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Notiziario Marketpress di Lunedì 04 Luglio 2005
 
   
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  ROMA, PALAZZO ALTEMPS LA NASCITA DI VENERE NEL TRONO LUDOVISI; UN’ASSENZA RITUALE  
   
  Roma, 4 luglio 2005 - La ragione che ha determinato l’installazione artistica di Emilio Farina, che qui si presenta, è del tutto contingente: il momentaneo allontanamento dal Museo di Palazzo Altemps, che normalmente lo espone, del famosissimo Trono Ludovisi, capolavoro della scultura arcaica magno-greca, prestato per alcuni mesi all’importante rassegna archeologica di Catanzaro ‘Magna Graecia’. L’assenza del monumento marmoreo del V secolo è stata colta dall’artista, concordemente con la Direzione del Museo, come un’occasione per ripensare in chiave attuale i contenuti formali e simbolici del celebre rilievo. Il vuoto lasciato dalla sua temporanea partenza viene colmato con un intervento dichiaratamente concettuale: lungi perciò dal riproporre un volume costruito o un oggetto ben determinato, Emilio Farina ricrea unicamente, con il suo linguaggio totalmente contemporaneo e volutamente differenziato, l’azione della nascita della Dea nel suo manifestarsi, che costituisce, come noto, il motivo centrale della narrazione dell’antico “trono”. Cogliendo, nella plastica concretezza del rilievo greco, la ritualità sacra, continua e ininterrotta in esso rappresentata, l’artista ci presenta il luogo simbolico della genesi divina. Il greco mar di foscoliana memoria, da cui vergine nacque Venere e la sua candida spuma che, con moto dolcissimo e continuo, arrotonda i candidi ciottoli marmorei che compaiono, invece, ben saldi sotto i piedi delle ancelle presenti all’evento, sono condensati in pochi elementi materici: la ciotola cobalto, in cui l’artista colloca l’accadere del rito divino, ed i sassi musicalmente levigati dalla risacca, entrambi allusivi all’ininterrotta azione creatrice delle onde del mare. Da qui si srotola, eternamente riavvolgendosi su se stesso, il mistico manto che le mani partecipi delle assistenti divine drappeggiano a coprire il corpo nudo della Dea, in modo di velare agli occhi mortali l’insostenibile splendore dell’apparizione sacra. A questa visibile presenza l’artista volutamente allude proprio con l’evidenza della sua negazione: Afrodite, infatti, è il velo che la nasconde e che, nello stesso tempo, la rivela. Il rigido nastro di plastica rappresenta la manifestazione della pura sostanza divina e la sua immediata contaminazione a contatto con le azioni dell’uomo. I graffi, i segni, i resti di materia e di sabbia che costituiscono l’immagine in negativo della divinità svelata e corruttibile. Nello stesso tempo la Dea, col suo primo sorriso, feconda l’umanità, riguardando, con innumerevoli occhi benigni, dalla superficie del suo velo continuamente svolto e riavvolto, noi spettatori partecipi del rito della sua nascita, mentre contemporaneamente, assorta in sé, contempla all’interno del suo mistico schermo, la propria eterna presenza, celeste e terrena.  
     
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