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Notiziario Marketpress di Giovedì 06 Maggio 2004
 
   
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  LA FINANZA SPECIALIZZATA PER IL TERZO SETTORE PRESENTATA IN ABI LA RICERCA CURATA DAL CENTRO DI RICERCHE SULLA COOPERAZIONE DELL’UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO  
   
  Roma, 6 maggio 2004 - Il 77% delle organizzazioni che operano nel terzo settore ha una propria banca di riferimento; il 60% è pienamente soddisfatto del rapporto con le banche, il 37% vorrebbe migliorare alcuni aspetto ed il 3% si dichiara insoddisfatto. I servizi più utilizzati sono il conto corrente per gestire le esigenze di tesoreria e i finanziamenti a breve termine, ma cresce anche il ricorso a soluzioni innovative come l’home e il corporate banking e gli incarichi di consulenza. Non esiste un problema di razionamento del credito, mentre i tassi di interesse sui prestiti e le garanzie necessarie per ottenerli sono gli argomenti più sentiti dalle organizzazioni del terzo settore. È questa la fotografia che emerge dalla ricerca “La finanza specializzata per il terzo settore”, curata dal Centro di ricerche sulla cooperazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e coordinata da Francesco Cesarini e Gian Paolo Barbetta, in corso di pubblicazione presso Bancaria Editrice, la casa editrice dell’Abi. La ricerca si inserisce nel progetto Equal Quasar – Qualità per i sistemi a rete di imprese sociali – realizzato da Asseforcamere, Aster-x Società Consortile per il Terzo Settore, Censis, Istituto G. Tagliacarne, con il contributo di Banca Intesa. Il volume sarà distribuito in 3 mila copie alle organizzazioni del Forum del Terzo settore, grazie alla collaborazione di Cartasi. Il rapporto indica anche la strada da seguire per il futuro: affiancare al grande sviluppo degli strumenti specializzati in “finanza etica” che si sta verificando di recente, la maggiore diffusione di nuovi strumenti per facilitare il trasferimento di risorse economiche al terzo settore, creare nuovi attori specializzati nel finanziamento al terzo settore e creare le possibilità, sia sul piano delle regole che degli strumenti, di utilizzare il capitale di rischio oltre a quello del credito da parte delle organizzazioni del terzo settore. Di questo tema si è discusso nel corso del convegno che si è tenuto oggi in Abi e che si svilupperà in futuro con una serie di nuove iniziative. Ecco, più nel dettaglio, i principali risultati della ricerca. Il terzo settore in Italia Il terzo settore ha raggiunto in Italia dimensioni ragguardevoli (quasi il 3% dell’occupazione nazionale stando ai dati Istat, relativi però al 1999), anche se non ancora paragonabili ai paesi anglosassoni e ad altre realtà dell’Europa continentale. L’attività è concentrata prevalentemente nei servizi alla persona e alla comunità ed è svolta quasi esclusivamente da organizzazioni di dimensioni piccole e medio-piccole che vivono grazie alla presenza determinante di operatori volontari e che operano una redistribuzione di risorse più che una vera e propria produzione di valore aggiunto. Tra i fattori che ne frenano la crescita c’è – stando ai risultati della ricerca – innanzitutto il desiderio fortemente avvertito tra gli operatori di preservare le caratteristiche tipiche dell’organizzazione nonprofit rispetto a quelle delle imprese a fini di lucro. A questo si aggiunge una normativa che presenta ancora ampi margini di miglioramento verso il settore, la presenza preponderante dell’operatore pubblico come fornitore di servizi e la carenza di adeguate capacità imprenditoriali. Margini di miglioramento ci sono anche per quanto riguarda le caratteristiche organizzative della propria struttura, la gestione finanziaria e, quindi, il rapporto con il mondo del credito..La struttura organizzativa e la gestione finanziaria Dalla ricerca emerge inoltre che buona parte delle nonprofit non utilizza risorse esterne per la gestione finanziaria (70% dei casi, percentuale che sale all’80 per la gestione degli investimenti finanziari). La gestione della tesoreria e quella creditizia spesso sono affidate ad un responsabile che generalmente si occupa di entrambe ma non mancano numerosi casi in cui nell’organizzazione nessuno si occupa formalmente della gestione degli investimenti finanziari (29%) e delle risorse patrimoniali (12%). Generalmente l’unica forma di consulenza esterna è il ricorso ad un commercialista, ma la metà degli intervistati ritiene migliorabile la gestione dell’area finanziaria. Il terzo settore e le banche: banca specializzata o banca tradizionale? A quali banche si rivolgono le organizzazioni del terzo settore? Il 77% delle organizzazioni che operano nel terzo settore ha una propria banca di riferimento. Undici su cento si rivolgono a banche e operatori specializzati in finanza etica, un altro 11% alle banche di credito cooperativo, mentre la grande maggioranza, il 74%, ha rapporti con una banca di tipo tradizionale [vedi grafico 1]. Tra i motivi che spingono a scegliere una banca tradizionale, giocano un ruolo fondamentale l’esistenza di buoni rapporti personali e la sua importanza sul territorio. Quando la scelta ricade sulle banche di credito cooperativo, invece, la motivazione principale è la possibilità di ottenere condizioni migliori, mentre chi sceglie la banca specializzata lo fa, oltre per le condizioni economiche, perché preferisce confrontarsi con un soggetto con cui si condividono le finalità sociali [vedi grafico 2]. Un rapporto positivo Il 60% delle organizzazioni del terzo settore è pienamente soddisfatta del rapporto che ha con le banche, il 37% vorrebbe migliorare alcuni aspetti e solo il 3% si dichiara insoddisfatta. Il rapporto migliore è con le banche di credito cooperativo (8 organizzazioni su 10 sono pienamente soddisfatte), seguite dalle banche specializzate (63% di pienamente soddisfatte), e dalle banche tradizionali (53%) [vedi grafico 3]. La fotografia del credito La ricerca evidenzia che non esiste un problema di razionamento o di carenza dei finanziamenti (anzi, proprio l’adeguatezza del credito da parte delle banche è indicata come uno degli elementi positivi nel rapporto con le banche). Laddove le organizzazioni del terzo settore evitano di far ricorso al credito, non è per la difficoltà di accedervi bensì una scelta consapevole che li porta a finanziare diversamente i propri investimenti. La struttura di bilancio delle organizzazioni del terzo settore è caratterizzata da un modesto livello di patrimonializzazione (con la rilevante eccezione delle cooperative sociali che presentano invece la caratteristica opposta) e perciò non sono molto propense ad investire somme ingenti. Gli investimenti più frequenti sono l’acquisto di automezzi ed attrezzature, di solito nella fase iniziale dell’attività, o l’acquisto e la ristrutturazione di immobili. Le modalità di finanziamento sono di tipo prevalentemente conservativo (autofinanziamento attraverso gli utili accantonati o ricorso alle istituzioni pubbliche) [vedi grafico 4]. Le modeste dimensioni patrimoniali e la percentuale piuttosto elevata di fatturato proveniente dalla pubblica amministrazione, che ha tempi più lunghi per i pagamenti, causano spesso difficoltà nei flussi di cassa per sopperire alle quali le organizzazioni da un lato cercano di ritardare i pagamenti ai fornitori e ai lavoratori, dall’altro si rivolgono alle banche per ottenere credito a breve. Ma su quali aspetti una organizzazione del terzo settore che chiede un prestito in banca chiede maggiore attenzione? Le problematiche sono differenti a seconda del diverso tipo di banca. Per chi ha rapporti con una banca tradizionale, la ricerca evidenzia che l’argomento più sentito è quello dei tassi di interesse applicati. Negli altri casi, invece, sono le garanzie richieste per ottenere il finanziamento. In pratica, mentre le banche di credito cooperativo e le banche etiche vengono incontro alle organizzazioni del terzo settore con tassi di interesse più bassi ma.Chiedendo maggiori garanzie per erogare i finanziamenti, le banche tradizionali scontano il rischio con un prezzo più elevato del prestito ma con minori garanzie. Il ruolo dei Consorzi fidi Essere una organizzazione nonprofit spesso non contribuisce ad ottenere condizioni privilegiate da parte delle banche. Ciò accade nel 23% dei casi, in cui le condizioni migliori riguardano i tassi più contenuti per i prestiti e le remunerazioni più elevate per i depositi sul conto corrente. Tuttavia, da parte delle organizzazioni del terzo settore è emerso un interesse ancora contenuto verso la possibilità di associarsi ad un consorzio di garanzia fidi: meno della metà (il 43%) dichiara di avvertire questa necessità, mentre negli altri casi questo passo è giudicato non utile, almeno nella situazione attuale dell’organizzazione. Stenta dunque a farsi strada la consapevolezza che proprio la partecipazione ad un consorzio fidi potrebbe essere una soluzione al problema della richiesta delle garanzie da parte delle banche per i prestiti. [vedi grafico 5]. I servizi finanziari utilizzati Poco variegato è il panorama dei servizi finanziari cui le organizzazioni del terzo settore fanno ricorso. I più diffusi sono le polizze assicurative, presenti nell’80% dei casi (ma bisogna tenere in conto, ad esempio, che l’assicurazione è obbligatoria per i volontari). Passi avanti, di recente, sta facendo la diffusione dei servizi di home banking e di corporate banking. Tra i meno utilizzati, invece, i servizi di gestione della tesoreria. Mentre, per quanto riguarda i servizi non ancora diffusi ma che le stesse organizzazioni indicano come potenzialmente interessanti, spiccano i prodotti di previdenza integrativa, il supporto per le operazioni di finanza straordinaria e i servizi di consulenza [vedi grafico 6]. La strada per il futuro In Italia stanno avendo un grande sviluppo gli strumenti specializzati in “finanza etica” (dai conti correnti fino ai fondi di investimento specializzati). Grazie alla recente affermazione di intermediari finanziari specializzati e al tradizionale ruolo delle banche di credito cooperativo, il problema del credito al terzo settore viene affrontato con strumenti più adeguati. Ma, stando ai risultati della ricerca, è indispensabile imprimere una accelerazione allo sviluppo di strumenti per facilitare il trasferimento di risorse economiche al terzo settore (come ad esempio le obbligazioni etiche previste dalla legge sulle Onlus). La strada da seguire per il futuro riguarda dunque la creazione di nuovi attori specializzati nel finanziamento al terzo settore così da moltiplicare le modalità di intervento, l’ideazione di strumenti – in primo luogo legislativi – che consentano di utilizzare il capitale di rischio oltre a quello del credito, un ulteriore sviluppo di competenze specialistiche da parte delle banche tradizionali, l’avvio di partnership per scambiarsi competenze.  
     
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