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Notiziario Marketpress di
Giovedì 14 Luglio 2005
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TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE ALLOGENICHE: COME RIDURRE LA MORTALITÀ PER OFFRIRE UNA PROCEDURA CURATIVA AD UN NUMERO MAGGIORE DI PAZIENTI ONCO-EMATOLOGICI |
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Milano, 14 luglio 2005 - E’ stata presentato in anteprima nazionale a Milano il risultato di uno studio multicentrico che consente di ampliare con notevoli ricadute sociali la cura a persone di età avanzata che prima si riteneva di non poter curare dal tumore. “Questo studio multicentrico da me coordinato”, dice il Professor Paolo Corradini, Direttore del Dipartimento di Medicina Oncologica, Istituto Nazionale dei Tumori, Università di Milano, “ha una ricaduta notevole sul sociale, in quanto, in una società che invecchia e in cui di tumore si vive, contrariamente agli anni passati è possibile curare chi è affetto da questa patologia in età avanzata”. Il trapianto allogenico rappresenta un’applicazione concreta dell’uso di cellule staminali somatiche (20.000 trapianti nel 2003 in Europa). Globalmente il 50% dei pazienti con malattie onco-ematologiche viene guarito dal trapianto. Tuttavia le alte dosi di chemio-radioterapia che vengono utilizzate nei regimi di condizionamento pre-trapianto, somministrate allo scopo di eradicare la patologia tumorale e di prevenire il rischio di rigetto, sono associate ad una elevata incidenza di mortalità peri-trapiantologica (40 – 50%). In particolare, il rischio di complicanze infettive e di reazioni immunologiche severe hanno limitato, per circa 25 anni, l’applicabilità delle procedure trapiantologiche a pazienti giovani (età <50 anni) ed in buone condizioni generali. Tuttavia, essendo l’età media di insorgenza delle neoplasie ematologiche attorno ai 60 anni, molti pazienti non potevano beneficiare del trattamento trapiantologico per guarire. A partire dalla fine degli anni ’90 abbiamo lavorato per disegnare nuovi protocolli di trapianto con regimi di condizionamento ad intensità ridotta, allo scopo di ridurre la tossicità extraematologica, pur preservando l’attività antitumorale. Per questo motivo abbiamo condotto uno studio multicentrico, prospettico su 150 pazienti sottoposti dal 1999 al 2004 ad un trapianto allogenico da donatore familiare Hla-identico. Scopo principale dello studio è stato valutare se l’età superiore a 55 anni o un pregresso trapianto autologo, potessero influenzare l’incidenza di mortalità trapiantologica come avviene nel trapianto con regime di condizionamento convenzionale. I pazienti sono stati prospetticamente suddivisi in due gruppi in base all’età: 90 pazienti avevano un’età inferiore a 55 anni, mentre 60 erano più anziani. I due gruppi avevano caratteristiche cliniche sovrapponibili in termini di: sesso, tipo di patologia (linfoma, leucemia mieloide, mielodisplasia, o mieloma multiplo), stato di malattia al trapianto, sorgente di cellule staminali e numero di pregresse terapie. Il tempo mediano di osservazione dopo il trapianto è stato di 30 mesi. La mortalità correlata al trapianto, proiettata a 4 anni, è stata del 13% per i giovani e del 19% per i pazienti più anziani (questa differenza non è statisticamente significativa). Aver effettuato un pregresso trapianto autologo ha influenzato la mortalità trapiantologica solo nella coorte sopra i 55 anni. In conclusione, i risultati dello studio indicano che il trapianto allogenico a ridotta intensità è una procedura fattibile con una mortalità limitata anche nei pazienti considerati fino a poco tempo fa non eleggibili alla procedura. I riflessi di ordine pratico per i pazienti sono di notevole importanza poiché viene data una opportunità di guarire anche a chi era escluso da questa procedura fino a poco tempo addietro.
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