Pubblicità | ARCHIVIO | FRASI IMPORTANTI | PICCOLO VOCABOLARIO
 







MARKETPRESS
  Notiziario
  Archivio
  Archivio Storico
  Visite a Marketpress
  Frasi importanti
  Piccolo vocabolario
  Programmi sul web




 


LUNEDI

PAGINA 1 PAGINA 2 PAGINA 3 PAGINA 4 PAGINA 5 PAGINA 6 WEB E DIRITTO PER LE NUOVE TECNOLOGIE
Notiziario Marketpress di Lunedì 04 Maggio 2009
GIORNATA DELL’INFORMAZIONE  
 
Sabato 9 maggio si terrà in tutt’Italia la Giornata dell’informazione. L’iniziativa è stata varata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti d’intesa con i Consigli regionali. Sarà una giornata di riflessione e proposte su tematiche fondamentali e attuali della professione giornalistica, a partire dal progetto di riforma dell’Ordine, approvato all’unanimità lo scorso ottobre 2008 dal Consiglio nazionale riunito a Positano .  
   
   
GIORNATA DELL’INFORMAZIONE: CONVEGNO A MILANO  
 
L’ordine dei giornalisti della Lombardia, in occasione della Giornata dell’informazione, ha organizzato per sabato 9 maggio, ore 10. 00, nella Sala Montanelli al Circolo della Stampa un dibattito dal titolo “Una professione tra riforme e censure”. La giornata dell’informazione diventa tanto più importante nel momento in cui si sta vivacemente discutendo, in tutto il Paese, del problema delle intercettazioni, della privacy in relazione a quanto concerne il lavoro dei cronisti nonché della Carta di Roma che prevede un Codice etico contro la xenofobia nei media e per il rispetto della dignità dei migranti. Al dibattito parteciperanno i giornalisti Alessandro Galimberti (Il Sole 24 Ore), che interverrà sul Disegno di legge per le intercettazioni, Marco Volpati (Ordine nazionale), che illustrerà il progetto di riforma dell’Ordine, Stefano Trasatti, tra i fondatori di Redattore sociale, e l’avvocato Caterina Malavenda, che parlerà di privacy e diritto di cronaca .  
   
   
CAMERA DI COMMERCIO DI RIMINI: INDICATORI CONGIUNTURALI  
 
In occasione della “7a Giornata dell’Economia”, presso la Sala Convegni della Camera di Commercio di Rimini (via Sigismondo 28), venerdì 8 maggio 2009 si svolgerà un incontro di presentazione di alcuni indicatori congiunturali al primo trimestre 2009, al fine di monitorare le dinamiche della crisi economica in atto. Parteciperà Manlio Maggioli, Presidente della Camera di Commercio di Rimini. La Giornata dell´Economia, realizzata annualmente dal sistema camerale per divulgare il grande patrimonio di informazioni economiche e statistiche delle Camere di Commercio, quest’anno è stata inserita nell´ambito dell´iniziativa della Commissione Europea "1st European Sme Week ’09" - Prima settimana europea delle Piccole e Medie Imprese 2009 - ideata per rafforzare e promuovere lo spirito imprenditoriale .  
   
   
CAMERE DI COMMERCIO REGIONALI DELL´EUROREGIONE ALPI MEDITERRANEO: NUOVA SEDE A BRUXELLES  
 
Lunedì 27 aprile, i Presidenti Ferruccio Dardanello (Unioncamere Piemonte), Jacques Bianchi (Paca Corse), Pierantonio Genestrone (Valle d’Aosta), Jean-paul Mauduy (Rhône-alpes) e Paolo Odone (Liguria) hanno inaugurato la nuova sede camerale comune a Bruxelles, in Rue du Trône 62. L’evento è collegato al disegno politico che ha visto le Autorità regionali di Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Provence Alpes Côte d’Azur Corse e Rhône-alpes siglare, il 18 luglio 2006, un Protocollo d’intesa che ha gettato le basi per la creazione dell’Euroregione Alpi Mediterraneo, con l’obiettivo di sviluppare partenariati interregionali e cooperazioni strategiche e di acquisire un ruolo di primo piano a livello europeo. Il mondo camerale dell’Euroregione Alpi Mediterraneo (34 Camere di commercio locali e 5 Unioni regionali) ha condiviso questo importante progetto politico, firmando, il 15 ottobre 2007, una Dichiarazione d’intenti finalizzata a rafforzare la collaborazione reciproca, con l’obiettivo finale di sviluppare la competitività del territorio e delle sue imprese. È così nato il progetto della condivisione di un’unica sede camerale a Bruxelles, che permetta una più stretta collaborazione sia istituzionale che operativa nel cuore dell’Europa. Tra le linee d’azione stabilite, anche la realizzazione di un rapporto economico annuale sull’Euroregione, nel tentativo di delinearne le caratteristiche del sistema economico e imprenditoriale, le peculiarità della popolazione residente, nonché la caratterizzazione territoriale dell’area stessa .  
   
   
DIRITTO D´AUTORE: IL PARLAMENTO EUROPEO ESTENDE A 70 ANNI DEI DIRITTI CONNESSI DEGLI ARTISTI INTERPRETI ED ESECUTORI  
 
Il Parlamento Europeo ha approvato con 377 voti a favore, 178 contrari e 37 astensioni l´estensione da 50 a 70 anni della durata dei diritti connessi degli artisti interpreti ed esecutori. Il termine si applica a partire dalla prima pubblicazione o prima fissazione dell´interpretazione, e vale solo per le nuove registrazioni. Il Parlamento ha approvato anche la costituzione di un fondo dedicato ai musicisti di studio, che sarà alimentato da almeno il 20% degli incassi di cui godranno i produttori di fonogrammi grazie all´estensione del termine di durata, e servirà a compensare tali artisti che generalmente cedono forfettariamente tutti i propri diritti al produttore di fonogrammi. Gli artisti possono rinegoziare i propri contratti conclusi prima dell´entrata in vigore di tale legge, 50 anni dopo la prima pubblicazione delle loro interpretazioni. Infatti se il produttore dopo i 50 anni dalla prima pubblicazione del fonogramma non lo rende di nuovo disponibile al pubblico, l´artista può chiedere la risoluzione del contratto discografico. Il produttore ha un anno per mettere a disposizione del pubblico il fonogramma, in caso contrario perde ogni diritto sullo stesso. Gli stati membri avranno due anni dall´entrata in vigore per adottare tale normativa, dopo tre anni la Commissione dovrà valutarne l´impatto nel mercato, soprattutto in quello digitale. Secondo il Presidente di Fimi, Enzo Mazza, "il voto del Parlamento europeo accoglie l´appello degli artisti e dei produttori europei e italiani confermando il valore della musica come importante risorsa della cultura europea".  
   
   
S.I.A.E.: PRECISAZIONE DELLA SULL´OBBLIGO DEL CONTRASSEGNO  
 
La S. I. A. E. Ha divulgato le istruzioni relative al contrassegno S. I. A. E. , il cui obbligo sui supporti fono, video e simili era venuto meno temporaneamente a seguito di una sentenza della Corte di Giustizia Europea dell´8 novembre 2007, ma che è stato ripristinato con il Dpcm n. 31 del 23 febbraio 2009, entrato in vigore il 21 aprile scorso. Molti produttori hanno continuato a richiedere alla S. I. A. E. I contrassegni, quali strumenti utili per la tutela del mercato e dei consumatori e per consentire alle Forze dell´Ordine la pronta individuazione dei prodotti legittimamente circolanti. Esistono tuttavia in commercio supporti regolarmente distribuiti anche se privi del bollino. Tali supporti sono stati quindi legittimamente immessi in circolazione e la loro vendita è da ritenersi lecita. Al solo fine di evitare possibili disagi agli esercenti che ne sono ancora in possesso ed ai consumatori, la S. I. A. E. È disponibile, su richiesta, a fornire gratuitamente e in tempi rapidissimi appositi contrassegni "sostitutivi" che attestino che il supporto è stato immesso in circolazione anteriormente alla entrata in vigore del Regolamento. Pertanto, in tutte le Sedi e le Filiali della Siae è possibile richiedere senza alcun onere tali contrassegni "sostitutivi" da apporre su quei supporti che sono stati prodotti o importati nel periodo in cui il contrassegno non era obbligatorio. Le richieste potranno essere inoltrate alla S. I. A. E. Sia attraverso gli uffici più vicini, sia via mail, consultando gli indirizzi sul sito www. Siae. It. S. I. A. E. , non appena svolte le necessarie verifiche, provvederà con urgenza alla consegna dei contrassegni tramite le proprie Sedi. Prosegue intanto regolarmente l´ordinaria fornitura dei contrassegni per la vidimazione dei supporti, secondo quanto stabilito dal citato decreto del 23 febbraio scorso .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: CONTRIBUTI MALATTIA VERSATI ALL´ESTERO  
 
La sentenza 23 aprile 2009 della Corte di giustizia nella causa C-544/07, Uwe Rüffler /Dyrektor Izby Skarbowej we Wrocławiu Ośrodek Zamiejscowy w Wałbrzychu, afferma che il diritto comunitario osta al rifiuto di ridurre l’imposta sul reddito in funzione dei contributi di assicurazione malattia versati in un altro stato membro. La limitazione del diritto alla riduzione, come quella prevista dalla normativa polacca, costituisce una restrizione non oggettivamente giustificata alla libertà di circolazione e di soggiorno. A norma della legislazione polacca soltanto i contributi di assicurazione malattia versati ad un organismo assicurativo polacco possono essere dedotti dall’imposta sul reddito. Dopo aver vissuto in Germania, ove svolgeva un’attività quale lavoratore subordinato, il sig. Rüffler si è stabilito in Polonia, dove egli risiede stabilmente dal 2005 come pensionato. All’epoca in cui è sorta la controversia, il sig. Rüffler disponeva, come suoi unici redditi, di due prestazioni di pensione percepite in Germania, cioè: di una pensione di invalidità tassata in questo stesso Stato e di una pensione aziendale versata dalla società Volkswagen, tassata nel territorio polacco. Nel corso del 2006, il sig. Rüffler ha chiesto all’amministrazione finanziaria polacca che l’imposta sul reddito di cui è debitore in Polonia a titolo della pensione aziendale da lui percepita in Germania fosse ridotta in funzione dell’importo dei contributi di assicurazione malattia da lui versati in Germania. Poiché la sua domanda è stata respinta, il sig. Rüffler ha proposto un ricorso dinanzi al Wojewódzki Sąd Administracyjny we Wrocławiu (tribunale amministrativo del voivodato di Wrocław) il quale sottopone alla Corte una questione sulla compatibilità della limitazione del diritto alla riduzione dell’imposta col diritto comunitario. La Corte ricorda anzitutto che un soggetto il quale, dopo essere stato collocato a riposo, lascia lo Stato membro di cui è cittadino e dove ha svolto tutta la sua attività lavorativa per stabilire la sua residenza in un altro Stato membro, esercita il diritto di libera circolazione e di libero soggiorno negli Stati membri conferito dal Trattato Ce a qualsiasi cittadino dell’Unione. La Corte sottolinea poi che le facilitazioni istituite dal Trattato in materia di circolazione non potrebbero invero dispiegare pienamente i loro effetti se un cittadino di uno Stato membro potesse essere dissuaso dal farne uso dagli ostacoli posti al suo soggiorno nello Stato membro ospitante a causa di una normativa nazionale che penalizzi il fatto che egli ne abbia usufruito. La Corte constata che una normativa quale quella prevista dal diritto polacco pone in essere una disparità di trattamento tra contribuenti residenti, a seconda che i contributi di assicurazione malattia deducibili dall’importo dell’imposta sul reddito dovuta in Polonia siano o no stati versati nell’ambito del regime nazionale di assicurazione obbligatoria di malattia. In applicazione di una siffatta normativa, soltanto i contribuenti i cui contributi di assicurazione malattia sono stati versati nello Stato membro di imposizione beneficiano del diritto alla riduzione dell’imposta. La Corte rileva che i contribuenti residenti che versano contributi al regime polacco di assicurazione malattia e quelli facenti capo ad un regime di assicurazione obbligatoria di malattia di un altro Stato membro versano in situazioni comparabili per quanto riguarda i principi di imposizione in quanto in Polonia entrambi sono soggetti ad un obbligo tributario illimitato. Pertanto l’imposizione dei loro redditi in tale Stato membro dovrebbe essere effettuata secondo gli stessi principi e quindi sulla base dei medesimi vantaggi fiscali, tra cui quello del diritto ad una riduzione dell’imposta sul reddito. La normativa nazionale di cui trattasi, in quanto subordina la concessione di un vantaggio fiscale a titolo dei contributi di assicurazione malattia alla condizione che questi ultimi siano stati versati ad un organismo polacco di assicurazione malattia ed implica il diniego di tale vantaggio ai contribuenti che hanno versato contributi ad un organismo facente capo ad un altro Stato membro, svantaggia i contribuenti che, come il sig. Rüffler, hanno esercitato la loro libertà di circolazione lasciando lo Stato membro dove hanno svolto tutta la loro attività professionale per stabilirsi in Polonia. La Corte ritiene che una limitazione del diritto alla riduzione dell’imposta sul reddito, come quella prevista in diritto polacco, costituisce una restrizione alla libertà di circolare e di soggiornare sul territorio degli Stati membri che non è obiettivamente giustificata. La circostanza per cui, da un lato, l’organismo tedesco di assicurazione obbligatoria copre solo le spese delle prestazioni effettivamente fornite al sig. Rüffler e, dall’altro, qualora quest’ultimo non benefici di prestazioni malattia, i suoi contributi non contribuiscono al finanziamento del regime polacco di assicurazione malattia, è al riguardo irrilevante. La Corte rileva che il fatto che le spese delle prestazioni sanitarie erogate a cittadini tedeschi residenti in Polonia siano rimborsate al Fondo sanitario nazionale polacco dall’organismo tedesco di assicurazione malattia competente risulta dall’applicazione della normativa comunitaria relativa al coordinamento dei regimi di previdenza sociale. Essa ricorda anche che il fatto che gli Stati membri non dispongano della facoltà di determinare quando debba applicarsi la propria legislazione o quella di un altro Stato membro, poiché essi sono tenuti ad osservare le disposizioni del diritto comunitario vigente, osta a che uno Stato membro miri in realtà, mediante misure fiscali, a compensare la mancata iscrizione al suo regime di previdenza sociale e la mancata riscossione dei contributi. La Corte conclude che uno Stato membro non può trattare in maniera meno vantaggiosa il soggiorno e l’imposizione dei contribuenti residenti che, sulla base della normativa comunitaria relativa al coordinamento dei regimi di previdenza sociale, versano contributi ad un regime di previdenza sociale di un altro Stato membro.  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: DIRITTI DEI CONSUMATORI - OFFERTE CONGIUNTE  
 
La sentenza 23 aprile 2009 della Corte di giustizia nelle cause riunite C‑261/07 e C‑299/07 - Vtb-vab Nv / Total Belgium Nv e Galatea Bvba / Sagoma Magazines Belgium Nv – afferma che il diritto comunitario osta ad una normativa nazionale che vieti, senza tener conto delle circostanze specifiche del caso di specie, qualsiasi offerta congiunta del venditore al consumatore. Gli Stati membri non possono adottare misure più restrittive di quelle definite dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, nemmeno per garantire un più elevato livello di tutela dei consumatori. La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, 2005/29/Ce, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/Cee del Consiglio e le direttive 97/7/Ce, 98/27/Ce e 2002/65/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (Ce) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio ha l’obiettivo di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori. Essa prevede un divieto generale delle pratiche commerciali sleali che possono alterare il comportamento economico dei consumatori. Essa stabilisce inoltre norme riguardanti le pratiche commerciali ingannevoli e aggressive. L’allegato I contiene peraltro un elenco delle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali. Dall’inizio del 2007, la Total Belgium, una controllata del gruppo Total che distribuisce carburante nelle stazioni di servizio, offre ai consumatori titolari di una tessera Total Club tre settimane di servizio di soccorso stradale gratuito per ogni rifornimento di almeno 25 litri di carburante per automobile o di 10 litri per ciclomotore. La Vtb, una società che fornisce servizi di soccorso ed assistenza stradale, ha proposto dinanzi al giudice nazionale un’azione inibitoria nei confronti della Total Belgium per la cessazione di tale pratica commerciale, in quanto essa costituiva, in particolare, un’offerta congiunta vietata dalla normativa belga. Un’altra controversia oppone la Galatea, una società che gestisce un negozio di biancheria a Schoten (Belgio), alla Sanoma, una controllata del gruppo finlandese Sanoma, editrice di diverse riviste, tra cui il settimanale Flair. Il numero di Flair del 13 marzo 2007 conteneva un libretto di buoni sconto su diversi prodotti venduti in taluni negozi di biancheria. La Galatea ha proposto un’azione inibitoria per la cessazione di tale pratica, deducendo che la Sanoma aveva violato la normativa belga. In tale contesto, il Tribunale commerciale (Anversa), adito di queste due controversie, si rivolge alla Corte di giustizia. Per chiedere, in sostanza, se la direttiva deve essere interpretata nel senso che osta ad una legislazione nazionale, come la normativa belga, che, salvo talune eccezioni, e senza riguardo alle circostanze specifiche del caso di specie, fissa un principio generale di divieto di offerte congiunte da parte del venditore al consumatore. In limine, la Corte rileva che le offerte congiunte costituiscono atti commerciali che si iscrivono chiaramente nel contesto della strategia commerciale di un operatore e sono rivolte direttamente alla promozione e allo smercio delle sue vendite. Ne deriva che esse costituiscono effettivamente pratiche commerciali ai sensi della direttiva e ricadono, conseguentemente, nella sua sfera di applicazione. La Corte ricorda, quindi, che la direttiva procede a un’armonizzazione completa, a livello comunitario, delle norme relative alle pratiche commerciali sleali. Pertanto, gli Stati membri non possono adottare misure più restrittive di quelle definite dalla direttiva, nemmeno al fine di garantire un livello più elevato di tutela dei consumatori. Orbene, al riguardo è giocoforza rilevare che, nel fissare una presunzione di illegittimità delle offerte congiunte, una normativa nazionale come quella in esame non soddisfa i requisiti posti dalla direttiva. Infatti, la normativa belga stabilisce il principio del divieto di offerte congiunte, mentre tali pratiche non sono previste dall’allegato I della direttiva. Orbene, tale allegato elenca esaustivamente le sole pratiche commerciali vietate in ogni caso, che non devono, pertanto, costituire l’oggetto di un esame caso per caso. Infine, occorre aggiungere che una siffatta interpretazione non può essere messa in discussione dalla circostanza che la legge belga prevede un certo numero di eccezioni a tale divieto di offerte congiunte. Pertanto, la direttiva va interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella in esame, che, salvo talune eccezioni e senza tener conto delle circostanze specifiche del caso di specie, vieta qualsiasi offerta congiunta del venditore al consumatore .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: SERVIZIO POSTALE ROYAL MAIL ESENTE DA IVA  
 
La sentenza 23 aprile 2009 della Corte di giustizia nella causa C‑357/07 - Tnt Post Uk Ltd / The Commissioners for Her Majesty´s Revenue and Customs – ha dichiarato che il servizio postale universale fornito dalla societa britannica Royal Mail è esente da iva e conseguentemente la Royal Mail è assoggettata ad Iva quando fornisce prestazioni a condizioni negoziate «individualmente». La sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/Cee, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, sostituita, con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2007, dalla direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/Ce, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, esonera i «servizi pubblici postali» dall’Iva in quanto le loro attività sono di interesse pubblico. La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/67/Ce, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio, nella versione modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 10 giugno 2002, 2002/39/Ce, ha avviato il processo di liberalizzazione graduale del mercato dei servizi postali. Essa stabilisce norme riguardanti la prestazione di un servizio postale universale e i criteri di definizione dei servizi che possono essere riservati ai prestatori del servizio postale universale. Nel 2001 la Royal Mail è stata designata quale unico fornitore del servizio postale universale nel Regno Unito. In base a tale licenza, la Royal Mail ha l’obbligo di fornire un servizio postale universale che comprenda almeno una distribuzione ad ogni domicilio tutti i giorni lavorativi e una raccolta tutti i giorni lavorativi da ogni punto di accesso, a tariffe accessibili e uniformi. A partire dal 2006 il mercato postale nel Regno Unito è stato completamente liberalizzato, ma senza incidere sullo status né sugli obblighi della Royal Mail. Il trasporto da parte della Royal Mail di pacchi postali e di lettere non è assoggettato ad Iva. La Tnt Post offre «servizi a monte» per la posta commerciale. Essa raccoglie, smista ed instrada la posta fino ad un deposito regionale della Royal Mail. I successivi «servizi a valle» di distribuzione di tale posta sono forniti dalla Royal Mail, poiché la Tnt Post non dispone di un servizio di distribuzione. Le prestazioni della Tnt sono assoggettate ad Iva. La Tnt ha presentato un ricorso dinanzi alla High Court of Justice nel quale contesta la legittimità dell´esenzione dall’Iva dei servizi postali della Royal Mail, facendo valere che i propri servizi vengono assoggettati ad Iva pur essendo identici a quelli forniti dalla Royal Mail. Detto giudice ha chiesto alla Corte di interpretare la nozione di «servizi pubblici postali» nel contesto di un mercato completamente liberalizzato, nonché di chiarire l´ambito di estensione dell´esenzione Iva per tali servizi. La Corte constata anzitutto che la nozione di «servizi pubblici postali» si riferisce agli operatori che forniscono le prestazioni e non alle prestazioni stesse, indipendentemente dalla qualità del prestatore di tali servizi. Inoltre la liberalizzazione del mercato non esclude l´applicazione dell´esenzione. La Corte ricorda che l´esenzione favorisce l´obiettivo di interesse generale di offrire, ad un costo ridotto, servizi postali rispondenti ai bisogni essenziali della popolazione. Tale obiettivo coincide con la definizione del servizio postale universale fornita nella direttiva sui servizi postali, la quale costituisce pertanto un utile riferimento per interpretare la nozione di «servizi pubblici postali». Di conseguenza la Corte constata che i servizi pubblici postali devono essere considerati quali operatori, pubblici o privati, che si obbligano ad offrire servizi postali rispondenti ai bisogni essenziali della popolazione e dunque, in pratica, ad assicurare in uno Stato membro la totalità o una parte del servizio postale universale. Inoltre la Corte considera che una siffatta interpretazione non viola il principio di neutralità fiscale poiché la Royal Mail, a causa degli obblighi che le sono imposti dalla sua licenza, esegue prestazioni postali in un contesto normativo sostanzialmente diverso da quello in cui le effettua un operatore come la Tnt Post. Pertanto, le prestazioni di queste due società non sono comparabili. Nondimeno la Corte precisa che non tutte le prestazioni di servizi effettuate dai servizi pubblici postali sono esentate, indipendentemente dalla loro natura intrinseca. Soltanto le prestazioni di servizi effettuate dai servizi pubblici postali in quanto tali, nella loro stessa qualifica di servizio postale universale, sono esentate. Le prestazioni di servizi le cui condizioni siano state negoziate individualmente sono escluse dall´esenzione .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: DIRITTI DEI CONSUMATORI - CREDITO AL CONSUMO  
 
La sentenza 23 aprile 2009 della Corte nella causa C‑509/07 - Luigi Scarpelli / Neos Banca Spa – afferma che in caso di inadempimento delle obbligazioni del fornitore, i consumatori hanno diritto alla risoluzione del contratto di credito e alla restituzione delle somme già corrisposte al creditore. Non è indispensabile che sussista un rapporto di esclusiva tra il venditore e il creditore. La Direttiva del Consiglio 22 dicembre 1986, 87/102/Cee, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, in particolare il suo art. 11, prevede, da una parte, il diritto per il consumatore di procedere contro il creditore in caso di mancata o inesatta esecuzione delle obbligazioni incombenti al fornitore dei beni o dei servizi, e subordina, dall’altra, tale diritto ad una serie di condizioni, tra le quali l’esistenza di un rapporto di esclusiva tra il creditore ed il fornitore. Il sig. Scarpelli ha acquistato nel 2003 un’autovettura e ha sottoscritto, unitamente al contratto di acquisto, un modulo – fornito dal venditore – di richiesta di prestito alla Neos Banca. Dopo aver corrisposto al venditore la somma di Eur 10 000 e aver beneficiato di un prestito di Eur 19 130, ha cominciato a rimborsare quest’ultimo tramite rate mensili pari a Eur 402. Dopo aver corrisposto 24 rate mensili (Eur 9 648, oltre a Eur 130 per spese di commissione), il veicolo non gli era ancora stato consegnato. Il sig. Scarpelli ha interrotto perciò i pagamenti, si è opposto al provvedimento di ingiunzione della banca relativo al pagamento della residua somma dovuta (circa Eur 15 000) e ha richiesto la restituzione delle somme già corrisposte. Il Tribunale di Bergamo ha interrogato la Corte di giustizia in merito alla necessità dell’esistenza di una clausola di esclusiva tra il creditore ed il fornitore affinché il consumatore possa procedere in giudizio contro il creditore in caso di inadempimento delle obbligazioni incombenti al venditore e chiedere la risoluzione del contratto di finanziamento nonché la restituzione delle somme già corrisposte. La Corte di giustizia ricorda, innanzitutto, che la direttiva è stata adottata al duplice scopo di assicurare, da una parte, la realizzazione di un mercato comune del credito al consumo e, dall’altra, di proteggere i consumatori che sottoscrivono tali crediti. La direttiva impone poi un’armonizzazione minima in materia di credito al consumo. Gli Stati membri sono quindi liberi di stabilire una normativa più favorevole per i consumatori, che dovrebbero vantare nei confronti del creditore diritti maggiori rispetto ai normali diritti contrattuali. Il fatto di subordinare in ogni caso l’esercizio del diritto del consumatore di procedere contro il creditore alla condizione dell’esistenza di una clausola di esclusiva tra il creditore ed il fornitore contrasterebbe con l’obiettivo della direttiva che è, in primo luogo, quello di tutelare il consumatore in quanto parte più debole del contratto. Nei casi in cui la normativa nazionale consente al consumatore di procedere contro il creditore per ottenere la risoluzione del contratto di finanziamento e la restituzione delle somme già corrisposte, la direttiva non impone una condizione supplementare, vale a dire l’esistenza di un rapporto di esclusiva tra venditore e creditore. Per contro, una siffatta condizione può essere richiesta al fine di far valere altri diritti, non previsti dalle disposizioni nazionali in materia di relazioni contrattuali, come il diritto al risarcimento del danno causato da un’inadempienza del fornitore. La Corte conclude pertanto che l’esistenza di un accordo tra il creditore ed il fornitore, sulla base del quale un credito è concesso ai clienti di detto fornitore esclusivamente da quel creditore, non è un presupposto necessario del diritto, per tali clienti, di procedere contro il creditore in caso di inadempimento delle obbligazioni che incombono a detto fornitore al fine di ottenere la risoluzione del contratto di credito e la conseguente restituzione delle somme corrisposte al finanziatore.  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: CGCE: RIVENDITORI DI STOCK E MARCHI  
 
La sentenza 23 aprile 2009 della Corte nella causa C‑59/08 - Copad Sa / Christian Dior couture Sa, Société industrielle lingerie (Sil) afferma che il titolare di un marchio può opporsi alla rivendita dei suoi prodotti di prestigio da parte di rivenditori di partite in saldo. Ciò si verifica in particolare quando il rivenditore è stato rifornito da un licenziatario in violazione di un contratto di licenza e tale violazione danneggia lo stile e l’immagine di prestigio che attribuiscono a detti prodotti un’aura di lusso. Nel 2000 la Dior concludeva con la Société industrielle lingerie (Sil) un contratto di licenza di marchio per la fabbricazione e la distribuzione di prodotti di biancheria intima recanti il marchio Christian Dior. Tale contratto precisa che al fine di tutelare la notorietà e il prestigio del marchio Dior, la Sil si impegna a non vendere tali articoli segnatamente a rivenditori di partite in saldo che non fanno parte della rete di distribuzione selettiva, salvo accordo scritto della Dior, e che il licenziatario dovrà adottare tutti i provvedimenti necessari per garantire il rispetto di tale regola da parte dei suoi distributori o dettaglianti. Tuttavia, a causa di difficoltà economiche la Sil vendeva prodotti contrassegnati dal marchio Dior alla società Copad che svolge un’attività di rivendita di partite in saldo. Ritenendo che tale rivendita fosse vietata dal contratto, la Dior citava in giudizio la Sil e la Copad per contraffazione del marchio. I rivenditori invocavano tuttavia l’esaurimento del diritto della Dior sul suo marchio, poiché i prodotti erano stati immessi in commercio all’interno del See (Spazio economico europeo) con il consenso della Dior. La Corte di cassazione francese, investita in ultimo grado della controversia, chiede alla Corte di giustizia di pronunciarsi in merito all’interpretazione della Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/Cee, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo 2 maggio 1992, in particolare nel caso in cui il licenziatario abbia violato una clausola del contratto di licenza che vieta, per ragioni di prestigio del marchio, la vendita a rivenditori di partite in saldo, al di fuori della rete di distribuzione selettiva. Anzitutto, la Corte rileva che il titolare di un marchio può invocare i diritti conferiti dal marchio stesso nei confronti di un licenziatario che viola una clausola del contratto di licenza che vieta, per ragioni di prestigio del marchio, la vendita a rivenditori di partite in saldo, purché venga accertato che tale violazione, nelle circostanze del caso concreto, danneggia lo stile e l’immagine di prestigio che attribuiscono a detti prodotti un’aura di lusso. Infatti, la direttiva permette al titolare di un marchio di far valere i diritti che esso gli conferisce nei confronti del licenziatario in caso di violazione da parte di quest’ultimo di talune clausole del contratto di licenza previste all’art. 8, n. 2, della direttiva, tra cui rientrano, in particolare, quelle riguardanti la qualità dei prodotti. La qualità dei prodotti di prestigio non risulta solo dalle loro caratteristiche materiali, ma anche dallo stile e dall’immagine di prestigio che conferiscono loro un’aura di lusso. Orbene, a tale riguardo, un sistema di distribuzione selettiva, come quello di cui trattasi, che ha lo scopo di assicurare una presentazione che valorizza i prodotti nel punto vendita, in particolare per quanto riguarda la collocazione, la promozione, la presentazione dei prodotti e la politica commerciale può contribuire alla notorietà dei prodotti di cui trattasi e quindi a salvaguardare la loro aura di lusso. Di conseguenza, non può escludersi che la vendita di prodotti di prestigio da parte del licenziatario a terzi che non fanno parte della rete di distribuzione selettiva comprometta la qualità stessa di tali prodotti per cui, in tale ipotesi, una clausola contrattuale che vieti tale vendita deve essere considerata come rientrante nella direttiva sui marchi. È compito del giudice nazionale competente verificare se, in considerazione delle circostanze caratterizzanti la controversia, la violazione da parte del licenziatario di una clausola come quella di cui alla causa principale danneggi l’aura di lusso dei prodotti di prestigio, compromettendo in tal modo la loro qualità. La Corte rileva poi che la vendita effettuata in violazione di una clausola che vieta di vendere successivamente a rivenditori di partite in saldo al di fuori della rete di distribuzione selettiva può essere considerata, ai sensi della direttiva, come avvenuta senza il consenso del titolare del marchio, qualora venga accertato che tale violazione è contraria ad una delle disposizioni enunciate nella direttiva. Se l’immissione in commercio di prodotti contrassegnati dal marchio da parte di un licenziatario deve essere considerata, in linea di principio, come avvenuta con il consenso del titolare del marchio, tuttavia il contratto di licenza non equivale ad un consenso assoluto e incondizionato del titolare del marchio alla commercializzazione, da parte del licenziatario, dei prodotti contrassegnati da tale marchio. Infatti la direttiva prevede espressamente la possibilità, per il titolare del marchio, di invocare i diritti che esso gli conferisce nei confronti di un licenziatario quando quest’ultimo viola talune clausole del contratto di licenza. Pertanto, la direttiva deve essere interpretata nel senso che la commercializzazione di prodotti contrassegnati dal marchio da parte del licenziatario, in violazione di una clausola del contratto di licenza, osta all’esaurimento del diritto conferito dal marchio al suo titolare ai sensi della direttiva, qualora venga accertato che tale clausola corrisponde ad una di quelle previste all’art. 8, n. 2, di tale direttiva. Infine la Corte dichiara che il pregiudizio arrecato alla notorietà del marchio può costituire, in via di principio, un motivo legittimo ai sensi della direttiva perché il titolare del marchio si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti di prestigio messi in commercio nel See dal titolare stesso o con il suo consenso .  
   
   
KASPERSKY LAB: ARTICOLO SUL CLOUD COMPUTING E LA SICUREZZA ”IN-THE-CLOUD”  
 
Kaspersky Lab ha pubblicato un articolo tecnico sul cloud computing dal titolo “Il business ‘fra le nuvole’” scritto da Magnus Kalkuhl, Senior Regional Researcher di Kaspersky Lab. La versione completa dell’articolo è disponibile su www. Viruslist. Com, è disponibile inoltre una sintesi sul sito Kaspersky Lab al link www. Kaspersky. Com/it/news. Per permettere una migliore comprensione delle tecnologie e delle possibilità offerte dal cloud computing e dalla sicurezza “in-the-cloud”, l’articolo illustra i principali benefici ed alcuni rischi di questi nuovi approcci tecnologici. Alcune tecnologie “in-the-cloud” vengono già utilizzate da alcune soluzioni antivirus e diverse aziende hanno già iniziato ad affidarsi ai principi e agli strumenti offerti dal cloud computing. In futuro queste due tecnologie saranno sempre più legate, nelle aziende saranno presenti “cloud computer” protetti da soluzioni di sicurezza “in the cloud”. “Esistono alcuni rischi associati al cloud computing. La perdita di dati è un problema crescente, con la grande quantità e varietà di dati archiviati su server remoti è sufficiente una piccola falla per causare enormi perdite”, spiega Magnus Kalkuhl, Senior Regional Researcher di Kaspersky Lab. “Inoltre, i servizi di cloud computing diventeranno inevitabilmente il bersaglio preferito dei cybercriminali”. La prima parte dell’articolo esamina come il cloud computing sia stato inizialmente percepito come adeguato solo per organizzazioni di grandi dimensioni e ciò ne ha ostacolato, in parte, la diffusione su larga scala. Con l’evolversi delle tecnologie, però, è diventato in poco tempo uno strumento alla portata anche di piccole strutture con limitate risorse finanziarie. Oggi anche un privato può beneficiare delle opportunità offerte dal cloud computing: esistono diversi provider che offrono tecnologie a prezzi accessibili in grado di gestire servizi e applicazioni sia hardware che software. Viene inoltre spiegato come il cloud computing possa aiutare a proteggere prodotti coperti dal diritto d’autore come musica, film, etc. Non appena il cloud computing diventerà uno strumento indispensabile per il lavoro di tutti i giorni, dovranno necessariamente essere studiati degli standard e delle leggi apposite per regolamentarne l’utilizzo e limitare i rischi per gli utenti. La seconda parte dell’articolo fornisce una panoramica delle funzioni e delle possibilità offerte dalla sicurezza “in-the-cloud”. Questo tipo di servizi di sicurezza in outsourcing possono essere utilizzati sia per filtrare il traffico dati prima di trasmetterli al computer dell’utente, sia per le normali soluzioni antivirus per desktop. Nell’articolo vengono analizzati principalmente i pro e i contro di questo secondo approccio. Per ulteriori informazioni su Kaspersky Lab, visitate il sito www. Kaspersky. It .