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Notiziario Marketpress di Mercoledì 29 Giugno 2005
 
   
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  FONDAZIONE EDISON: LA SUSSIDIARIETÀ ELEMENTO CHIAVE PER FAVORIRE UN NUOVO CICLO DI CRESCITA DELL’ECONOMIA ITALIANA SEMPRE MENO REGIONI ITALIANE FRA LE PIÙ RICCHE D’EUROPA: ESCONO DALLA CLASSIFICA FRIULI VENEZIA GIULIA, TOSCANA E VENETO  
   
   Milano, 29 giugno 2005 – La sussidiarietà potrà essere l’elemento chiave per favorire e accelerare un nuovo ciclo di crescita dell’economia italiana nel Xxi secolo: questo è quanto emerso ieri durante il convegno “Sussidiarietà ed economia. Nuovi paradigmi di sviluppo in Italia”, organizzato dalla Fondazione Edison, cui hanno partecipato Umberto Quadrino, Presidente di Edison e della Fondazione Edison, Alberto Quadrio Curzio, Presidente del Comitato scientifico Fondazione Edison, Bruno Tabacci, Presidente della Commissione attività produttive della Camera dei deputati, Savino Pezzotta, Segretario generale Cisl, Giulio Sapelli, Università degli Studi di Milano, Carlo Longo, Presidente Unione Industriale Pratese, Giuseppe Guzzetti Presidente della Fondazione Cariplo, Luigi Roth della Fondazione Fiera di Milano, Raffaello Vignali, Presidente della Compagnia delle Opere, Mario Deaglio, Università degli Studi di Torino, Marco Fortis, Vicepresidente della Fondazione Edison, Fabio Pistella, Presidente del Cnr, Giampio Bracchi, Vicepresidente Banca Intesa, Roberto Mazzotta, Presidente della Banca Popolare di Milano e Angelo Tantazzi, Presidente Borsa Italiana. Per il rilancio dello sviluppo italiano occorrono nuove energie: a fianco del Mercato e dello Stato sono necessari nuovi soggetti intermedi espressione della Comunità e della sussidiarietà orizzontale. “Le banche, le fondazioni ex bancarie, le fondazioni di sviluppo”, ha dichiarato Umberto Quadrino, Presidente di Edison e della Fondazione Edison, “possono contribuire al conseguimento di cinque obiettivi fondamentali per il Paese: la crescita dimensionale delle imprese, una loro maggiore internazionalizzazione, un forte sviluppo dell’attività di ricerca e innovazione, il rilancio del turismo e della competitività delle imprese”. Per accelerare la strada di un nuovo ciclo di crescita dell’economia italiana la Fondazione Edison ha concentrato quindi l’attenzione su tre temi strategici, sempre nell’ottica della sussidiarietà. Il primo tema è quello del rilancio economico-tecnologico. In vari casi l'economia richiede l'efficienza del privato ma anche la stabilità di lungo termine dell'investimento. Ciò è possibile soprattutto quando stakeholders e shareholders danno origine a forme composite di collaborazione. Un caso emblematico potrebbe essere quello della creazione di “laboratori” che siano intersezioni tra pubblico e privato per il raggiungimento di obiettivi comuni. Un secondo tema è quello delle nuove forme organizzative, tra cui vi sono le fondazioni che in Italia solo di recente hanno visto crescere il loro ruolo contrassegnato da grande ed efficiente dinamismo. Queste realtà possono partecipare in modo attivo e rilevante al processo di crescita dimensionale delle imprese e agendo da catalizzatore e propulsore nelle collaborazioni tra pubblico e privato. Il terzo tema riguarda infine il sistema bancario-finanziario. Il ruolo del credito e quello dei capitali di rischio reperiti sul mercato rappresentano un tema cruciale nella ricerca di nuovi strumenti di sviluppo. La “ritirata” dello Stato dal Mercato e il cessato ruolo di alcune istituzioni finanziarie, che agivano come stanza di compensazione in situazione di crisi e rilancio aziendale, hanno creato un vuoto non ancora riempito dai tradizionali strumenti di mercato (Borsa e Fondi di investimento). Il sistema si trova quindi ad affrontare nuove sfide nel reperimento di forme di finanziamento per soluzioni aggregative di impresa (distretti) da parte di soggetti come le fondazioni per facilitare grandi progetti di rilancio e sviluppo con un’ottica di medio-lungo termine dell'investimento. Le banche a loro volta giocheranno un ruolo di primo piano nell’internazionalizzazione delle imprese e nel consolidamento dei capitali delle nuove auspicate aggregazioni tra le imprese, base per superare il problema del “nanismo” aziendale che caratterizza l’Italia. “Il modello dei distretti industriali ha consentito al nostro Paese di conseguire elevati livelli di sviluppo e di diffusione del benessere”, ha aggiunto il professor Alberto Quadrio Curzio, Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Edison. “La storia distrettuale ha costituito una forma particolarmente interessante di sussidiarietà orizzontale con sistemi reticolari che ancora oggi sono essenziali per avviare il nuovo ciclo di sviluppo: è necessario tuttavia che queste reti economiche possano inserirsi in una più ampia linea evolutiva che caratterizzi l’Italia e la differenzi dai modelli esistenti in altri Paesi con diverse caratteristiche economiche”. Sempre meno regioni italiane tra le più ricche d’Europa - Tali riflessioni si inseriscono in un momento di passaggio molto delicato per l’Italia: sono sempre di meno infatti le regioni italiane che figurano tra le più ricche d’Europa, ossia con un prodotto per abitante superiore del 25% alla media dell’Unione Europea. Considerando l’indicatore del Pil pro capite a parità di potere di acquisto, nel 1995 l’Italia aveva ben 10 regioni tra le più ricche del continente, mentre nel 2002 – secondo gli ultimi dati diffusi dall’Eurostat ed elaborati dalla Fondazione Edison – ne ha solo 7, essendo uscite nel frattempo dalla parte alta della classifica la Toscana (nel 1997), il Friuli-venezia Giulia (nel 2000) e il Veneto (nel 2002). Le 7 regioni italiane più “ricche” risultano quindi: Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino, Alto-adige (considerato autonomamente nelle classificazioni Eurostat), Emilia-romagna e Lazio. Anche se l’Italia si pone ancora ai vertici europei per diffusione del benessere a fianco del Regno Unito (anch’esso con 7 regioni “ricche” nel 2002) e della Germania (con 6 regioni “ricche”), da questo quadro comparato emerge il forte rallentamento della crescita economica italiana degli ultimi anni: una dinamica che tende ad erodere i notevoli livelli di sviluppo conseguiti precedentemente dal nostro Paese grazie al modello di successo del “made in Italy”, oggi invece fortemente minacciato dalla concorrenza asimmetrica cinese. Basti pensare che dal 1996 al 2004 nella sola Europa la Cina ha guadagnato circa 13 miliardi di euro di quote di mercato nelle principali categorie di prodotti in cui è specializzata l’Italia, cioè moda, arredo-casa e meccanica leggera. La riduzione del numero delle regioni “ricche” non è stato solo un fenomeno italiano e sconta anche un aumento del livello medio europeo di benessere, soprattutto nei Paesi di nuova adesione. Ma è soprattutto la crisi economica ad aver provocato i maggiori impatti sui livelli di reddito di alcuni tra i maggiori Paesi europei. Infatti, anche la Germania – che negli ultimi anni ha sperimentato un forte rallentamento della crescita economica, con rilevanti processi di delocalizzazione produttiva e un consistente aumento della disoccupazione - ha visto ridursi le proprie regioni più “ricche” da 9 a 6. Il Regno Unito invece ha accresciuto il proprio numero di regioni “ricche” tra il 1995 e il 2002 da 3 a 6, mentre la Francia continua ad avere una sola regione con un Pil per abitante superiore del 25% alla media europea: l’Ile de France, cioè la regione di Parigi. La popolazione residente delle 7 regioni italiane “ricche”è di oltre 23 milioni di abitanti, contro i 12 milioni di abitanti delle 7 regioni inglesi più “ricche”, i 17 milioni delle 6 regioni tedesche più “ricche” e gli 8 milioni di abitanti dell’Ile de France. Dunque l’Italia è ancora il Paese europeo con la più elevata ricchezza diffusa sul territorio, specie nel Nord e nel Centro. E’ da rilevare, però, che nel 1995 la popolazione residente nelle 10 regioni italiane più “ricche” che all’epoca presentavano un Pil pro capite del 25% più alto della media Ue (cioè le 7 regioni più “ricche” di oggi più Toscana, Veneto e Friuli-venezia Giulia che nel frattempo hanno perso terreno) era addirittura di 32 milioni di abitanti, contro i 27,5 milioni delle 9 regioni tedesche che nello stesso anno figuravano tra le più “ricche” d’Europa. In soli 7 anni il numero degli abitanti corrispondenti alle regioni comparativamente più “ricche” a livello europeo si è dunque ridotto di 8,8 milioni in Italia e di 10,7 milioni in Germania, gli ultimi due grandi Paesi manifatturieri d’Europa: quelli più colpiti dalle ripercussioni della globalizzazione che minaccia oggi i maggiori livelli di reddito diffuso che questi due Paesi avevano conseguito in passato rispetto a Francia e Regno Unito. Da qui la necessità di un progetto condiviso di rilancio dell’economia italiana che preveda due tipologie di azioni. Innanzitutto di legittima difesa per riequilibrare la concorrenza asimmetrica asiatica nei settori tradizionali, accompagnate da adeguati progetti di riconversione dei nostri settori tradizionali (tessile, calzaturiero, ecc.). A queste misure vanno associate azioni di ammodernamento del nostro sistema produttivo che prevedano un’ampia partecipazione a fianco del Mercato e dello Stato di vari soggetti espressione della Comunità e della sussidiarietà orizzontale.  
     
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