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Notiziario Marketpress di Martedì 21 Giugno 2005
 
   
  Pagina3  
  LA CATTIVA LETTURA DI DUE SENTENZE DELLA CASSAZIONE PENALE ("VIA I NOMI DALLE SENTENZE NEL CASO IN CUI VENGANO RIPRODOTTE NELLE RIVISTE GIURIDICHE") HA CREATO UN ALLARME INGIUSTIFICATO.  
   
  I giornalisti hanno diritto di leggere le sentenze nella forma integrale ma dovranno, comunque, trattare i dati (=notizie) secondo le regole etiche. Anche le informazioni del casellario sono divulgabili
di Franco Abruzzo presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia. Docente a contratto di Diritto dell'informazione nell'Università degli studi di Milano Bicocca e nell'Università Iulm
L'articolo 12 del Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica (meglio noto come Codice deontologico sulla privacy) tratta la "Tutela del diritto di cronaca nei procedimenti penali" (Al trattamento dei dati relativi a procedimenti penali non si applica il limite previsto dall'articolo 24 della legge n. 675/1996. Il trattamento di dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all'articolo 686, commi 1, lettere a) e d), 2 e 3, del Codice di procedura penale è ammesso nell'esercizio del diritto di cronaca, secondo i principi di cui all'articolo 5). Ciò significa che i giornalisti possono raccontare quello che risulta scritto nel Casellario giudiziale a carico di ogni persona: sentenze di condanna, ordini di carcerazione, misure di sicurezza, provvedimenti definitivi che riguardano l'applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale, dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere. Il diritto di cronaca vince in maniera ampia. Secondo l'articolo 137 del Dlgs n. 196/2003, ai trattamenti (effettuati nell'esercizio della professione di giornalista e per l'esclusivo perseguimento delle relative finalità) non si applicano le disposizioni del Testo unico del 2003 relative: a) all'autorizzazione del Garante prevista dall'articolo 26; b) alle garanzie previste dall'articolo 27 per i dati giudiziari; c) al trasferimento dei dati all'estero, contenute nel Titolo Vii della Parte I. In sostanza l'articolo 137, non prevedendo il disco verde del Garante o di soggetti privati, rispetta l'articolo 21 (Ii comma) della Costituzione che vuole la stampa non soggetta ad autorizzazioni. I giornalisti dovranno, comunque, trattare i dati (=notizie) con correttezza, secondo i vincoli posti dal Codice di deontologia della privacy del 1998, dagli articoli 2 e 48 della legge n. 69/1963 (sull'ordinamento della professione giornalistica) e dalla Carta dei doveri del 1993. Il trattamento dei dati - dice ancora l'articolo 137 - è effettuato anche senza il consenso dell'interessato previsto dagli articoli 23 (Consenso) e 26 (Garanzie per i dati sensibili). In caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità di cui all'articolo 136 (trattamenti effettuati nell'esercizio della professione di giornalista e per l'esclusivo perseguimento delle relative finalità) "restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all'articolo 2 e, in particolare, quello dell'essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico". E' il caso di osservare che: a) l'articolo 52, su richiesta dell'interessato "per motivi legittimi", consente alla cancelleria di "apporre un'annotazione volta a precludere" l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi «in caso di riproduzione della sentenza, o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica". B) nei casi previsti dai commi 1 e 2 dell'articolo 52 la cancelleria o segreteria appone e sottoscrive anche con timbro la seguente annotazione: «In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di.....». C) secondo il settimo comma dello stesso articolo, "Fuori dei casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali". ---- Cassazione penale: via i nomi dalle sentenze nel caso in cui vengano riprodotte nelle riviste giuridiche
Roma, 5 giugno 2005. Una spennellata di bianchetto sul nome dell'imputato che, diventato signor X, ha chiesto di eliminare qualsiasi riferimento ai dati che lo identificano dalla sentenza che lo riguarda. Con una richiesta ritenuta legittima dal giudice. La privacy 'sbarca' in Cassazione e cancella nomi e cognomi dalle proncunce di assoluzione, ma anche da quelle di condanna. Così, a distanza di quasi dieci anni dall'approvazione della legge sulla protezione dei dati personali, per la prima volta la Suprema Corte si pronuncia sul ricorso proposto da...(omissis). Lo fa in base al codice in materia di protezione dei dati personali approvato nel 2003, che, fra l'altro, prevede la possibilità degli interessati di ottenere «per motivi legittimi», prima che sia definito il giudizio, l'eliminazione delle indicazioni delle generalità e di altri dati identificativi, nel caso in cui la sentenza o il provvedimento che li riguarda venga riprodotto in qualsiasi forma «per finalità di informazione giuridica» su riviste di settore, supporti elettronici o reti di comunicazione elettronica. Al di là quindi delle esigenze strettamente di giustizia. Due le sentenze depositate senza nome. Tutt'e due di competenza della seconda sezione penale di Palazzaccio che, nelle pronunce 18993 e 19451, sulla prima pagina appone un timbro:«In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi» come disposto con decreto, a norma dell'articolo 52 decreto legislativo 30 giugno 2003 numero 196. Nel primo caso la richiesta è stata avanzata da un avvocato condannato in appello a un anno di reclusione, 500 euro di multa con l'interdizione di due anni dalla professione per appropriazione indebita continuata ed aggravata. Secondo i giudici di secondo grado di Bari era colpevole di aver incassato del denaro non suo, usando il ruolo di procuratore speciale, nominato da un lavoratore, A.v., che, a causa di un incidente, aveva ottenuto il diritto ad un indennizzo. I giudici del Palazzaccio, su richiesta dell'imputato e del suo difensore, hanno esaminato il ricorso presentato contro la decisione di secondo grado. Lo hanno rigettato e nella loro pronuncia hanno cancellato il nome del ricorrente tutte le volte che in sentenza era stato citato. Ecco come appare il testo: «(...) veniva tratto a giudizio davanti al tribunale di Trani...». E ancora: « Il (...) anche con motivi nuovi, e il suo difensore hanno proposto ricorso per Cassazione. Con il primo motivo il deduce che la somma complessiva...». E di nuovo: «Osserva il collegio che la doglianza è infondata in quanto il giudice di appello con corretta motivazione ha rilevato che il reato contestato al (...) si era consumato nel momento in cui questi, ottenuta la procura speciale, aveva cominciato ad incassare i ratei di canone da parte degli inquilini della citata società, versando i relativi assegni circolari su un conto corrente bancario a se stesso intestato...». Nessun nome, dunque, e, a maggior ragione, nessun cognome. L'altro caso in cui il diritto alla privacy è stato invocato ed ottenuto è un caso di usura in cui l'imputato è stato condannato in primo e secondo grado, con sentenza confermata dalla Cassazione che ha giudicato inammissibile il ricorso. http://www.Odgsicilia.it/050605giu_pry_cassaz.html 
 
     
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