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Notiziario Marketpress di Venerdì 15 Luglio 2005
 
   
  Web moda & tendenze  
  LA GLOBALIZZAZIONE DEL FASHION: IL MONDO DELLA MODA VERONESE SFIDA IL FUTURO  
   
  Se i prodotti cinesi invadono il mercato, le aziende del tessile-abbigliamento veronesi devono preparare risposte adeguate: riorganizzandosi in modo da puntare molto sui servizi forniti ai clienti e non solo sul prodotto finale; pensando allo sviluppo di un marchio, collettivo o individuale, per distinguersi dalla massa di produzioni conto terzi; puntando ai mercati esteri sui quali è il caso di sbarcare unendo le forze, in consorzio, distretto, per abbattere i costi fissi e mettere in comune, per esempio, i servizi informativi, distributivi, le spedizioni, la gestione della cassa. Ecco alcune delle ricette emerse mercoledì 6 luglio alla tavola rotonda "La globalizzazione del fashion" promossa a Mozzecane (Verona) dal Laboratorio delle Imprese del Banco Popolare di Verona e Novara, in collaborazione con il Consorzio della Moda di Verona, e il Distretto Verona Pronto Moda "In Italia molti grossisti hanno fatto la scelta di privilegiare prodotti importati, a basso prezzo", spiega Italo Martinelli, presidente Consorzio della Moda di Verona, "invece di continuare a puntare sulla qualità del prodotto italiano. Secondo me sbagliano. Ma noi dobbiamo reagire. Innanzitutto stando insieme, facendo massa critica. Valorizzando il made in Italy, l'etichetta di cui tanti, invece, quasi sembrano vergognarsi, applicandone una sempre più piccola sui capi. Aiutando le nostre aziende con un marchio collettivo: stiamo per lanciare Verona Epicentro Moda, che identifichi e certifichi la qualità dei nostri prodotti. Aggredendo i mercati esteri: il nostro consorzio sta per sbarcare a Shangai e a Mosca con show room e uffici di rappresentanza per affiancare tutte le imprese che vogliono andare a lavorare in quei paesi". Nella provincia di Verona, in base al Censimento industria e servizi del 2001, operano 1.131 imprese del settore tessile-abbigliamento, che impiegano 9.849 addetti. "Analizzando i dati", commenta Massimo Minolfi, direttore generale Banco Popolare di Verona e Novara, "ho notato che il livello di indebitamento delle imprese è piuttosto alto. Negli ultimi cinque anni, inoltre, il margine operativo lordo è calato in modo sensibile. C'è quindi un male congenito nella struttura del conto economico, va recuperata efficienza. Per questo il Laboratorio delle Imprese intende studiare con gli imprenditori le soluzioni migliori, favorendo ristrutturazioni, riorganizzazioni, innovazione e internazionalizzazione. Il mio suggerimento è comunque quello di non compiere l'errore di rispondere alla concorrenza, che aggredisce dal basso, arroccandosi sui prodotti ad alto valore aggiunto. Così, semplicemente, i competitor ci sottrarranno la nostra fascia, e nel giro di qualche anno saremo quasi tutti fuori dal mercato". Innovazione e politica di marchio sono le due parole d'ordine pure per Roberto Luison, presidente dell'Associazione nazionale tecnici industria abbigliamento, indicazioni che trovano una realizzazione concreta nella case history di Classico Italia. "Il consorzio è nato 19 anni fa per salvaguardare la produzione uomo classico", racconta Gianluigi Zaina, amministratore delegato di Avoncelli e vice presidente di Classico Italia, "poi abbiamo messo in comune una serie di servizi, evitando duplicazioni quando andavamo all'estero, e infine abbiamo creato una insegna unica, quella di Classico Italia, che ci consente di avere vetrine nel mondo abbattendo molti costi fissi". La buona volontà degli imprenditori veronesi deve però essere affiancata da politiche macro che non li lascino spiazzati di fronte alla concorrenza straniera. "I nostri politici", dice Antonio Bonazzi, esponente del noto gruppo tessile Bonazzi e presidente sezione tessile Assindustria Vicenza, "non ci danno una visione, non dettano una linea. L'india ha dazi altissimi sulle nostre produzioni e lo stesso fa la Cina, nonostante sia entrata nel Wto. Dobbiamo giocare ad armi pari, altrimenti è una battaglia persa in partenza. E' l'Europa che sembra non comprendere che il nostro è un modello in crisi". "Sono appena rientrato da un viaggio in India", conclude Tito Tacchella, del gruppo Carrera, "dove ho visto ricercatori da tutte le università del mondo, tranne che dall'Italia, che discutevano di nuove fibre, tessuti, tecnologie, qualità, innovazione. In India ci sono 250 milioni di persone che lavorano nel tessile, l'industria è già piuttosto moderna, hanno idee creative. Insomma, il made in Italy deve veramente ripensare alla sua organizzazione”.  
     
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