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Notiziario Marketpress di Martedì 04 Maggio 2004
 
   
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  ROMANO PRODI PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA ALLARGAMENTO DELL'UNIONE E PROSPETTIVE DI CRESCITA NUOVE OPPORTUNITÀ ECONOMICHE PER IL CENTRO EUROPA  
   
  Trieste, 3 Maggio 2004 – “ Signore e signori, Il progetto di integrazione europea è un progetto antico con profonde radici politiche, culturali e storiche. Da molti secoli noi europei sogniamo di dare una forma concreta al nostro diffuso sentimento di appartenenza comune. In questi anni, per la prima volta nella storia, stiamo riuscendo a unificare il continente in pace e in democrazia. Da domani, 75 milioni di persone in dieci nuovi Stati saranno a tutti gli effetti nostri concittadini europei. Anche se si tratta del più grande allargamento della nostra storia, quella di domani resta una tappa del processo, che in futuro coinvolgerà altri paesi. Sulla Turchia, il Consiglio dovrà decidere fra breve, mentre Bulgaria e Romania, salvo imprevisti, entreranno nell'Unione nel 2007. Per la Croazia, la Commissione ha appena raccomandato di dare il via ai negoziati di adesione e abbiamo già ricevuto la candidatura della Macedonia. Questi ultimi sviluppi mi fanno particolarmente piacere e non lo dico perché ci troviamo così vicini alla Croazia. Ho detto spesso che l'unificazione del continente non sarà completa finché non comprenderà tutta la regione dei Balcani. Ecco quindi che vedo nella Croazia e nella Macedonia il primo passo di questo cammino che piano piano coinvolgerà tutti i paesi della regione, ciascuno secondo il suo ritmo. Io penso che l'allargamento sia il capolavoro politico dell'Unione. Non dimentichiamo che non molto tempo fa una cortina di ferro correva da "Stettino nel Baltico a Trieste nell'Adriatico"--e questa sera assisterò al crollo simbolico del suo ultimo frammento. Nel 1989, i leader dell'Europa occidentale hanno capito che si era aperto uno spiraglio per portare pace, stabilità e prosperità a tutto il continente. A loro e alle istituzioni comunitarie va il merito di aver costruito in brevissimo tempo una politica coerente da proporre alle nuove realtà che sorgevano dal crollo del blocco sovietico. Ma da allora il lavoro più impegnativo è toccato proprio ai paesi che domani entreranno nella nostra Unione. In pochissimi anni, tutti i nuovi Stati membri hanno coperto una distanza gigantesca. La storia ricorderà il loro cammino in questi anni come una marcia epica. Abbiamo assistito a una rivoluzione silenziosa e paziente che ha trasformato interamente la struttura statale, politica ed economica di questi paesi. Da Tallinn a la Valletta, i nostri nuovi concittadini hanno saputo costruire un'economia di mercato e una società aperta e democratica secondo i severi standard che avevamo definito nel 1993. Certo, i criteri per l'adesione--che sono criteri politici, economici e giuridici--hanno guidato questo sviluppo; ma una cosa è indicare una meta, tutt'altra cosa è mettersi in cammino e raggiungerla. Devo confessare che quello che ho visto nei paesi dell'allargamento sarà il ricordo più intenso e commovente di questi anni passati a Bruxelles come Presidente della Commissione. I loro parlamenti hanno lavorato, si può dire, giorno e notte per trasporre in legislazione nazionale tutta la massa di norme e leggi comunitarie che noi abbiamo sviluppato in diversi decenni. Proprio in uno di questi parlamenti ho ascoltato la più bella definizione dell'Unione europea. Mi trovavo a Bucarest quando un parlamentare mi ha detto che si sentiva sicuro del rispetto delle minoranze perché nell'Unione nessun popolo, per quanto grande, è in maggioranza. Questo parlamentare mi ha fatto capire che l'Unione europea è una Unione di minoranze. Si tratta di un fatto importante perché costituisce la miglior garanzia per conservare e sviluppare l'identità di tutte le popolazioni associate nell'Unione. Tutti i nuovi Stati membri meritano il nostro plauso e la nostra ammirazione. Ma da questa città voglio rivolgere un saluto particolare alla vicina Slovenia, che--a parte il caso di Cipro--è il paese aderente con il più alto reddito pro capite. Vedo nella Slovenia la continuità fra le regioni dell'Europa dei 15 e le realtà socio-economiche dei nuovi Stati membri. E vedo il suo ruolo come quello del paese che potrà aprire la strada dello sviluppo e dell'integrazione economica a tutti gli altri. Questa considerazione ci riporta al tema dell'incontro di oggi. È chiaro infatti che l'allargamento porta con sé grandi opportunità di produzione, di scambi commerciali e di investimento--e non solo per il Centro Europa. Le riforme politiche ed economiche realizzate nei nuovi Stati membri e l'attuazione del diritto comunitario creano un ambiente favorevole per gli investimenti e per l'attività economica. Anche se i nuovi paesi sono più poveri della media europea attuale, la loro economica è in rapida espansione. Negli ultimi anni il tasso di crescita medio dei 12 candidati è stato del 4,2%--uno dei più alti al mondo. Anche per il futuro il potenziale di crescita resta molto alto e l'allargamento riuscirà a catalizzare questo potenziale trasformandolo in sviluppo effettivo. I nuovi paesi godranno di un'allocazione delle risorse più efficiente, di più investimenti e di maggiore produttività. Si prevede anche un forte sviluppo dei mercati finanziari che però non sarà caotico ma sarà ordinato e regolato dalla legislazione europea. Il reddito pro-capite convergerà gradualmente sui livelli attuali dell'Unione e questa rincorsa sarà favorita dall'abbondanza di lavoratori qualificati e dalla modernizzazione delle infrastrutture. Certo, molto dipende dalla capacità di ciascun paese di sfruttare queste opportunità, ma prevediamo che nel decennio in corso l'allargamento porterà ai nuovi Stati membri un tasso di crescita supplementare attorno al due per cento annuo. L'allargamento non sarà un'opportunità economica solamente per i nuovi paesi. Esso contribuirà anche alla crescita dei 15 membri attuali dell'Unione. Tuttavia, dato il peso ridotto delle economie dei nuovi paesi, non si tratterà di un effetto enorme dal punto di vista quantitativo. Il Pil di tutti i 12 paesi candidati all'Unione, presi nel loro complesso, è vicino a quello dell'Olanda. Inoltre c'è da dire che l'impatto dell'allargamento non sarà distribuito in modo uniforme su tutto il territorio dell'Unione. I vantaggi maggiori si sentiranno proprio nei paesi del Centro Europa. In paesi come Germania, Austria e Italia calcoliamo che la crescita aggiuntiva dovuta all'allargamento potrà arrivare a mezzo punto percentuale l'anno. Sono certo che non sfuggirà a nessuno in questa città il senso politico e ideale di questi sviluppi. Fino a oggi, città come Trieste e Gorizia hanno pagato un prezzo per essere città di confine. Da domani, le stesse città avranno il vantaggio di trovarsi al centro di una enorme zona di scambio e di sviluppo. E questo, signore e signori, è il senso dell'Europa unita: trasformare i confini da linee di divisione a linee di unione. Oltre agli effetti diretti, l'impatto maggiore dell'allargamento nel tempo verrà dall'estensione del mercato interno. Domani nasce un mercato unico nel quale vivono e lavorano quasi mezzo miliardo di persone, un mercato caratterizzato da inflazione bassa, buona disciplina fiscale e alto potenziale di crescita. Nell'epoca della globalizzazione, questo mercato interno è il nostro vero capitale e dobbiamo fare di tutto per farlo fruttare. Ciò significa soprattutto che dobbiamo approfittare della spinta e dell'entusiasmo dell'allargamento per dare un nuovo impulso alla strategia di Lisbona. Come sapete, la strategia di Lisbona è nata quattro anni fa per riformare l'economia dell'Unione, trasformandola nell'economia della conoscenza più dinamica del mondo e per generare più crescita e più occupazione. Dopo quattro anni, i progressi, che pure si vedono, non sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati. Sembra che gli Stati membri non si rendano conto di quanto sia vicino il traguardo del 2010 e che stiamo perdendo il treno. Signore e signori, Negli ultimi tempi abbiamo sentito diverse voci mettere in guardia i cittadini contro i rischi dell'allargamento. I rischi sono insiti in ogni impresa umana. Ma noi alla Commissione ci siamo preparati a dovere e lo stesso hanno fatto in tutti i nuovi Stati membri. Questo è l'allargamento meglio preparato della nostra storia. In realtà le voci che denunciano i rischi dell'allargamento per l'occupazione e per la delocalizzazione hanno un altro obiettivo. Esse cercano di imputare a questo allargamento alcune situazioni sociali ed economiche che in questo momento preoccupano i cittadini e gli elettori. Ma, come abbiamo visto, se è vero che la disoccupazione e la deindustrializzazione sono problemi reali, la loro causa non è certo l'allargamento. Anzi, come ho dimostrato prima, un mercato interno di mezzo miliardo di persone farà bene alla nostra economia. Nel mondo globalizzato, la chiusura al nuovo e la difesa delle posizioni acquisite sono una strategia perdente. Il progetto di integrazione europea è la nostra riposta alla globalizzazione; l'allargamento di domani e quelli che seguiranno nei prossimi anni rendono questa risposta più forte e convincente. Non possiamo illuderci di arrestare la dinamica storica della globalizzazione, sarebbe come ribellarsi alle leggi di natura. Però, se restiamo uniti, possiamo imbrigliare le sue forze e metterle al servizio dei nostri interessi e dei nostri princìpi. L'integrazione europea serve a gestire la globalizzazione in modo democratico e pacifico. E tutti ci riconoscono che è l'unico tentativo riuscito al mondo. Non facciamoci illusioni: l'Europa potrà mantenere i suoi livelli di prosperità, difendere i suoi valori fondamentali e affermare la sua indipendenza nel mondo solo se sarà capace di riunire tutto il continente in pace e in democrazia. “  
     
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