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Notiziario Marketpress di Mercoledì 06 Luglio 2005
 
   
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  SONO LE CONSONANTI CHE DICONO AL CERVELLO COME DISTINGUERE LE PAROLE NEL DISCORSO PUBBLICATO UNO STUDIO DI RICERCATORI SISSA SULLA RIVISTA PSYCHOLOGICAL SCIENCE  
   
  Trieste, 6 luglio 2005 - Quando ascoltiamo il flusso di un discorso il nostro cervello riceve informazioni diverse da vocali e consonanti. E sarebbero queste ultime a permetterci di distinguere le parole all’interno dello scorrere di suoni che si alternano. È il risultato del lavoro scientifico di un’equipe formata, tra gli altri, da ricercatori della Scuola Internazionale di Studi Avanzati di Trieste. Come dimostrato da precedenti studi di psico-linguistica, per individuare le diverse parole chi ascolta un discorso utilizza un meccanismo statistico chiamato Tp (ovvero Transational Probability). Tale strumento è basato sul principio che ci sia una maggiore probabilità che ad alcuni suoni ne seguano determinati altri. Per esempio, è più probabile che dopo il suono “elefan” si abbia la sillaba “te” piuttosto che “ca”. Calcoli che il nostro cervello esegue normalmente non solo con le parole, ma anche con le note, le immagini e via dicendo. Nello studio, pubblicato sull’ultimo numero di Psychological Science, i ricercatori sostengono la tesi secondo cui in tale meccanismo consonanti e vocali giocherebbero un ruolo differente: le consonanti servirebbero principalmente a individuare le parole, mentre le vocali veicolerebbero le informazioni grammaticali. I parlanti di una lingua quindi sarebbero sensibili a questa differenza, utilizzando calcoli probabilistici per identificare le parole, ma non le regole grammaticali espresse all’interno di queste. “Alcuni studiosi prima di noi hanno concluso che si potrebbe imparare un linguaggio semplicemente sfruttando queste sorprendenti capacità statistiche. Nello studio noi invece ci siamo concentrati sugli eventuali limiti di tali capacità computazionali che il linguaggio impone al sistema di calcolo statistico” dice Luca Bonatti, uno dei ricercatori della Sissa di Trieste che ha partecipato al lavoro. La ricerca è stata realizzata su decine di parlanti francesi e la scelta della lingua non è stata casuale: questi esperimenti, infatti, sono possibili solo con idiomi che possiedono molti suoni vocalici, come il francese che ne ha sedici. “Si sa che gli esseri umani possono eseguire computazioni statistiche in moltissimi domini. Tuttavia, sembrano incapaci di fare questi calcoli sulle strutture vocaliche. Ciò sembra indicare una specie di divisione del lavoro delle risorse mentali imposta dai centri del linguaggio sul funzionamento generale del cervello. È come se i centri linguistici dicessero ad altre parti del cervello: queste cose non toccarle perché servono a me”. La teoria funzionerebbe esclusivamente all’interno di sistemi linguistici. In organismi come i primati non umani che non possiedono il linguaggio, e dunque né vocabolario né grammatica, infatti succederebbe esattamente il contrario: “Altri ricercatori hanno notato che nelle scimmie questi calcoli vengono effettuati sulle vocali, che per loro sono solo semplici suoni e non pacchetti di informazione con valenza grammaticale”, spiega Bonatti. “E le consonanti, invece, sono ignorate da un punto di vista computazionale, perché non vengono considerate come articolazioni a valenza lessicale”.  
     
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