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Notiziario Marketpress di
Venerdì 02 Aprile 2004
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“PROGRESSI NELLA GIUSTA DIREZIONE” INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA ROMANO PRODI AL PARLAMENTO EUROPEO |
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Strasburgo, 2 aprile 2004. “Signor Presidente, Onorevoli parlamentari, Il progetto di integrazione europea è nato come un progetto di pace. Nel corso di mezzo secolo gli obiettivi di pace si sono evoluti e stabilizzati, così come è cambiato profondamente il contesto mondiale. Oggi tutti i protagonisti dell’Europa unita condividono alcuni principi di fondo. Far parte dell’Unione significa: rispettare i diritti fondamentali della persona, regolare la vita pubblica in democrazia seguendone i processi e significa anche costruire e difendere il nostro modello di sviluppo economico e sociale. Negli ultimi tempi ho pensato spesso a questi principi riflettendo sulle sfide interne ed esterne per la nostra Unione; anche perché, di fronte a così terribili minacce, cerchiamo spontaneamente dei punti di riferimento. Il Consiglio europeo che si è chiuso sabato scorso a Bruxelles ha seguito lo stesso istinto. Come sapete, il Consiglio di primavera è il punto focale della governance economica dell'Unione. Tuttavia, i recenti avvenimenti hanno cambiato profondamente l’agenda dei lavori. Primo fra tutti, naturalmente, gli attentati di Madrid dello scorso 11 marzo, sull’onda dei quali il Consiglio ha adottato una serie di misure per garantire la nostra sicurezza contro la minaccia del terrorismo. L’attacco ha colpito direttamente cittadini inermi. Ancora una volta, è a loro e alle famiglie delle vittime che vanno i nostri primi pensieri. Ma l’onda provocata dagli attentanti ha toccato tutti gli europei. Ci ha toccato sul piano personale e ha toccato le nostre istituzioni civili e politiche. Quella del terrorismo è la peggiore sfida mai lanciata dal dopoguerra a oggi contro i principi democratici e civili che regolano la vita pubblica e contro le nostre società basate sul rispetto dei diritti dell'uomo, delle libertà individuali e dei diritti delle minoranze. Posso riferire con soddisfazione a questa Assemblea che il Consiglio ha deciso di fronteggiare questa minaccia con la massima determinazione. La Dichiarazione approvata a Bruxelles non lascia alcun dubbio: gli Stati membri dell’Unione hanno fatto fronte comune e condividono l'obiettivo della completa eradicazione del terrorismo. Accolgo con estremo favore le misure di coordinamento e di unificazione dei sistemi di intelligence, di polizia e di sicurezza decise lo scorso fine settimana. In questa fase, si tratta del massimo livello di coordinamento possibile delle risorse tecniche ed umane. Non era infatti possibile, in questa fase storica, creare un’unica agenzia europea di sicurezza. Sono tuttavia convinto che questo sia solo il primo passo verso un’integrazione sempre maggiore. In prospettiva, l’obiettivo è la creazione di strutture operative comuni a livello europeo. Ma la cosa più importante è che gli europei hanno capito che la forza da sola non basta per sconfiggere il terrorismo. Ci vuole la forza e ci vuole l’intelligenza per capire e risolvere le cause di fondo. A fianco dell'opzione militare e della repressione, occorre perseguire con altrettanta decisione anche le strade della politica. Ed entrambe le opzioni vanno perseguite in chiave multilaterale: gli approcci unilaterali non sono più sufficienti. In primo luogo, come afferma solennemente la Dichiarazione, ciò significa rafforzare il legame di reciproca fiducia tra Europa e Stati Uniti, che è già stretto e leale. Senza questa forte alleanza non c’è speranza di portare e mantenere la pace nel mondo. Inoltre è fondamentale garantire alle Nazioni Unite un ruolo centrale e la necessaria credibilità. L’onu deve essere coinvolta attivamente negli interventi sul terreno e nei progetti politici mirati a restituire stabilità alle regioni in crisi. L’unione, da parte sua, deve sfruttare l’esperienza di pacificazione e di dialogo accumulata in quasi mezzo secolo di vita. Il nostro contributo deve coinvolgere e mobilitare le risorse di tutti i paesi al fine di isolare i gruppi di terroristi al loro interno. L’obiettivo è sottrarre al terrorismo la linfa vitale, e ciò significa impedire il reclutamento e tagliare qualsiasi appoggio tecnico, logistico e finanziario. Ma il terrorismo ha anche una componente ideologica, per quanto aberrante, e un suo progetto politico. E quindi occorre affrontare le situazioni di crisi che dividono il mondo e ne minacciano la stabilità. In primo luogo, bisogna cercare una soluzione al conflitto israelo-palestinese. Questa è la priorità delle priorità. Il successo della nostra strategia contro il terrorismo internazionale dipende dalla pace in Medio Oriente. Inoltre, dobbiamo cercare strade nuove per trovare uno sbocco alla situazione in Iraq. Tutte le iniziative, politiche e militari, devono essere finalizzate a riportare le Nazioni Unite al centro della complessa partita che si gioca in quel paese. E naturalmente l’obiettivo è quello di restituire l'Iraq agli iracheni nel più breve tempo possibile garantendo la sicurezza, l’indipendenza e il massimo livello di espressione democratica. Onorevoli parlamentari, Come ho detto, il Consiglio di primavera è dedicato alla governance economica dell'Unione, e la sessione dedicata all’economia ha ulteriormente rafforzato questo ruolo. Da qualche anno, l’economia europea è in difficoltà e anche questo minaccia una delle colonne della nostra Unione; cioè il nostro modello economico e sociale. Quattro anni fa, a Lisbona, l’Unione ha deciso che per mantenere e sviluppare i nostri modelli di vita dovevamo mettere mano a una riforma profonda dei nostri sistemi economici. Le conclusioni dell’ultimo Consiglio dimostrano che c’è una larghissima convergenza sull’analisi delle cose da fare contenute nella relazione che la Commissione ha presentato lo scorso gennaio. Siamo tutti d’accordo sul benchmarking, sul coordinamento e sulle priorità per favorire la crescita e la competitività. Ormai le ripetiamo da anni: abbiamo bisogno di investire in ricerca, sviluppo e nelle risorse umane. Tuttavia, trovarsi d’accordo sulle cose da fare non basta: perché ci vogliono anche un impegno serio e gli strumenti per farle davvero. Mi dispiace riferire che non si è riusciti finora a passare dalle parole ai fatti. La maggior parte delle decisioni che abbiamo preso assieme non si è tradotta in azioni concrete a livello degli Stati membri e non c’è stato il previsto spostamento di risorse verso quegli investimenti che tutti consideriamo necessari. Queste incertezze e la limitatezza degli impegni finanziari sono la dimostrazione di due problemi di fondo del sistema di governance dell’economia europea. Da una parte manca al processo di Lisbona un punto di autorità forte a livello comunitario, che è l’unico modo per coordinare le azioni. Dall’altra, bisogna fare i conti con la dinamica delle organizzazioni politiche moderne. Gli investimenti nelle risorse umane e nella conoscenza, che tutti consideriamo indispensabili, danno un ritorno in tempi molto lunghi. Le tendenze della politica privilegiano invece sempre di più le azioni che producono un ritorno visibile prima della fine del ciclo elettorale, che è molto più breve. A onor del vero, occorre dire che alcuni Stati membri hanno iniziato riforme importanti e anche dolorose, dimostrando responsabilità, lungimiranza e coraggio politico. Il Consiglio ha riaffermato la necessità di continuare su questa strada perché tutti hanno capito che in gioco c’è il futuro dell’Europa. Mi auguro che stavolta le riforme avviate vengano portate a termine e che vengano estese al campo della conoscenza, dell’istruzione e della ricerca. Nell’immediato, sembra che si sia trovata la volontà politica di concretizzare rapidamente l’Iniziativa europea per la crescita, che comprende un elenco di progetti quickstart nella ricerca e sviluppo, nei trasporti, nell'energia e nelle tecnologie dell'informazione. Si tratta di interventi ben definiti e già approvati dal Consiglio europeo che possono partire tutti rapidamente. Occorrono progressi reali già a partire da quest'anno e occorre chiudere entro il prossimo il deficit di trasposizione in legge nazionale delle direttive di Lisbona. Onorevoli parlamentari, Chiuderò il mio intervento con la Costituzione europea. Abbiamo visto che le sfide esterne--come la minaccia del terrorismo--e le sfide interne--come l’incerto andamento dell’economia europea--mettono a rischio i pilastri su sui si regge la nostra casa comune. In questi momenti difficili dobbiamo mettere da parte le divergenze e dare all'Unione europea i mezzi necessari per costruire un quadro di cooperazione più solido che ci permetta di decidere insieme e di mettere in comune le nostre risorse. Non facciamoci illusioni, le sfide dell’Europa di oggi si possono affrontare solamente se restiamo uniti; nessun paese europeo, per quanto grande e potente, ha i mezzi sufficienti per farcela da solo. Su questo versante, il Consiglio di primavera ci ha portato una buona notizia con la quale mi piace terminare oggi, anche per tener fede alla mia fama di inguaribile ottimista. Sono emerse a Bruxelles le condizioni per rilanciare in tempi brevi il negoziato sul Trattato costituzionale e arrivare a una conclusione entro la fine della Presidenza irlandese. E questo grazie allo straordinario lavoro di mediazione della Presidenza alla quale va il mio plauso e la mia ammirazione. Nelle ultime settimane erano arrivati segnali positivi da diversi governi che avevano dichiarato di essere pronti al compromesso. In Consiglio abbiamo avuto la conferma che le cose stanno andando finalmente per il verso giusto. Il nodo più difficile da sciogliere resta quello che ha determinato lo stallo precedente: le soglie necessarie per decidere a maggioranza qualificata. Ovviamente, non è una questione di percentuali ma di un fatto dal quale dipende il futuro del nostro processo di integrazione: l'Unione allargata deve essere in grado di prendere decisioni. Se la soglia necessaria per prendere una decisione a maggioranza è troppo alta, l'Unione non sarà più in grado di decidere--né sulla lotta al terrorismo, né sulla governance economica, né qualsiasi altro tema--perché un piccolo gruppo di paesi potrebbe bloccare qualunque proposta. E questo è il punto. Finora la discussione ha riguardato la dimensione di questa minoranza di blocco. Ma non si può impostare un dibattito di natura istituzionale pensando agli strumenti che gli Stati membri hanno per bloccare le decisioni. La discussione deve riguardare invece la questione opposta: quali sono gli strumenti migliori per decidere. Sulla scorta degli ultimi sviluppi, sembra scongiurato un altro fallimento: sembra proprio che avremo presto la nostra sospirata Costituzione. Tuttavia, lancio un appello perché il compromesso finale sia un compromesso alto, che permetta all’Unione allargata a 25 di funzionare in modo agile ed efficiente”.
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