dei piccoli imprenditori italiani contro il 15% di quelli a stelle e strisce, infatti, dichiara candidamente di non avere in atto nessuna iniziativa. Anche se il 24% contro il 20% dichiara di avere un codice etico scritto, solo il 14% (contro il 26% degli americani) predispone promemoria informali per indirizzare le persone a comportamenti corretti. La differenza sugli interventi adottati è ancora maggiore se si tratta dei training formativi: 6% (contro il 24%) per i dipendenti e il 5% (contro il 15%) per il direttivo.
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