|
|
|
LUNEDI
|
|
|
Notiziario Marketpress di
Lunedì 02 Aprile 2012 |
|
|
|
ANES (ASSEMBLEA GENERALE): DIRETTIVE PER IL FUTURO DELL’EDITORIA PROFESSIONALE, TECNICA, SPECIALIZZATA - ELEZIONE DELLA NUOVA GIUNTA
|
|
|
|
|
|
“Nell’era dei media digitali il potere della parola è ancora degli editori. Ma oggi la parola non è più solo quella scritta sulla carta: il mondo cambia, gli editori devono cambiare. Adesso”. Ha esordito così Alessandro Cederle, Presidente di Anes (Associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata), parlando all’Assemblea Generale dei soci che si è svolta a Milano nella sede di Assolombarda. Un appuntamento che è stato anche occasione per fare il punto sull’attività del primo anno di mandato di Cederle. Un anno intenso, teso a raggiungere l’obiettivo principale del programma di presidenza, cioè reinterpretare il ruolo di Anes nel terzo millennio accompagnando i soci in un cambiamento ormai necessario e urgente. E’ stata anche ricordata la modalità di lavoro, collaborativa e collegiale, e l’impegno costante per fare dell’associazione un luogo di dialogo e conversazione quotidiana con i soci, e tra i soci, in modo da alimentare iniziative concrete, condivise e di qualità. Il Presidente ha riaffermato la grande ambizione sottesa al suo programma di lavoro, ossia che Anes si configuri come l’associazione che rappresenta, più di tutte le altre, quel pezzo di editoria italiana che sa meglio interpretare il passaggio verso il nuovo. In un mondo in continua e rapida evoluzione – ha continuato Cederle – si sta delineando la prospettiva di una nuova centralità dell’editore, fondata su “brand”, contenuti di qualità e utilizzo intelligente delle nuove tecnologie. Ma occorre che l’editore adegui le proprie competenze, si doti degli strumenti nuovi, evolva l’organizzazione e lo stile. Senza ovviamente dimenticare il presidio della competitività sui mezzi tradizionali, che ci accompagneranno ancora per lungo tempo e che stanno al centro della storia e della vocazione dell’editore. Per affiancare nel cambiamento i soci - soprattutto i numerosi soci medio-piccoli - Anes ha aperto quest’anno una nutrita serie di “cantieri”, illustrati nel dettaglio dal Segretario Generale Cristina Ferrari, che si è soffermata in particolare sui momenti di incontro e aggiornamento - “I tè di Anes” e i corsi di Anes Formazione - sull’impegno in tema di diffusione, postale ed edicola, sui nuovi servizi informativi per i soci come Anes Monitor, sulla cura delle relazioni esterne e, infine, sulla valorizzazione dei soci aggregati come fornitori di strumenti di lavoro innovativi. Le direttive per il futuro di Anes sono di continuare a investire per assistere gli editori nell’innovazione, attraverso la crescita delle competenze e la disponibilità degli strumenti. Con una missione storica: agevolare il passaggio al digitale, pur senza abbassare la guardia nei confronti della difesa e del rispetto dei canali su carta tradizionali. L’assemblea ha inoltre proceduto all’elezione della nuova Giunta, che affiancherà il Presidente e il Consiglio nella guida dell´associazione per il biennio 2012-2013. Sono stati nominati: Andrea Aiello (Edifis), Matteo Bacchetti (Edisport Editoriale), Fabio Franzoni (Il Sole 24 Ore) Armando Garosci (Editoriale Largo Consumo), Antonio Greco (Fiera Milano Media), Carlo Francesco Latorre (Cronoart), Marco Levi (Reed Business Information), Alberto Lupini (Edizioni Contatto), Ivo Alfonso Nardella (Tecniche Nuove), Paolo Amedeo Pegoraro (Griffin), Roberto Pissimiglia (Edizioni Esav), Sergio Porro (Ariesdue), Giuseppe Reali (Edizioni L´informatore Agrario), Claudio Rossi (Faenza Scientifics), Paolo Sciacca (Sanitanova), Matteo Verlato (Editoriale Giornaleidea). Designati anche i componenti del Collegio dei Revisori nelle persone di Salvatore Braiotta (Tecniche Nuove), Piergiorgio Tonelli (Le Point Veterinaire Italie), Giancarlo Zanini (Il Sole 24 Ore). Eletto infine il nuovo Collegio dei Probiviri: Davide Leonarduzzi (Piacenza Expo), Barbara Marabelli (Promorama), Giovanni Mirulla (Ediemme). Info: Anes - Associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata - - via Pantano 2, 20122, Milano - tel + 39028057777 - www.Anes.it |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
CONFINDUSTRIA DIGITALE: PRESENTATO AL MINISTRO PROFUMO IL PIANO DI “PROPOSTE PER IL SOSTEGNO ALLA CRESCITA DELL’ITALIA, IN COERENZA CON L’AGENDA DIGITALE EUROPEA” |
|
|
|
|
|
Il 29/3/2012 il consiglio direttivo di Confindustria Digitale si è incontrato con il Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo, al quale è stato presentato il piano “Proposte per il sostegno alla crescita dell’Italia, in coerenza con l’Agenda digitale europea”. “La realizzazione in Italia dell´Agenda Digitale potrà dare un contributo del 4-5% alla crescita del Pil da qui al 2015 - ha dichiarato Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale - Le aziende dell´Ict hanno offerto al Ministro Profumo, che sta già realizzando importanti iniziative di innovazione nell’ambito delle competenze e funzioni del suo ministero,, un’ampia collaborazione nel quadro di una visione comune per lo sviluppo dell´economia digitale. L´utilizzo del web per le attività delle amministrazioni pubbliche, l´innovazione promossa attraverso le smart communities, saranno i pilastri di questa partnership che potrà dare risultati concreti già nel breve periodo". Il consiglio direttivo di Confindustria Digitale è formato da 30 consiglieri, capi azienda dei principali gruppi internazionali e imprese nazionali del settore Ict. A Confindustria Digitale, fanno capo imprese per un totale di oltre 250.000 addetti che realizzano un fatturato annuo di oltre 70 miliardi di euro |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
CONFINDUSTRIA CULTURA ITALIA: AUDIZIONE DI AGCOM SUL REGOLAMENTO CONTRO LA PIRATERIA DIGITALE |
|
|
|
|
|
Marco Polillo, presidente di Confindustria Cultura Italia, al termine dell’audizione del presidente di Agcom Corrado Calabrò, ha fatto questa richiesta:“Si decida: adesso che l’audizione è terminata è ora che l’Agcom proceda all’adozione del regolamento nel più breve tempo possibile”. “Il provvedimento elaborato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha il solo e unico obiettivo di individuare – a legislazione vigente – procedure efficaci per tutelare la categoria della cultura italiana dagli attacchi dell’industria criminale della contraffazione, che ogni giorno spaccia in rete opere dell’ingegno senza l’autorizzazione dei proprietari, sottraendo risorse alla cultura italiana – ha proseguito Polillo -. Per questo apprezziamo l’ampio sostegno al provvedimento emerso nel corso dell’audizione” |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
ACCORDO STRATEGICO DI RICERCA WHIRLPOOL - POLITECNICO DI MILANO
|
|
|
|
|
|
La multinazionale e l´Ateneo hanno siglato una collaborazione scientifica sotto l´egida della Regione Lombardia per sviluppare connettività, reti intelligenti, efficienza energetica e nuove tecniche per la cottura. Politecnico e Whirlpool collaboreranno inoltre alla costituzione di un futuro distretto tecnologico nel settore agroalimentare. Durata triennale, cinque aree di collaborazione scientifica e un investimento di 3 milioni di euro: sono i termini dell´accordo strategico di ricerca siglato lo scorso 29 marzo 2012, nell´Aula Magna del Politecnico di Milano, fra il rettore Giovanni Azzone e il Global vice president Ricerca e Sviluppo di Whirlpool, Mauro Piloni. La firma è avvenuta sotto l´egida della Regione Lombardia, partner istituzionale dell´accordo, rappresentata dal vice presidente e assessore all´Industria, Artigianato, Edilizia e Cooperazione Andrea Gibelli. L´accordo tra Whirlpool Emea e Politecnico di Milano, che ha come oggetto la ricerca e lo sviluppo di soluzioni di innovazione tecnologica nell´ambito degli elettrodomestici, ha come termine il 31 dicembre 2014 e individua, in prima battuta, cinque aree di collaborazione scientifica: connettività/reti intelligenti: la nuova frontiera degli elettrodomestici, che in un futuro molto prossimo dovranno essere connessi alla rete e in grado di interagire con la reti elettriche intelligenti (smart grid), quindi di captare gli input che da questa provengono per individuare il momento più economico per entrare in funzione o quello in cui si può fare uso di energia da fonti alternative; efficienza energetica: tecnologie applicate agli elettrodomestici che permettono di consumare meno energia a parità di servizi offerti; nuove tecnologie per la cottura degli alimenti: ricerca avanzata finalizzata ad abbattere drasticamente i tempi di cottura in alternativa ai sistemi oggi in uso; nuovi materiali: finalizzati a impieghi ad alte temperature e per offrire migliori prestazioni in termini di resistenza e pulizia; open innovation: studio di metodologie/strumenti/competenze da applicare nell´ambito dell´innovazione collaborativa fra aziende ed enti di ricerca. L´accordo, che vede Whirlpool nel ruolo di capofila e il Politecnico nelle vesti di partner accademico, rappresenta il primo passo nella costituzione di un distretto tecnologico nel settore agroalimentare in Lombardia. Con la firma dell´accordo, Whirlpool e Politecnico rispondono, infatti, all´invito promosso dalla Regione Lombardia finalizzato a definire le aggregazioni (o gruppi di interesse) che potranno accedere alle opportunità messe a disposizione dagli enti governativi, tra cui il bando del Ministero dell´Università e della Ricerca scientifica sui distretti tecnologici. L´interesse a entrare in questa aggregazione è già stato manifestato anche dall´Associazione Industriali della Provincia di Varese (Univa), dalla Camera di Commercio di Varese, dall´Università Carlo Cattaneo di Castellanza (Liuc), dall´Università degli studi Milano e da una ventina di aziende attive nel settore food (dalla sensoristica al packaging all´alimentare in senso stretto). «Siamo orgogliosi che Whirlpool abbia individuato nel Politecnico di Milano il partner di riferimento per questo progetto, che si inserisce nella politica strategica di collaborazione di lungo periodo dell´Ateneo con altri grandi aziende come Eni e Pirelli - dice il Rettore Giovanni Azzone. L´accordo testimonia come sia possibile attivare quelle sinergie fra Atenei e imprese di cui il nostro Paese ha molto bisogno. La collaborazione consente inoltre di sfruttare la multidisciplinarietà di un ateneo come il nostro coinvolgendo diversi dipartimenti in un lavoro che favorisce la ricerca di qualità. Questa iniziativa ci rende molto soddisfatti, anche perché incrementa la collaborazione con il tessuto regionale lombardo, all´interno di una strategia di integrazione che permette un eccellente trasferimento tecnologico». «Fra le opportunità previste dal bando regionale è di particolare interesse la creazione di un Polo scientifico tecnologico nel campo delle scienze alimentari (il Food Science Institute) all´interno del sito industriale Whirlpool di Cassinetta di Biandronno (Varese) - spiega Mauro Piloni- che si occuperà a tutto campo di food, dalla lavorazione alla cottura, alla trasformazione, alla conservazione. Grazie all´accordo con il Politecnico realizzeremo un´importante sinergia fra l´eccellenza industriale patrimonio di un´azienda leader nel settore degli elettrodomestici e la competenza accademica nella ricerca propria dei tanti talenti presenti nell´ateneo». «Il distretto che potrebbe nascere da questo accordo rappresenterebbe un esempio di collaborazione virtuosa fra Pubblico e privato - afferma Fausto De Angelis, direttore Affari legali e istituzionali di Whirlpool Emea -, una collaborazione che sostiene e rilancia l´economia del nostro territorio puntando su un fattore determinante per lo sviluppo; la ricerca scientifica. È quello che si dice fare sistema: un soggetto istituzionale sovrintende e fa da regista in un´aggregazione dove mondo accademico, industrie e associazioni di categoria contribuiscono, ognuno in base alle proprie competenze e professionalità, a un progetto comune». Whirlpool Emea e Whirlpool Corporation Con circa 11mila 500 dipendenti, una presenza sui mercati di oltre 30 Paesi europei e siti produttivi in sette Paesi, Whirlpool Europe, Middle East & Africa (Emea) è una società interamente controllata da Whirlpool Corporation, l´azienda leader a livello mondiale nella produzione e commercializzazione di grandi elettrodomestici. Nel 2011, Whirlpool Corporation ha avuto un fatturato annuale di circa 19 miliardi di dollari, 68.000 dipendenti e 65 centri di produzione e di ricerca tecnologica in tutto il mondo. L´azienda commercializza i marchi Whirlpool, Maytag, Kitchenaid, Jenn-air, Amana, Consul, Brastemp, Bauknecht e altri importanti brand quasi in ogni paese del mondo. Il Centro Operativo Europeo di Whirlpool si trova in Italia, a Comerio (Va). Info: www.Whirlpoolcorp.com - www.Whirlpool.it |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
RIFORMA ARTICOLO 18: PER UN’IMPRESA LOMBARDA SU 3 COSTA TROPPO
|
|
|
|
|
|
Ma la maggioranza degli imprenditori lombardi si dice favorevole a una riforma del mercato del lavoro: i più favorevoli a Monza e Brianza, i più preoccupati per i costi per le imprese a Milano. Ma per lo sviluppo serve ridurre le tasse su lavoro e lavoratori La proposta di modifica dell’articolo 18 si traduce in costi troppo elevati per quasi un’impresa lombarda su 3, in particolare a Milano, dove la percentuale dei preoccupati tocca quasi il 35%. Anche se la maggioranza degli imprenditori lombardi si dice favorevole a una riforma del mercato del lavoro: di questi, il 24,4% appoggia pienamente la proposta del governo, in particolare a Monza e Brianza (26,3%), mentre il 26,5% chiede di apportare modifiche secondo quanto previsto dal “modello tedesco”. La ricetta per lo sviluppo per la maggioranza delle imprese lombarde passa dalla riduzione della tassazione su imprese e lavoratori: a Milano quasi una impresa su 3 chiede di abbassare il costo del lavoro, a Monza e Brianza oltre una su 4 vorrebbe allentare la pressione fiscale sui lavoratori per far ripartire i consumi. Ma gli imprenditori lombardi si scoprono essere però anche generosi: preferiscono infatti investire in scuola e innovazione (17,5%), piuttosto che domandare agevolazioni per se stessi attraverso una riduzione della pressione fiscale sui redditi da impresa (15,8%). Ed inoltre, si fanno carico anche dei problemi economici degli enti locali, tanto che solo il 6,5% richiede di ridurre le imposte locali. È quanto emerge da un’indagine sulla riforma del mercato del lavoro e l’articolo 18, realizzata dalla Camera di Commercio di Monza e Brianza, che ha coinvolto oltre 600 imprenditori lombarde. “Una riforma che renda più flessibile e moderno il mercato del lavoro è un intervento importante per incentivare anche la presenza di investimenti stranieri nel nostro Paese attraverso la messa a disposizione di un sistema meno rigido e ingessato e per rilanciare la competitività di tutta l’economia. Dobbiamo quindi dar atto al ministro Fornero di aver affrontato in maniera ferma i principali temi necessari per l’ammodernamento di tutto il sistema Paese-– ha dichiarato Carlo Edoardo Valli Presidente della Camera di Commercio di Monza e Brianza – Al tempo stesso, la riforma non deve tradursi però in costi maggiori per le imprese, soprattutto quelle piccole. Del resto, come chiedono le imprese stesse, per far ripartire l’economia occorre ridurre la pressione fiscale sul lavoro e sui redditi dei dipendenti, puntando anche sugli investimenti in innovazione e in formazione”. Condivide la proposta del governo di modifica dell’articolo 18?
|
Lombardia |
di cui: |
Monza e Brianza |
Milano |
Sì, va bene: |
24,4% |
26,3% |
24,3% |
Sì, ma va rivista con "modello tedesco" (è il giudice che deve scegliere tra indennizzo o reintegro): |
26,5% |
26,8% |
26,6% |
No, costa troppo per le imprese: |
30,2% |
25,1% |
34,7% |
No, è troppo penalizzante per i lavoratori: |
11,4% |
13,4% |
11,6% |
Non so: |
7,5% |
8,4% |
2,9% | Fonte: Indagine sulla riforma del mercato del lavoro e l’articolo 18, realizzata dalla Camera di commercio di Monza e Brianza. Secondo Lei per fare ripartire il Paese bisognerebbe (multipla)
|
Lombardia |
di cui: |
Monza e Brianza |
Milano |
Ridurre la tassazione sui redditi d’impresa: |
15,8% |
16,2% |
15,9% |
Ridurre il costo del lavoro per le imprese: |
26,7% |
24,9% |
30,4% |
Ridurre la pressione fiscale sui lavoratori per incentivare i consumi: |
26,1% |
27,8% |
24,3% |
Ridurre le imposte locali (Imu, tassa sui rifiuti …): |
6,5% |
6,2% |
6,4% |
Investire in innovazione: |
10,3% |
10,8% |
9,2% |
Investire nell’istruzione (scuola, cultura …): |
7,2% |
7,5% |
7,5% |
Non so: |
0,2% |
- |
- |
Altro: |
7,2% |
6,7% |
6,1% | Fonte: Indagine sulla riforma del mercato del lavoro e l’articolo 18, realizzata dalla Camera di commercio di Monza e Brianza |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
CYBERCRIME: COPIANO LA ‘FIRMA DIGITALE’ E RUBANO L’AZIENDA A UN IMPRENDITORE ROMANO
|
|
|
|
|
|
Un imprenditore, che riteneva di essere ‘protetto’ dalla smart-card obbligatoria per le comunicazioni societarie con il registro delle Imprese, è stato vittima di due individui, che agendo all´interno del sistema informatico delle Camere di Commercio, si sono prima procurati una copia della “firma digitale” aziendale e poi, con questa, hanno svutato la cassa aziendale e si sono appropriati di alcune migliaia di euro. Le indagini sono state dirette dal procuratore aggiunto di Roma e coordinate da un sostituto procuratore. I due imputati rischiano il processo con l’accusa di sostituzione di persona, false dichiarazioni o attestazioni al certificatore di firma elettronica sull’identità o qualità personali proprie o di altri, falsità in atti pubblici, in scritture private e in documenti informatici. Secondo il colonnello Umberto Rapetto, comandante del Gat della Guardia di Finanza: “Dopo quella della lancia termica, arriva la più sofisticata banda della firma digitale che - in barba alle tanto decantate misure di sicurezza e alla invulnerabilità della soluzione tecnologica per l’autenticazione della sottoscrizione degli atti pubblici - riesce a rubare le quote societarie del malcapitato e a trasferire proprietà e controllo della sua azienda ad un altro soggetto della combriccola”. Il caso, pur rappresentando “un pericoloso segnale della sicurezza dei dispositivi tecnologici di identificazione”, nel contempo segna il successo dell´indagine , che “costituisce una sorta di pietra miliare nello scenario della lotta ai crimini ad elevata connotazione tecnologica”. L’imprenditore apprese, da una verifica effettuata presso la Camera di Commercio, di aver ceduto la totalità delle quote sociali della sua azienda ad un’altra persona: gli atti di cessione quote e la contestuale nomina del nuovo amministratore unico risultavano inseriti telematicamente presso la Camera di Commercio attraverso un commercialista e con l´attivazione di una smart card elettronica, con firma digitale a lui intestata, ma non richiesta. Il titolare dell´agenzia di servizi e il commercialista (segnalato per motivi disciplinari all´Ordine competente) sono stati ritenuti responsabili di aver agito con superficialità nell’avvio delle pratiche |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
PRIVACY: TELEMARKETING - BASTA TELEFONATE INDESIDERATE ANONIME
|
|
|
|
|
|
Il Garante della Privacy dispone nei confronti di tre società il blocco dei dati utilizzati illecitamente Non solo effettuavano chiamate pubblicitarie indesiderate ad utenze iscritte nel Registro delle opposizioni, ma non rendevano identificabile la linea chiamante, impedendo in tal modo agli abbonati di poter tutelare i loro diritti. E´ per questi motivi che il Garante privacy ha fatto scattare provvedimenti di blocco del trattamento dei dati nei confronti di tre società operanti nel settore del telemarketing. Le società, che forniscono servizi di call center per promuovere prodotti e servizi di altre aziende, avevano infatti contattato utenze telefoniche iscritte nel Registro delle opposizioni, non rispettando quindi le nuove norme sul telemarketing che considerano illecito l´utilizzo di questi dati. Inoltre, sempre in violazione di queste norme e di quelle del Codice in materia di protezione dei dati personali, avevano contravvenuto all´obbligo di presentare l´identificazione della linea chiamante. Il Codice privacy, in particolare, vieta espressamente ai soggetti che effettuano chiamate commerciali e promozionali di camuffare o celare la loro identità. Alla luce di queste violazioni, oltre a dichiarare illecito il trattamento dei dati effettuato dalle tre società, il Garante ha dunque disposto una misura pesante come il blocco che impedisce alle tre società l´uso dei dati raccolti fino a quando esse non si metteranno in regola e invieranno agli Uffici dell´Autorità la documentazione che comprovi l´avvenuto adeguamento. Il Garante si è comunque riservato di valutare la possibilità di contestare alle società anche sanzioni amministrative. E´ stata disposta,infine, l´apertura di autonomi procedimenti nei confronti delle aziende che si sono avvalse dei servizi dei tre call center, per accertare la liceità dei trattamenti svolti |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
PRIVACY: ALBO PRETORIO ON LINE |
|
|
|
|
|
Trascorsi i tempi previsti dalla legge per pubblicare documenti nell´albo pretorio on line, il Comune deve rimuovere dal sito istituzionale quelli che contengono dati personali o renderli anonimi. La diffusione di informazioni in grado di identificare le persone oltre i termini stabiliti è illecita. Lo ha affermato il Garante della Privacy nel vietare ad un Comune di diffondere ulteriormente in Internet, oltre i 15 giorni stabiliti dalla norma, i dati personali di una donna contenuti in una deliberazione della Giunta comunale. Il Comune inoltre, dovrà apportare le necessarie modifiche per mettersi in regola con le Linee guida adottate nel 2011 dal Garante in materia di pubblicazione on line dei documenti. Il caso è stato sollevato da una donna che si è rivolta all´Autorità lamentando una illecita diffusione di dati a causa della permanenza sul sito del Comune, oltre i termini di legge, di una delibera di giunta comunale contenente nome e cognome, indirizzo e dispositivo di una sentenza di rigetto di un ricorso presentato contro un accertamento Ici. Informazioni che anche dopo un primo intervento del Garante e nonostante le modifiche apportate dal Comune continuavano ad essere presenti sul sito. Pur avendo infatti modificato le modalità di pubblicazione delle delibere riguardanti i ricorsi, sostituendo i nominativi dei ricorrenti con degli omissis, la delibera con il nome della donna era sempre reperibile sul sito, determinando così una illecita diffusione di dati non consentita da alcuna norma. Con separato provvedimento l´Autorità sta valutando gli estremi per contestare al Comune una sanzione amministrativa per l´illecito commesso |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
PRIVACY: IL GARANTE DÀ VIA LIBERA ALL´USO DELLE RFID |
|
|
|
|
|
Il Garante della Ptivacy ha dato via libera all´adozione da parte del Comune di Verona di un sistema basato sulle radiofrequenze, per la registrazione dell´orario di ingresso e di uscita dalla zona a traffico limitato (Ztl) dei veicoli che trasportano merci. Il sistema di rilevazione ha lo scopo di evitare che i veicoli autorizzati allo scarico-carico merci rimangano all´interno della Ztl oltre il limite concesso dalle ordinanze e di comminare sanzioni in caso di violazione. Il progetto, che si avvale della tecnologia Rfid (Radio Frequency Identification), identifica automaticamente le vetture attraverso onde elettromagnetiche, mediante la "lettura" di un "tag" (un´etichetta installata sulle vetture autorizzate contenente un codice univoco) da parte di antenne poste in corrispondenza dei varchi. Il Garante, esaminato il progetto, ha ritenuto opportuno fornire al Comune specifiche prescrizioni, tra cui l´obbligo di fornire idonea informativa ai possessori dei veicoli, di adottare adeguate misure di sicurezza, di stabilire tempi precisi di conservazione dei dati. Le informazioni sul veicolo infatti dovranno essere registrate in ingresso ed essere cancellate in uscita se rientrano nell´orario di accesso consentito. Solo in caso contrario verranno associate ai dati personali del proprietario e conservate fino al momento di comminare la sanzione prevista. Il Comune dovrà designare gli incaricati del trattamento dei dati e individuare diversi livelli di acceso ai dati in relazione alle specifiche mansioni attribuite ad ogni singolo operatore. Nessun rilievo è stato sollevato dal Garante rispetto al divieto di controllo a distanza dei lavoratori addetti al trasporto: il progetto non prevede, infatti, di tracciare i veicoli da monitorare, non essendo registrata alcuna informazione sul percorso seguito dal veicolo |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
GIUSTIZIA EUROPEA: L´ITALIA NON HA RECUPERATO, NEI TERMINI, GLI AIUTI A FAVORE DELL’INDUSTRIA ALBERGHIERA IN SARDEGNA, DICHIARATI INCOMPATIBILI CON IL MERCATO COMUNE DALLA COMMISSIONE NEL 2008 (SENTENZA NELLA CAUSA C-243/10, COMMISSIONE/ITALIA) |
|
|
|
|
|
La Commissione europea ha chiesto alla Corte di dichiarare che l´Italia, non avendo adottato, entro i termini prescritti, tutti i provvedimenti necessari per recuperare, presso i beneficiari, gli aiuti dichiarati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune dalla decisione 2008/854/Ce, relativa agli aiuti in favore dell´industria alberghiera in Sardegna (Legge regionale n. 9/1998) ha violato il Trattato Fue. A suo parere l´Italia aveva adottato, in esecuzione del regime di aiuti approvato dalla Commissione nel 1998, misure che avevano apportato modifiche al suddetto regime e che prevedevano la concessione di aiuti incompatibili con il mercato comune. Taluni aiuti probabilmente erano stati concessi a progetti d’investimento iniziati prima della presentazione della necessaria domanda. Si ricorda che la Regione autonoma della Sardegna e varie società interessate dagli aiuti avevano chiesto l’annullamento della decisione 2008/854 dinanzi al Tribunale di primo grado, che con sentenza del 20 settembre 2011(cause T-394/08, T-404/08, T-453/08 e T-454/08) ha respinto i ricorsi. Detta sentenza è stata impugnata dai soggetti soccombenti: sono attualmente pendenti i ricorsi: C-630/11 P, C-631/11 P, C-632/11 P e C-633/11 P). Nella sentenza, la Corte ricorda innanzitutto che la soppressione di un aiuto illegittimo mediante recupero è la logica conseguenza dell’accertamento della sua illegittimità. Lo Stato deve quindi adottare ogni misura idonea ad assicurare l’esecuzione della decisione che impone il recupero e giungere ad un´effettiva ripetizione delle somme dovute. Il recupero deve effettuarsi senza indugio e secondo le procedure previste dal diritto nazionale. In concreto, l´Italia avrebbe dovuto recuperare gli aiuti entro quattro mesi dalla notifica della decisione, ossia entro il 4 novembre 2008. Viceversa, fino alla proposizione del presente ricorso, nessun aiuto illegittimo è stato recuperato. Solo alla fine del mese di aprile 2009 sono state notificate alle imprese interessate le decisioni nazionali volte al recupero degli aiuti. La Corte nota che la Commissione ha considerato la possibilità di riconoscere la separabilità di alcuni progetti di investimento e dichiara che non le si può addebitare di violato l’obbligo di leale cooperazione con l´Italia in fase di recupero degli aiuti. In merito alla sospensione degli ordini di recupero da parte dei giudici nazionali, la Corte ricorda che questa è ammessa solo qualora sia giustificata da argomenti volti a dimostrare l´invalidità della decisione della Commissione. Anche un eventuale ricorso presentato dinanzi al Tribunale Ue (come quelli introdotti dalla Regione Sardegna e da varie società alberghiere nel 2008) contro una decisione che ordina il recupero di un aiuto non sospende l’obbligo di dare esecuzione a tale decisione. Il Tar Sardegna ha di fatto sospeso l’esecuzione delle decisioni nazionali volte a recuperare gli aiuti illegittimi, con la motivazione che il recupero causerebbe un danno grave e irreparabile ai beneficiari, in ossequio al principio del rispetto del legittimo affidamento degli stessi e della proposizione dinanzi al Tribunale dei ricorsi di annullamento della decisione 2008/854. La Corte sottolinea che le ordinanze nazionali di sospensione non tengono conto dell’interesse dell’Unione e non indicano le ragioni per cui i giudici dell’Unione sarebbero indotti a dichiarare l’invalidità della decisione 2008/854. Inoltre esse sono state ordinate dopo la scadenza del termine impartito per il recupero. Per tutti questi motivi, la Corte dichiara e statuisce che: La Repubblica italiana, non avendo adottato, entro i termini prescritti, tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti concessi in base al regime di aiuti dichiarato illegittimo ed incompatibile con il mercato comune dalla decisione 2008/854/Ce della Commissione è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
GIUSTIZIA EUROPEA: I BEATLES POSSONO IMPEDIRE REGISTRAZIONE MARCHIO COMUNITARIO «BEATLE» PER MEZZI A ROTELLE ELETTRICI (SENTENZA T-369/10)
|
|
|
|
|
|
L’apple Corps può impedire la registrazione di un marchio comunitario figurativo composto dal termine «Beatle» per mezzi a rotelle elettrici Appare verosimile che la You‑q, utilizzando tale marchio, possa trarre indebito vantaggio dalla notorietà e dalla durevole attrattività dei marchi Beatles e The Beatles detenuti dall’Apple Corps Nel gennaio 2004 la Handicare Holding Bv ha presentato all’Uami, l’Ufficio dei marchi comunitari, una domanda di registrazione di un segno figurativo composto dal termine «Beatle» come marchio comunitario per apparecchi di locomozione (mezzi a rotelle elettrici) per le persone a mobilità ridotta. Tuttavia, l’Apple Corps Ltd, impresa fondata dal gruppo «The Beatles», si è opposta a tale domanda, invocando diversi marchi comunitari e nazionali anteriori, fra i quali il marchio denominativo «Beatles» e vari marchi figurativi composti dai termini «Beatles» o «The Beatles». Il 31 maggio 2010 l’Uami ha respinto la domanda della Handicare, ritenendo che, a causa della somiglianza dei segni, della considerevole notorietà acquisita da lungo tempo dai marchi anteriori dell’Apple Corps e della sovrapposizione dei pubblici di riferimento, appariva verosimile che la Handicare, utilizzando il marchio richiesto, avrebbe tratto indebito vantaggio dalla notorietà e dalla durevole attrattività dei marchi dell’Apple Corps. L’uami ha pertanto concluso che sussisteva un rischio concreto che venisse arrecato pregiudizio ai marchi anteriori di cui l’Apple Corps è titolare. La Handicare – divenuta You‑q successivamente all’avvio della presente causa – ha chiesto al Tribunale di annullare tale decisione. Con la sua odierna sentenza, il Tribunale conferma l’analisi dell’Uami e respinge il ricorso. Anzitutto, il Tribunale osserva che l’Uami poteva concludere, sulla base degli elementi prodotti, in particolare sulla base delle vendite dei dischi dei Beatles, che i marchi anteriori Beatles e The Beatles godevano di importante notorietà con riferimento alle registrazioni sonore, alle registrazioni video ed ai film, e di notorietà, sia pure inferiore, sui prodotti derivati quali giocattoli e giochi. Inoltre, secondo il Tribunale, l’Uami ha a giusto titolo dichiarato che visivamente, foneticamente e concettualmente i segni in conflitto erano assai simili. Peraltro, tali marchi sono dotati di un carattere distintivo il quale fa sì che, posto di fronte ad essi, il grande pubblico – in particolare negli Stati non anglofoni dell’Unione – penserà immediatamente al gruppo eponimo ed ai suoi prodotti. Parimenti, l’Uami ha correttamente rilevato che esisteva una sovrapposizione tra i due pubblici di riferimento dei segni in conflitto, dal momento che le persone a mobilità ridotta fanno altresì parte del grande pubblico interessato dai marchi anteriori. Di conseguenza, l’Uami poteva correttamente dedurre da tali elementi che, nonostante la differenza tra i prodotti in questione, esisteva un nesso tra i segni in conflitto. Pertanto, a causa dell’esistenza di tale nesso, il pubblico di riferimento, anche in assenza di rischio di confusione, sarebbe indotto a trasferire i valori dei marchi anteriori ai prodotti contraddistinti dal marchio richiesto. L’immagine veicolata dai marchi anteriori è, anche dopo 50 anni di esistenza, tuttora sinonimo di giovinezza e di una certa contro-cultura degli anni ‘60, che gode di un’immagine ancora positiva. Orbene, tale immagine positiva potrebbe avvantaggiare i prodotti contrassegnati dal marchio richiesto, dato che il pubblico di riferimento – a causa, precisamente, dell’handicap subìto – sarebbe particolarmente attirato dall’immagine assai positiva di libertà, di giovinezza e di mobilità legata ai marchi Beatles e The Beatles, e ciò, a maggior ragione, perché una parte del pubblico interessato dai prodotti della You‑q appartiene alla generazione delle persone che hanno conosciuto i prodotti dei Beatles negli anni ‘60 e che, in alcuni casi, possono ora essere interessate dai prodotti designati dal marchio richiesto. Tale trasferimento di immagine consentirebbe quindi alla You‑q di introdurre il proprio marchio nel mercato senza esporsi a rischi significativi e senza dover sopportare i costi di lancio, in particolare pubblicitari, di un marchio creato ex novo. Di conseguenza, il Tribunale conclude che l’Uami non ha commesso errori nel dichiarare che appariva verosimile che, utilizzando il marchio richiesto, la You‑q avrebbe tratto indebito vantaggio dalla notorietà e dalla durevole attrattività dei marchi dell’Apple Corps o di taluni di essi. (Tribunale dell’Unione europea, Lussemburgo, 29 marzo 2012, Sentenza nella causa T‑369/10, You-q Bv / Uami) |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
GIUSTIZIA EUROPEA: QUOTE GAS EFFETTO SERRA COMMISSIONE NON PUÒ IMPORRE LIMITE MASSIMO (SENTENZE C-504/09 P E C-505/09 P)
|
|
|
|
|
|
La Corte conferma che la Commissione ha ecceduto le proprie competenze imponendo un limite massimo di quote di emissioni dei gas a effetto serra alla Polonia e all’Estonia Devono pertanto essere respinte le impugnazioni proposte dalla Commissione avverso le sentenze del Tribunale che hanno annullato le decisioni della stessa La direttiva del 2003 ha istituito un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità allo scopo di ridurre l’influenza di tali emissioni sul clima. Essa prevedeva che, per ciascun periodo di cinque anni, ciascuno Stato membro elaborasse un piano nazionale di assegnazione (Pna) nel quale era determinata la quantità totale di quote che intendeva assegnare per il periodo considerato e le modalità di tale assegnazione. Siffatti piani dovevano fondarsi su criteri obiettivi e trasparenti, compresi i criteri elencati nella direttiva, tenendo nella dovuta considerazione le osservazioni del pubblico. Essi dovevano essere pubblicati e notificati alla Commissione e agli altri Stati membri. In caso di incompatibilità con i criteri elencati nella direttiva, la Commissione poteva respingere il Pna in tutto o in parte. Lo Stato membro poteva decidere in merito alle quote totali di emissioni che avrebbe assegnato nel periodo considerato e iniziare il processo di assegnazione al gestore di ciascun impianto solo previa accettazione da parte della Commissione delle modifiche da esso proposte. Nel 2006 la Polonia e l’Estonia hanno notificato alla Commissione i loro Pna per il periodo dal 2008 al 2012. Con due decisioni del 2007 la Commissione ha constatato l’incompatibilità di tali Pna con vari criteri della direttiva ed ha deciso che occorreva ridurre, rispettivamente del 26,7% e del 47,8%, le quantità totali annue di quote di emissione che i due Stati membri proponevano di emettere. In seguito, da un lato, la Polonia (sostenuta dall’Ungheria, dalla Lituania e dalla Slovacchia) e, dall’altro, l’Estonia (sostenuta dalla Lituania e dalla Slovacchia) hanno presentato ricorsi di annullamento avverso le rispettive decisioni della Commissione. Quest’ultima era, dal canto suo, sostenuta dal Regno Unito. Con sentenze del 23 settembre 2009 il Tribunale ha annullato le decisioni controverse. Il Tribunale ha dichiarato che, adottando tali decisioni, la Commissione aveva oltrepassato i limiti delle proprie competenze. Esso ha altresì rilevato che la Commissione, nella decisione adottata nei confronti della Polonia, aveva violato l’obbligo di motivazione nonché, in quella relativa all’Estonia, il principio di buona amministrazione. La Commissione ha proposto le presenti impugnazioni dinanzi alla Corte di giustizia chiedendo l´annullamento delle sentenze del Tribunale. Con le due sentenze, la Corte respinge gli argomenti invocati dalla Commissione. La Corte rileva che la direttiva non prescrive alcun metodo né per l’elaborazione di un Pna e né per la determinazione della quantità totale di quote da assegnare. Al contrario, essa prevede esplicitamente che gli Stati membri debbano fissare la quantità totale di quote da assegnare tenendo conto, in particolare, della politica energetica nazionale e del programma nazionale sui cambiamenti climatici. Pertanto, gli Stati membri dispongono di un certo margine di manovra nella trasposizione della direttiva e, quindi, nella scelta delle misure che giudicano più adatte a conseguire l’obiettivo da essa prescritto. La Corte sottolinea che le eventuali differenze nei dati inseriti nei Pna e nei metodi di valutazione adottati dagli Stati membri sono espressione del margine di manovra loro spettante, che la Commissione ha l´obbligo di rispettare nell´ambito del suo controllo di conformità. Dal canto suo, la Commissione può adeguatamente assicurare la parità di trattamento degli Stati membri, esaminando il piano presentato da ciascuno di essi col medesimo grado di diligenza. Inoltre, la Corte respinge l´argomento addotto dalla Commissione secondo il quale, nell´interesse dell´economia procedurale, occorrerebbe riconoscerle il potere di fissare la quantità massima di quote di emissioni dei gas a effetto serra da assegnare. Infatti, ritenere che la Commissione possa fissare una siffatta quantità massima equivarrebbe a conferire a tale istituzione poteri privi di qualsivoglia fondamento giuridico. Essa sottolinea tuttavia che la Commissione non esorbita dalle proprie competenze se dichiara, nel dispositivo di una decisione di rigetto di un piano e senza determinare in modo obbligatorio la quantità massima di tali quote, che non respingerà le modifiche apportate a tale piano ove esse siano conformi alle proposte e alle raccomandazioni fatte nell´ambito di tale decisione di rigetto. Un simile modus procedendi è conforme al principio di leale cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione e risponde altresì ad obiettivi di economia procedurale. Del resto, la Corte rileva che il legislatore dell’Unione, l’unico competente ad apportare modifiche alla direttiva, ha ritenuto necessario emendarne le disposizioni. Tali modifiche prevedono l’istituzione di un sistema più armonizzato al fine di meglio sfruttare gli scambi di quote, evitare distorsioni del mercato interno e agevolare la creazione di connessioni fra i diversi sistemi di scambio. Infine, dal momento che le disposizioni impugnate dalla Polonia e dall’Estonia non erano separabili dalle altre disposizioni delle decisioni controverse, la Corte rileva che giustamente il Tribunale ha annullato tali decisioni nella loro totalità. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 29 marzo 2012, Sentenze nelle cause C-504/09 P, Commissione/polonia e C-505/09 P Commissione/estonia) |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
GIUSTIZIA EUROPEA: LA COMMISSIONE POTEVA, NEL CORSO DI UN’INDAGINE IN MATERIA DI CONCORRENZA, RICHIEDERE ALLA SLOVAK TELEKOM INFORMAZIONI RELATIVE ALLA SUA ATTIVITÀ ANTERIORE ALL’ADESIONE DELLA SLOVACCHIA ALL’UNIONE EUROPEA
|
|
|
|
|
|
La Commissione deve poter ottenere tutte le informazioni necessarie per verificare che tale impresa abbia rispettato le regole di concorrenza successivamente al 1° maggio 2004. La Slovak Telekom è una società di telecomunicazioni slovacca, detenuta in maggioranza dalla Deutsche Telekom. Nel gennaio 2009 la Commissione effettuava un’ispezione nei locali della Slovak Telekom. In seguito essa informava tale società di aver deciso di avviare nei suoi confronti un procedimento diretto ad accertare se quest’ultima avesse abusato di una posizione dominante nel settore slovacco delle telecomunicazioni. Mediante due decisioni, la Commissione ha ordinato alla società di trasmetterle informazioni relative alla sua attività, non soltanto con riferimento al periodo successivo all’adesione della Slovacchia all’Unione europea, ma altresì con riferimento a quello anteriore. La Commissione aveva comunque precisato che non intendeva accertare un’infrazione alle regole di concorrenza dell’Unione per il periodo antecedente il 1° maggio 2004, bensì ottenere informazioni pertinenti al fine di valutare, con piena conoscenza dei fatti e del loro contesto economico, la compatibilità del comportamento della Slovak Telekom con tali regole successivamente a tale data. Ritenendo che la Commissione non fosse legittimata a richiedere informazioni relative al periodo antecedente il 1° maggio 2004, la Slovak Telekom ha proposto due ricorsi dinanzi al Tribunale diretti all’annullamento delle decisioni della Commissione. Nella sua odierna sentenza, il Tribunale ricorda, innanzitutto, che il diritto della concorrenza dell’Unione conferisce alla Commissione un ampio potere di controllo e di accertamento. Essa può quindi richiedere alle imprese di fornirle tutte le informazioni necessarie per individuare casi di sfruttamento abusivo di posizione dominante, vietato dalle regole di concorrenza. Al riguardo, il Tribunale precisa che la Commissione può avere accesso alle informazioni che possono essere legittimamente considerate come in rapporto con la presunta infrazione. Inoltre, tenuto conto dell’ampiezza del suo potere di controllo e di accertamento, spetta alla Commissione valutare la necessità delle informazioni che essa richiede alle imprese interessate. In tali circostanze, il Tribunale afferma che la Commissione può richiedere ad un’impresa informazioni relative ad un periodo nel corso del quale le regole di concorrenza dell’Unione non erano ad essa applicabili, qualora dette informazioni risultino necessarie per individuare un’eventuale violazione di tali regole verificatasi a partire dal momento in cui esse le sono applicabili. Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale respinge altresì l’argomento della Slovak Telekom secondo il quale non esiste alcun legame tra l’infrazione asseritamente commessa da tale società e le informazioni richieste. Il Tribunale sottolinea che tali informazioni possono consentire alla Commissione, indipendentemente dalla loro anteriorità rispetto al periodo della presunta infrazione, di definire i mercati interessati, di determinare se l’impresa oggetto dell’indagine detenga una posizione dominante su tali mercati o di valutare la gravità dell’infrazione. Inoltre, alcuni dati anteriori al 1° maggio 2004 possono essere necessari per la Commissione al fine di poter descrivere il contesto economico nel quale s’iscrive il comportamento censurato. Di conseguenza, il Tribunale dichiara che la Commissione poteva richiedere alla Slovak Telekom le informazioni indicate nelle decisioni impugnate e respinge i ricorsi di tale società. (Tribunale dell’Unione europea, Lussemburgo, 22 marzo 2012, Sentenza nelle cause riunite T‑458/09 e T‑171/10, Slovak Telekom a.S. / Commissione) |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
GIUSTIZIA EUROPEA: NORMATIVA POLACCA SU IMMISSIONE IN COMMERCIO MEDICINALI STRANIERI NON AUTORIZZATI CONTRARIA AL DIRITTO UE (SENTENZA C-185/10)
|
|
|
|
|
|
La normativa polacca che legittima l’immissione in commercio dei medicinali stranieri non autorizzati, meno costosi, ma simili a quelli già autorizzati, è contraria al diritto dell’Unione Le considerazioni finanziarie non possono giustificare l’immissione in commercio di tali medicinali La direttiva 2001/83 prevede che nessun medicinale possa essere immesso sul mercato di uno Stato membro senza che un’autorizzazione all’immissione in commercio (Aic) sia stata rilasciata dall’autorità competente di detto Stato membro oppure dall’Agenzia europea dei medicinali. In via derogatoria, tuttavia, per rispondere ad esigenze speciali, uno Stato membro può prevedere che detto requisito non si applichi ai medicinali forniti per rispondere ad un’ordinazione leale e non sollecitata, elaborati in conformità alle specificazioni di un medico autorizzato e destinati a suoi determinati pazienti , sotto la sua responsabilità personale e diretta. La Commissione ha proposto il presente ricorso di inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia poiché considera che la normativa polacca sia in contrasto con la direttiva, in quanto prevede una dispensa dall’Aic per i medicinali provenienti dall’estero che presentano le stesse sostanze attive, lo stesso dosaggio e la stessa forma di quelli che hanno ottenuto l’Aic in Polonia, a condizione, in particolare, che il prezzo di tali medicinali importati sia competitivo rispetto a quello dei prodotti che hanno ottenuto tale autorizzazione. La Corte osserva anzitutto che la procedura armonizzata di Aic consente un accesso al mercato a condizioni economicamente accettabili e non discriminatorie, garantendo al tempo stesso la richiesta tutela della salute. Essa ricorda poi che la possibilità di importare medicinali non autorizzati, prevista da una normativa nazionale che attua la deroga contemplata dalla direttiva, deve rimanere eccezionale e può essere esercitata soltanto in caso di necessità, tenuto conto dei bisogni specifici dei pazienti. La nozione di «esigenze speciali» si riferisce esclusivamente a situazioni individuali giustificate da considerazioni mediche e presuppone che il medicinale sia necessario per rispondere alle esigenze dei pazienti. Del pari, la condizione che i medicinali siano forniti per rispondere ad un’”ordinazione leale e non sollecitata” significa che il medicinale deve essere stato prescritto dal medico al termine di un esame effettivo dei suoi pazienti e basandosi su considerazioni puramente terapeutiche. Conseguentemente, la deroga prevista dalla direttiva può riguardare soltanto situazioni in cui il medico ritiene che lo stato di salute di suoi specifici pazienti richieda la somministrazione di un medicinale di cui non esiste l’equivalente autorizzato sul mercato nazionale o che non è disponibile su tale mercato. Pertanto, non è in effetti possibile, allorché dei medicinali, composti delle stesse sostanze attive, dello stesso dosaggio e che sono caratterizzati dalla stessa forma di quelli che il medico curante ritiene di dover prescrivere per curare i suoi pazienti siano già autorizzati e disponibili sul mercato nazionale, parlare di «esigenze speciali» in base alle quali occorrerebbe derogare al requisito dell’Aic. Le considerazioni finanziarie non possono, di per sé, condurre a riconoscere l’esistenza di siffatte esigenze speciali idonee a giustificare l’applicazione della deroga. La Corte constata che la normativa polacca contestata introduce un’eccezione al requisito di un’Aic fondata non sull’indisponibilità effettiva del medicinale autorizzato sul territorio nazionale, bensì sul prezzo «competitivo», cioè meno elevato, del medicinale equivalente. Essa consente così l’importazione e l’immissione sul mercato nazionale, senza Aic, di medicinali che non sono necessari a soddisfare esigenze speciali di natura medica. La Corte respinge l’argomento della Polonia secondo cui l’importazione e l’immissione sul mercato nazionale di un medicinale meno caro del medicinale equivalente munito dell’Aic possono essere giustificate da considerazioni finanziarie, in quanto necessarie tanto a garantire l’equilibrio finanziario del regime nazionale di assicurazione sociale quanto a permettere a pazienti che beneficiano soltanto di mezzi economici limitati di accedere alle cure di cui avrebbero bisogno. Essa ricorda al riguardo che, anche se il diritto dell’Unione non pregiudica la competenza degli Stati membri ad impostare i loro sistemi di previdenza sociale e ad adottare, in particolare, le disposizioni destinate a disciplinare il consumo di prodotti farmaceutici nell’interesse dell’equilibrio finanziario dei loro sistemi sanitari, gli Stati membri devono tuttavia rispettare il diritto dell’Unione nell’esercizio di tale competenza. L’eccezione prevista dalla direttiva non riguarda l’organizzazione del sistema sanitario o il suo equilibrio finanziario, ma costituisce una disposizione derogatoria specifica, di interpretazione restrittiva, applicabile in casi eccezionali in cui occorre rispondere ad esigenze speciali di natura medica. La Corte precisa infine che gli Stati membri restano competenti per fissare il prezzo dei medicinali e il loro livello di rimborso da parte del sistema nazionale di assicurazione malattia, sulla base delle condizioni sanitarie, economiche e sociali. Di conseguenza, la Corte conclude che la Polonia non ha adempiuto agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 29 marzo 2012, Sentenza nella causa C-185/10 Commissione / Polonia) |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
GIUSTIZIA EUROPEA: ANNULLATA DECISIONE COMMISSIONE CHE ACCOLLA I COSTI DELL´ELIMINAZIONE AI NUOVI STATI MEMBRI (SENTENZE T-243/07 E A.)
|
|
|
|
|
|
Il Tribunale annulla la decisione della Commissione che impone ai nuovi Stati membri gli importi finanziari connessi all´eliminazione delle eccedenze di prodotti agricoli presenti nel loro territorio alla data dell´adesione all´Unione Questo tipo di versamento al bilancio comunitario è contrario all´atto di adesione di tali Stati Nell´ambito del processo di allargamento dell´Unione europea conclusosi con l´adesione, il 1° marzo 2004, di dieci nuovi Stati membri, l´Unione e gli Stati interessati hanno avviato negoziati incentrati sull´agricoltura, e precisamente sulla situazione giuridica delle eccedenze di prodotti agricoli, vale a dire le scorte di tali prodotti in libera pratica presenti nel territorio dei nuovi Stati membri alla data dell´adesione che superano la quantità che può essere considerata una scorta normale di riporto. Secondo l´atto di adesione del 2003, tutte le eccedenze – private o pubbliche – devono essere eliminate a spese dei nuovi Stati membri e la Commissione deve adottare le disposizioni necessarie a tal fine. Nel 2007, la Commissione ha adottato, sulla base delle disposizioni di tale atto, una decisione nella quale ha quantificato le eccedenze presenti nel territorio dei nuovi Stati membri al 1° maggio 2004 e ha fissato importi finanziari da addebitare a tali Stati «per le spese di eliminazione». Essa ha pertanto imposto di versare al bilancio comunitario gli importi seguenti, calcolati in base al volume delle eccedenze di ciascun prodotto agricolo:
Stato membro |
Importo totale in euro |
Polonia |
12 449 000 |
Slovacchia |
3 634 000 |
Repubblica ceca |
12 287 000 |
Lituania |
3 181 000 | Successivamente, la Polonia, la Slovacchia, la Repubblica ceca e la Lituania hanno proposto ricorso di annullamento contro tale decisione. Con le sentenze pronunciate in data odierna, il Tribunale annulla la decisione della Commissione. Il Tribunale constata anzitutto che, in forza dell´atto di adesione del 2003, la Commissione deve predisporre un sistema che consenta di garantire vuoi la prevenzione delle turbative provocate dallo smercio delle eccedenze sul mercato interno, vuoi la compensazione degli effetti economici di tali turbative. Esso osserva che, grazie a tale sistema, le eccedenze presenti nel territorio dei nuovi Stati membri al 1° maggio 2004 sono, in linea di massima, ritirate dal mercato interno (in particolare mediante esportazione o distruzione). Secondo il Tribunale, la Commissione può decidere che il ritiro sarà effettuato da tali Stati membri o dalla Comunità, che in questo caso ripercuote il costo su detti Stati membri. Il Tribunale accerta poi che il sistema di eliminazione delle eccedenze previsto dalla decisione impugnata non è fondato sulla distruzione o sull´esportazione. Si tratta di un sistema mediante il quale le eccedenze possono integrarsi definitivamente nel mercato interno a partire dal 1° maggio 2004 e che implica che i nuovi Stati membri versino al bilancio comunitario un importo finanziario che riflette il costo che avrebbe dovuto essere sostenuto da detto bilancio se la Comunità avesse finanziato l´esportazione di dette eccedenze. Esso conclude che gli importi finanziari oggetto della decisione impugnata non sono contributi finanziari previsti dall´atto di adesione a copertura delle spese di eliminazione delle eccedenze, ma semplici pagamenti posti a carico dei nuovi Stati membri a favore della Comunità. Il Tribunale respinge gli argomenti della Commissione secondo i quali la misura prevista dalla decisione impugnata è comunque l´unica in grado di garantire la realizzazione dell´obiettivo perseguito dall´atto di adesione. In primo luogo, esso considera che, anche se le eccedenze presenti al 1° maggio 2004 sul territorio dei nuovi Stati membri hanno potuto essere assorbite dal mercato interno prima dell´adozione della decisione impugnata, l´eliminazione prevista dall´atto di adesione può essere effettuata mediante distruzione o esportazione. In secondo luogo, il Tribunale osserva che l´onerosità dell´organizzazione di un siffatto sistema di eliminazione delle eccedenze non può portare alla conclusione che l´atto di adesione debba essere interpretato nel senso che prevede l´adozione di una misura diversa (quale l´imposizione di un importo finanziario). In terzo luogo, il Tribunale constata che l´eliminazione delle eccedenze mediante distruzione o esportazione contribuisce a correggere le turbative economiche connesse alla presenza delle eccedenze sul territorio dei nuovi Stati membri alla data dell´adesione anche dopo lo smercio delle eccedenze sul mercato. Infatti, l’eliminazione delle eccedenze può provocare un aumento della domanda sul mercato interno dei prodotti agricoli di cui trattasi e, pertanto, può compensare, in tutto o in parte, l´effetto negativo della presenza delle eccedenze sulla stabilità dei mercati interessati. (Tribunale dell’Unione europea, Lussemburgo, 29 marzo 2012, Sentenze nelle cause T-243/07 Polonia / Commissione, T-247/07 Slovacchia / Commissione, T-248/07, Repubblica ceca / Commissione, T-262/07 Lituania / Commissione) |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
GIUSTIZIA EUROPEA: OFFERTE ANORMALMENTE BASSE: AMMINISTRAZIONE AGGIUDICATRICE DEVE CHIEDERE CHIARIMENTI AL CANDIDATO (SENTENZA C-599/10)
|
|
|
|
|
|
L’amministrazione aggiudicatrice di un appalto deve chiedere chiarimenti al candidato qualora l’offerta sembri contenere un prezzo anormalmente basso L’amministrazione aggiudicatrice non è invece obbligata a chiedere chiarimenti riguardo a un’offerta imprecisa o non conforme alle specifiche tecniche del capitolato d’oneri La società commerciale Národná diaľničná spoločnosť a.S. (la «Nds»), controllata al 100% dallo Stato slovacco, ha indetto una gara d’appalto a procedura ristretta, con bando pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 27 settembre 2007, al fine di aggiudicare un appalto pubblico di un valore stimato pari ad oltre Eur 600 milioni, per la fornitura di servizi di riscossione di pedaggi sulle autostrade e su talune strade in Slovacchia. Per tale appalto hanno presentato offerte, assieme ad altri candidati, i raggruppamenti d’imprese Sag Elv e a. E Slovakpass. In seguito, la Nds ha chiesto a questi ultimi chiarimenti in merito agli aspetti tecnici delle loro offerte e ai prezzi anormalmente bassi da essi proposti. Nonostante la Sag Elv e a. E la Slovakpass avessero risposto a tali richieste, la Nds li ha esclusi dal procedimento. I due raggruppamenti di società hanno avviato azioni giudiziarie avverso le decisioni amministrative che stabilivano la loro esclusione dal procedimento e le controversie sono pervenute sino dinanzi al Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema, Slovacchia), che manifesta dubbi in ordine alla questione se le decisioni della Nds rispettino i principi del diritto dell’Unione relativi alla non discriminazione e alla trasparenza nell’aggiudicazione degli appalti pubblici. Infatti il Najvyšší súd Slovenskej republiky considera che la Nds abbia escluso dal procedimento questi due raggruppamenti senza prima aver chiesto loro chiarimenti sull’asserita inosservanza delle specifiche tecniche del capitolato d’oneri e senza averli interrogati con sufficiente chiarezza in ordine ai dubbi relativi al prezzo anormalmente basso figurante nelle offerte. Il giudice slovacco chiede alla Corte di giustizia se il modo di procedere della Nds sia stato conforme alle disposizioni della direttiva sugli appalti pubblici. Nella sentenza pronunciata in data odierna la Corte rileva, anzitutto, che la direttiva prescrive all’amministrazione aggiudicatrice di verificare gli elementi costitutivi delle offerte contenenti un prezzo anormalmente basso e di chiedere ai candidati di fornire le giustificazioni necessarie a provare la serietà delle loro offerte. Di conseguenza, la direttiva osta alla posizione di un’amministrazione aggiudicatrice che sostenga di non essere obbligata a chiedere al candidato chiarimenti su un prezzo anormalmente basso. La Corte precisa altresì che l’amministrazione aggiudicatrice deve formulare in modo chiaro la propria domanda di chiarimenti per consentire ai candidati di giustificare pienamente e utilmente la serietà delle loro offerte. Spetta tuttavia al giudice slovacco verificare se, nel caso di specie, tale esigenza sia soddisfatta. La Corte constata poi che la direttiva – a differenza di quanto avviene per le offerte anormalmente basse – non prevede esplicitamente quali siano le conseguenze da trarre dalla constatazione, nell’ambito di una gara d’appalto a procedura ristretta, dell’imprecisione di un’offerta o della sua non conformità alle specifiche tecniche del capitolato d’oneri. Secondo la Corte tale procedura, per sua natura, comporta che, una volta effettuata la selezione dei candidati e dopo che essi abbiano depositato la loro offerta, quest’ultima non possa più, in linea di principio, essere modificata né su iniziativa dell’amministrazione aggiudicatrice né su iniziativa del candidato. Infatti, il principio di parità di trattamento dei candidati e l’obbligo di trasparenza ostano, nell’ambito di tale procedura, a qualsivoglia trattativa tra l’amministrazione aggiudicatrice e l’uno o l’altro dei candidati. In tal senso, consentire all’amministrazione aggiudicatrice di chiedere ad un candidato, la cui l’offerta essa ritiene imprecisa o non conforme alle specifiche tecniche del capitolato d’oneri, chiarimenti al riguardo, rischierebbe di far sembrare, qualora l’offerta di tale candidato venisse infine accolta, che detta amministrazione aggiudicatrice abbia negoziato l’offerta in via riservata, a danno degli altri candidati e in violazione del principio di parità di trattamento. La Corte ricorda inoltre che spetta ai candidati verificare che le loro offerte siano redatte con sufficiente precisione. Pertanto, la Corte risponde che la direttiva non obbliga l’amministrazione aggiudicatrice a chiedere ai candidati, nell’ambito di una gara d’appalto a procedura ristretta, di chiarire le loro offerte rispetto alle specifiche tecniche del capitolato d’oneri prima di respingerle a causa della loro imprecisione o non conformità a tali specifiche. La Corte precisa tuttavia che l’amministrazione aggiudicatrice può chiedere per iscritto ai candidati di chiarire le loro offerte, qualora tale modo di procedere non comporti la modifica di queste ultime. Del pari, i dati relativi ad un’offerta possono essere corretti o completati su singoli punti, in particolare in quanto necessitino di un semplice chiarimento, o al fine di correggere errori materiali manifesti, sempre che tale modifica non comporti in realtà la proposta di una nuova offerta. Tuttavia una richiesta di chiarimenti non può mai favorire o sfavorire il candidato cui essa è rivolta e può intervenire soltanto dopo che l’amministrazione aggiudicatrice abbia acquisito conoscenza di tutte le offerte. Inoltre, tale richiesta deve essere indirizzata, in linea di principio, in maniera equivalente a tutte le imprese che si trovino nella stessa situazione e deve riguardare tutti i punti imprecisi o non conformi dell’offerta. Pertanto l’amministrazione aggiudicatrice non può scartare un’offerta per mancanza di chiarezza di un aspetto della stessa che non abbia formato oggetto della richiesta di chiarimenti. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 29 marzo 2012, Sentenza nella causa C-599/10, Sag Elv Slovensko a.S. E altri / Úrad pre verejné obstarávanie) |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
GIUSTIZIA EUROPEA: IL TRIBUNALE CONFERMA LE DECISIONI DELLA COMMISSIONE CHE QUALIFICANO COME ILLEGITTIMO IL PRESTITO CONCESSO DALLO STATO ITALIANO AD ALITALIA, MA AUTORIZZANO LA VENDITA DEI BENI DI QUEST’ULTIMA
|
|
|
|
|
|
La Alitalia Spa è una società di trasporto aereo detenuta al 49,9 dallo Stato italiano. Nel 2006, a seguito di vari tentativi infruttuosi di risanare la situazione finanziaria di Alitalia, le autorità italiane hanno deciso di vendere la loro partecipazione nel capitale di quest’ultima. Nel 2008 lo Stato italiano ha concesso ad Alitalia un prestito di Eur 300 milioni, riconoscendole altresì la facoltà di imputare tale somma in conto capitale. Alitalia, a quel punto in situazione di insolvenza, è stata posta in amministrazione straordinaria, ed è stata nominata una banca quale esperto indipendente, al fine di verificare la congruità del prezzo di vendita dei beni di detta compagnia rispetto al prezzo di mercato. L’offerta della Compagnia Aerea Italiana («Cai»), presentata ai fini dell’acquisto di alcuni beni di Alitalia, in risposta all’invito a manifestare interesse lanciato a questo scopo, è stata trasmessa dalle autorità italiane alla Commissione. La Commissione ha così avviato un procedimento d’indagine formale in merito alle misure relative al prestito ed alla facoltà di imputare la somma in conto capitale. Con una prima decisione, essa ha constatato che il prestito costituiva un aiuto di Stato illegittimo e incompatibile con il mercato comune, in quanto conferiva un vantaggio economico finanziato con risorse statali, che non sarebbe stato concesso da un investitore privato avveduto. La Commissione ha dunque ordinato il recupero di tale aiuto presso Alitalia. Con una seconda decisione, la Commissione ha ritenuto che la misura relativa alla vendita dei beni di Alitalia non implicasse la concessione di un aiuto di Stato agli acquirenti di quest’ultima, fatto salvo il rispetto integrale degli impegni presi dalle autorità italiane, in forza dei quali la vendita sarebbe stata realizzata al prezzo di mercato. Inoltre, la Commissione ha confermato che neppure la procedura di amministrazione straordinaria alla quale era stata sottoposta Alitalia portava alla concessione di un aiuto a favore degli acquirenti. L’istituzione ha concluso che la procedura attuata dall’Italia non implicava una continuità economica tra Alitalia e gli acquirenti dei suoi beni – tenuto conto dell’estensione della vendita di tali beni e della parcellizzazione delle offerte presentate dai suddetti acquirenti – e che tale vendita non aveva come effetto di eludere l’obbligo di recupero dell’aiuto, né quello di concedere aiuti agli acquirenti di Alitalia. Dopo aver depositato varie denunce presso la Commissione simultaneamente ad altre compagnie aeree e all’Associazione europea delle compagnie aeree a basso costo (Elfaa), la Ryanair ha chiesto al Tribunale di annullare le due succitate decisioni della Commissione. Il Tribunale esamina in primo luogo la decisione relativa alla vendita dei beni. Nella sua sentenza in data odierna, esso precisa che la Commissione era competente ad adottare una decisione siffatta, la quale, nel constatare l’insussistenza di un aiuto di Stato, prendeva atto degli impegni assunti dallo Stato italiano, costituenti parte integrante della misura notificata. Il Tribunale constata che la Commissione aveva maturato il convincimento che la vendita sarebbe stata realizzata al prezzo di mercato. Esso respinge di conseguenza gli argomenti della Ryanair secondo cui la Commissione avrebbe effettuato un esame insufficiente o incompleto in occasione della fase di esame preliminare e avrebbe dovuto avviare un procedimento d’indagine formale in merito alla vendita dei beni, al fine di verificare l’eventuale esistenza di opzioni diverse da tale vendita. Il Tribunale respinge anche l’argomento della Ryanair secondo cui la vendita, essendo stata implicitamente subordinata alla condizione della nazionalità (italiana) dell’acquirente, aveva implicato una diminuzione del prezzo. Esso ritiene, al contrario, che la Commissione abbia verificato che l’invito a manifestare interesse non conteneva alcuna clausola discriminatoria fondata sulla nazionalità degli offerenti e che tale invito aveva costituito l’oggetto di larga pubblicità a livello sia nazionale che internazionale. Il Tribunale sottolinea che la Commissione aveva ritenuto che la procedura di vendita di beni, integrata dall’invito a manifestare interesse, non offrisse un livello di trasparenza sufficiente di per sé a garantire che i beni sarebbero stati ceduti al prezzo di mercato. Di conseguenza, la Commissione ha verificato che l’offerta fosse stata sottoposta ad una valutazione indipendente, al fine di assicurarsi che il prezzo proposto non fosse inferiore al prezzo di mercato. Inoltre, la Commissione ha verificato che la procedura presentava le garanzie necessarie per assicurarsi che la vendita sarebbe stata realizzata al prezzo di mercato. Infine, il Tribunale conferma che la Commissione ha correttamente ritenuto che non esistesse alcuna continuità economica tra Alitalia e la Cai e che quest’ultima non avesse beneficiato di alcun vantaggio, dal momento che erano state adottate tutte le misure affinché la cessione avvenisse ad un prezzo non inferiore a quello di mercato. In secondo luogo, all’esito dell’esame della decisione sul prestito, il Tribunale ritiene che la Ryanair, pur avendo svolto un ruolo attivo nella procedura di adozione di tale decisione, non abbia dimostrato che il fatto di ordinare il recupero dell’aiuto presso Alitalia (e non presso la Cai) avesse pregiudicato in modo sostanziale la sua posizione concorrenziale. Ne consegue che la Ryanair non ha dimostrato di essere individualmente riguardata da tale decisione. Di conseguenza, il Tribunale respinge il ricorso della Ryanair, confermando così le decisioni della Commissione. (Tribunale dell’Unione europea - Lussemburgo, 28 marzo 2012, Sentenza nella causa T-123/09, Ryanair / Commissione) |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
GIUSTIZIA EUROPEA: ESTINZIONE AUTOMATICA PROCEDIMENTI TRIBUTARI PENDENTI OLTRE 10 ANNI COMPATIBILE CON DIRITTO UE (SENTENZE C-417/10 E A.)
|
|
|
|
|
|
L´estinzione dei procedimenti tributari pendenti dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione e alla Commissione Tributaria Centrale proposti da più di dieci anni è compatibile con il diritto dell´Unione. Questa misura eccezionale è diretta ad assicurare il rispetto del principio del termine ragionevole del giudizio Al fine di ridurre la durata dei processi in materia tributaria e rispettare così il principio della durata ragionevole del processo, ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell´uomo e delle libertà fondamentali, l’Italia ha adottato, nel 2010, una disposizione legislativa in forza della quale i procedimenti pendenti, alla data della sua entrata in vigore, da più di dieci anni, e per i quali l´Amministrazione finanziaria dello Stato sia risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio, si estinguono senza esame del ricorso. In particolare, i procedimenti pendenti dinanzi alla Commissione Tributaria Centrale sono automaticamente estinti, e quelli pendenti dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione possono essere estinti con il pagamento di un importo pari al 5% del valore della controversia e contestuale rinuncia ad un´eventuale riparazione. In proposito sono state sottoposte alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali, la prima diretta a sapere se il diritto dell´Unione osti all´applicazione di una disposizione di questo tipo in materia di fiscalità diretta, la seconda vertente sulla conformità di una tale disposizione con le norme dell´Unione riguardanti l´Iva. La Corte di Cassazione e la Commissione Tributaria Centrale chiedono in particolare alla Corte se la normativa nazionale sia compatibile con l´obbligo di contrastare le pratiche abusive, con i principi che governano il mercato unico e con l´obbligo di procedere al recupero dell´Iva, dato che tale normativa comporta una rinuncia pressoché integrale al recupero del credito fiscale o dell´Iva. Nella prima causa, la Corte ricorda anzitutto che, anche se la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitarla nel rispetto del diritto dell’Unione. Essa ritiene poi che il diritto dell´Unione non osti, nella fattispecie, a una disposizione nazionale, che, al fine di limitare la durata dei processi in materia tributaria, consente, a determinate condizioni, l´estinzione del procedimento tributario. In particolare, in sede di esame della compatibilità delle disposizioni nazionali con le norme in materia di aiuti di Stato, la Corte reputa che le misure in questione non soddisfino il criterio di selettività e non costituiscano quindi aiuti di Stato. Nella seconda causa, che riguarda l´estinzione automatica dei procedimenti pendenti dinanzi alla Commissione Tributaria Centrale, competente a esaminare le domande di rettifica dell´Iva, la Corte rammenta che ogni Stato membro ha l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’Iva sia interamente riscossa nel suo territorio. Se è vero che gli Stati membri beneficiano di una certa libertà in relazione al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione, tale libertà è tuttavia limitata dall’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione, nel rispetto del principio del termine ragionevole del giudizio. La Corte sottolinea tuttavia la differenza tra la presente causa ed una precedente, in cui la stessa aveva considerato che delle misure intervenute pochissimo tempo dopo la scadenza dei termini assegnati per il pagamento degli importi Iva dovuti, e che consentivano ai soggetti passivi di sfuggire a qualsiasi controllo dell’Amministrazione tributaria, costituivano una rinuncia generale ed indifferenziata alla verifica delle operazioni imponibili, rinuncia contraria al diritto dell´Unione. Nella presente causa, invece, la Corte osserva che si tratta di una disposizione eccezionale, avente carattere circoscritto e limitato, diretta ad assicurare il rispetto del principio del termine ragionevole del giudizio e che non crea significative differenze nel modo in cui sono trattati i soggetti d’imposta nel loro insieme. Pertanto, essa non pregiudica il principio di neutralità fiscale. Di conseguenza, la Corte dichiara che il diritto dell´Unione non osta alla disposizione italiana. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 29 marzo 2012, Sentenza nelle cause C-417/10, Ministero dell´Economia e delle Finanze, Agenzia delle Entrate/3m Italia Spa, e C-500/10 Ufficio Iva di Piacenza /Belvedere Costruzioni Srl) |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
GIUSTIZIA EUROPEA: LA MANCANZA DI DILIGENZA DELLE AUTORITÀ DOGANALI NAZIONALI PUÒ DARE LUOGO A UNA SITUAZIONE PARTICOLARE CHE GIUSTIFICA LO SGRAVIO DI UN´OBBLIGAZIONE DOGANALE
|
|
|
|
|
|
Ciò avviene quando le citate autorità accettano una garanzia insufficiente a coprire l´obbligazione doganale derivante da un insieme di operazioni di transito comunitario esterno Ogni merce non comunitaria che entra nel territorio dell´Unione europea deve essere, in linea di principio, sdoganata già al suo arrivo. Al fine di non intasare le frontiere dell´Unione e di consentire uno sdoganamento prossimo all´impresa destinataria delle merci, il codice doganale dell´Unione permette di sottoporre al regime del transito comunitario esterno tali merci. In applicazione di tale regime, le merci possono circolare sotto vigilanza doganale nel territorio doganale ed essere immesse in libera pratica, in particolare mediante pagamento di dazi all’importazione, solo presso l’ufficio doganale di destinazione. L’obbligazione doganale all’importazione sorge qualora, durante il transito, le merci siano sottratte alla vigilanza doganale. Tuttavia, un rimborso o uno sgravio dell´obbligazione doganale che consegue all´importazione delle merci può essere giustificato da una situazione particolare derivante da circostanze che non implicano frode o manifesta negligenza da parte dell´interessato. Al fine di assicurare il pagamento dell´obbligazione doganale che potrebbe sorgere sulla merce che beneficia di un regime di transito comunitario esterno, il titolare del regime (come, a titolo di esempio, il trasportatore) deve prestare una garanzia. A tale proposito, le autorità doganali permettono che venga costituita una garanzia globale per più operazioni che comportino o possano comportare il sorgere di un´obbligazione doganale. Tuttavia, quando le autorità doganali constatano che la garanzia prestata non assicura o non assicura più l’effettivo o integrale adempimento dell’obbligazione doganale, esse esigono che il titolare fornisca, a sua scelta, una garanzia complementare oppure una nuova garanzia in sostituzione della garanzia iniziale. La Transnáutica – Transportes e Navegação Sa è una società portoghese di trasporti su strada. Nel periodo compreso tra il 14 aprile e il 12 ottobre 1994 l’ufficio doganale di Xabregas (Portogallo) ha rilasciato, in quanto ufficio doganale di partenza, 68 dichiarazioni di transito in favore di tale società ai fini dell’immissione in circolazione, nel territorio doganale dell’Unione, di 64 forniture di tabacco e 4 forniture di alcool etilico rientranti nel regime di transito comunitario esterno. Conclusa l´operazione di transito sono state rilevate talune irregolarità. Le autorità portoghesi hanno quindi chiesto alla Transnáutica, da un lato, di fornire la prova del fatto che essa avesse agito regolarmente e legittimamente nell’ambito della procedura di transito e, dall’altro, di pagare le obbligazioni doganali corrispondenti. Non essendo stata a conoscenza di tali operazioni di transito, la Transnáutica ha scoperto che uno dei suoi dipendenti aveva agito a fini di frode firmando, a sua insaputa, talune dichiarazioni di transito per operazioni di contrabbando. Il dipendente di cui trattasi è stato licenziato e, in seguito, dichiarato colpevole di appropriazione indebita continuata. Per quanto riguarda la Transnáutica, l’indagine penale avviata a suo carico è stata archiviata in ragione del fatto che essa ignorava le azioni del proprio dipendente e che i suoi rappresentanti non erano implicati in tale frode. Nel novembre 2003 la Transnáutica ha chiesto il rimborso e lo sgravio dell’obbligazione doganale derivante dall´importazione delle 68 forniture di cui trattasi. Il 6 luglio 2005 la Commissione europea ha respinto la domanda della Transnáutica. Infatti, essa ha ritenuto che detta società non si trovasse in una situazione particolare che giustificasse lo sgravio e il rimborso dell’obbligazione doganale. Nell´ottobre 2005 la Transnáutica ha proposto un ricorso avverso tale decisione dinanzi al Tribunale. Quest´ultimo, con sentenza del 23 settembre 2009, ha annullato la decisione della Commissione. Infatti, il Tribunale ha considerato che le autorità doganali portoghesi avevano accettato, per le 68 dichiarazioni di transito in esame, una garanzia insufficiente. Quindi, se le autorità doganali portoghesi avessero verificato, al momento del rilascio delle dichiarazioni in esame, che l’importo dei dazi e delle altre imposizioni che potevano sorgere per ogni carico fosse coperto dalla garanzia globale fornita dalla Transnáutica, non si sarebbe potuto rilasciare le 68 dichiarazioni. Tale mancanza di diligenza ha collocato la Transnáutica in una situazione particolare che va oltre l’ordinario rischio commerciale legato alla sua attività economica. In tale contesto il Portogallo ha impugnato tale sentenza del Tribunale dinanzi alla Corte di giustizia. Nella sua sentenza odierna la Corte respinge l´impugnazione e conferma la sentenza del Tribunale che annulla la decisione della Commissione. Infatti, la Corte ritiene che il Tribunale poteva legittimamente considerare che la mancanza di diligenza da parte delle autorità doganali portoghesi, la quale ha condotto all’inefficacia delle procedure di controllo messe in atto dalla Transnáutica, ha dato luogo a una situazione particolare che giustifica lo sgravio dell´obbligazione doganale. In via preliminare, la Corte rileva che l’azione e il controllo delle autorità doganali nazionali competenti sono essenziali, non solo al momento della costituzione del certificato di garanzia, bensì anche ogni volta che una garanzia globale, destinata a effettuare e coprire diverse operazioni di transito, venga costituita. Di conseguenza, sebbene il codice doganale non comporti l’obbligo formale di controllare l’adeguatezza della garanzia globale, spetta alle autorità doganali competenti adottare tutte le misure necessarie qualora rilevino un divario tra l’importo della garanzia costituita e il totale dei dazi che sono dovuti per un determinato insieme di operazioni di transito. Inoltre, la Corte conferma la conclusione del Tribunale secondo la quale la garanzia richiesta dalle autorità doganali nel caso di specie era inadeguata. A tale proposito la Corte rileva che la garanzia globale effettivamente costituita non ha mai coperto più del 7,29% dei dazi dovuti, mentre l’importo di quest’ultima avrebbe dovuto, almeno, coprirne il 30%. Peraltro, la Corte conferma il ragionamento del Tribunale riguardante il nesso di causalità fra, da un lato, l’assenza di vigilanza da parte delle citate autorità, la quale ha avuto come conseguenza il fatto che le operazioni di transito sono sfuggite alle misure di controllo previste dalla normativa applicabile e, dall’altro, l’esistenza di una situazione particolare. Su tale punto la Corte precisa che, contrariamente a quanto sostenuto dal Portogallo, il Tribunale non ha determinato l´esistenza di un nesso di causalità fra l’errore di calcolo dell’importo della garanzia globale e il sorgere di un’obbligazione. Infatti, il Tribunale ha esaminato se i fatti all’origine della controversia potessero dare luogo ad una «situazione particolare» che giustifica lo sgravio dell´obbligazione doganale. Così facendo, se le autorità doganali avessero adempiuto ai loro obblighi nel calcolo dell’importo della garanzia globale da costituire, ne sarebbe derivato che le 68 dichiarazioni di transito non sarebbero potute essere rilasciate e che, quindi, l´insieme delle transazioni, giudicate poi fraudolente, non avrebbe mai avuto luogo. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 22 marzo 2012, Sentenza nella causa C- 506/09 P, Portogallo / Transnáutica – Transportes e Navegação Sa) |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
GIUSTIZIA EUROPEA: IL TRIBUNALE CONFERMA L’AMMENDA DI OLTRE EUR 151 MILIONI INFLITTA DALLA COMMISSIONE ALLA TELEFóNICA PER AVER ABUSATO DELLA SUA POSIZIONE DOMINANTE SUL MERCATO DELL’ACCESSO A INTERNET A BANDA LARGA IN SPAGNA |
|
|
|
|
|
In particolare, la Telefónica ha abusato della propria posizione dominante sui mercati spagnoli all’ingrosso di accesso regionale e nazionale Il diritto dell’Unione vieta alle imprese di sfruttare abusivamente una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale del medesimo, laddove ciò possa pregiudicare il commercio tra gli Stati membri. Prima della liberalizzazione totale dei mercati delle telecomunicazioni nel 1998, la Telefónica godeva di un monopolio legale per la fornitura al dettaglio di servizi di telecomunicazioni a linea fissa. Al momento della liberalizzazione la Telefónica era quindi l’unico operatore spagnolo di telecomunicazioni che disponesse di una rete di telefonia fissa in tutto il paese. Nel periodo compreso tra il settembre del 2001 e il dicembre del 2006, la Telefónica ha fornito servizi su tutta la gamma di valore della banda larga utilizzando la tecnologia dell’Adsl, che consente di accedere a Internet a banda larga per mezzo di una linea telefonica fissa. Durante tale periodo la Telefónica ha offerto prodotti al dettaglio a banda larga a privati. Avvalendosi della propria rete di telefonia fissa, essa ha parimenti fornito prodotti all’ingrosso a banda larga agli altri operatori di telecomunicazioni al fine di consentire loro di fornire, essi stessi, servizi al dettaglio a banda larga a privati. Per quanto attiene a tali prodotti all’ingrosso, esistevano tre offerte disponibili per gli altri operatori di telecomunicazioni: 1) la disaggregazioni della rete locale, commercializzata unicamente dalla Telefónica; 2) l’accesso all’ingrosso a livello regionale (Gigadsl), parimenti commercializzato unicamente dalla Telefónica; 3) una serie di offerte di accesso all’ingrosso a livello nazionale, commercializzate tanto dalla Telefónica (Adsl-ip e Adsl-ip Total), quanto da altri operatori sulla base della disaggregazione della rete locale e/o del prodotto all’ingrosso di accesso regionale. A seguito di una denuncia, la Commissione ha deciso, il 4 luglio 2007, che la Telefónica aveva abusato della propria posizione dominante sul mercato spagnolo di accesso all’ingrosso a livello nazionale e regionale durante il periodo compreso tra il settembre 2001 e il dicembre 2006. A tal riguardo, la Commissione ha ritenuto che la Telefónica avesse imposto prezzi non equi ai propri concorrenti sotto forma di compressione dei margini tra i prezzi di accesso al dettaglio a banda larga e i prezzi di accesso all’ingrosso a banda larga a livello regionale e nazionale. Alla Telefónica è stata quindi inflitta un’ammenda pari a Eur 151 875 000. La Spagna e la Telefónica hanno quindi proposto ricorso dinanzi al Tribunale chiedendo l’annullamento della decisione della Commissione. Con le sentenze odierne, il Tribunale respinge i ricorsi, considerando che correttamente la Commissione abbia potuto affermare che la Telefónica aveva abusato della propria posizione dominante. In primo luogo, il Tribunale conferma che la disaggregazione della rete locale, il prodotto all’ingrosso regionale ed il prodotto all’ingrosso nazionale, non appartenevano allo stesso mercato di prodotti durante il periodo interessato, ragion per cui l’eventuale esistenza di una posizione dominante della Telefónica su ciascuno di tali mercati doveva essere valutata separatamente. Conseguentemente, il Tribunale respinge l’argomentazione dedotta dalla Telefónica, secondo cui la Commissione non avrebbe dovuto esaminare l’esistenza di una compressione dei margini per ogni prodotto all’ingrosso separatamente considerato, atteso che gli operatori alternativi utilizzerebbero una combinazione ottimale di prodotti all’ingrosso a banda larga, ivi compresa la disaggregazione della rete locale, il che consentirebbe riduzioni dei costi. Secondo il Tribunale, tale approccio si risolverebbe nel ritenere che un operatore alternativo possa compensare le perdite subite per effetto della compressione dei margini con ricavi provenienti dall’utilizzazione, in talune zone geografiche più redditizie, della disaggregazione della rete locale la quale non costituirebbe oggetto di compressione dei margini. A tal riguardo, il Tribunale ricorda che la nozione di mercato implica l’esistenza di una concorrenza effettiva tra i prodotti che ne fanno parte, il che presuppone un sufficiente grado di intercambiabilità ai fini della stessa utilizzazione tra tutti i prodotti appartenenti ad uno stesso mercato e ciò a breve termine. Orbene, da un lato, il Tribunale rileva che sussistono differenze funzionali tra i prodotti all’ingrosso nazionale, all’ingrosso regionale e la disaggregazione della rete locale. Dall’altro, il Tribunale rileva che l’utilizzazione effettiva della rete locale ha avuto inizio, in misura limitata, solo alla fine del 2004 e all’inizio del 2005. In secondo luogo, il Tribunale ritiene che correttamente la Commissione ha affermato che la Telefónica si trovava in una posizione dominante sul mercato all’ingrosso regionale e sul mercato all’ingrosso nazionale durante il periodo dell’infrazione. A tal riguardo, non è stato contestato che la Telefónica fosse l’unico operatore a fornire il prodotto all’ingrosso regionale in Spagna dal 1999 in poi, disponendo in tal modo, su tale mercato, di un monopolio di fatto. Parimenti, non è stato contestato che, sul mercato all’ingrosso nazionale, la Telefónica abbia detenuto una quota di mercato superiore all’84% per tutto il periodo dell’infrazione. In terzo luogo, per quanto attiene al comportamento abusivo della Telefónica, il Tribunale ricorda che una compressione dei margini su un mercato rilevante può costituire, di per sé, un abuso di posizione dominante. La compressione dei margini risulta dal divario tra i prezzi per le prestazioni all’ingrosso ed i prezzi per le prestazioni al dettaglio. Pertanto, la Commissione non era tenuta a dimostrare che la Telefónica praticasse prezzi eccessivi per i propri prodotti all’ingrosso di accesso indiretto ovvero prezzi predatori per i propri prodotti al dettaglio. Inoltre, per quanto attiene alla valutazione della liceità della politica dei prezzi applicata dalla Telefónica, il Tribunale conferma l’approccio seguito dalla Commissione, consistente nel far riferimento a criteri di prezzo fondati sui costi sostenuti dalla Telefónica stessa e sulla sua strategia. Infatti, per quanto attiene ad una pratica tariffaria che produca una compressione dei margini, l’utilizzo di tali criteri di analisi consente di verificare se l’impresa in posizione dominante sia stata sufficientemente efficiente per offrire le proprie prestazioni al dettaglio ai clienti finali senza incorrere in perdita, qualora fosse stata previamente obbligata a pagare i propri prezzi all’ingrosso per le prestazioni intermedie. In quarto luogo, quanto agli effetti del comportamento della Telefónica, il Tribunale ritiene che senza incorrere in manifesti errori di valutazione la Commissione abbia concluso che il comportamento dell’impresa avesse probabilmente rafforzato le barriere all’ingresso e all’espansione su tale mercato e che, in assenza di distorsioni risultanti dalla compressione dei margini, la concorrenza sarebbe stata probabilmente più vivace sul mercato al dettaglio, cosa di cui avrebbero beneficiato i consumatori in termini di prezzi, di scelta e di innovazione. In quinto luogo, per quanto attiene alla determinazione dell’ammenda, il Tribunale ha disatteso gli argomenti della Telefónica volti a dimostrare che essa non era ragionevolmente in grado di prevedere il carattere anticoncorrenziale del proprio comportamento. Anzitutto, il Tribunale conferma che la Telefónica disponeva di un margine di manovra sufficiente per fissare la propria politica di prezzi. Infatti, da un lato, la Telefónica disponeva della libertà di ridurre il prezzo del prodotto all’ingrosso nazionale, in quanto quest’ultimo non era soggetto a regolamentazione. Dall’altro, per quanto attiene al prezzo del prodotto all’ingrosso regionale della Telefónica, il Tribunale ritiene che i prezzi fissati dalla Commissione del mercato delle telecomunicazioni spagnolo (Cmt) fossero prezzi massimi e che, conseguentemente, la Telefónica fosse libera di chiedere una riduzione dei propri prezzi. Infine, per quanto attiene ai prezzi al dettaglio, la Telefónica non ha contestato che essa era libera di aumentare i propri prezzi in qualsiasi momento. Inoltre, il Tribunale ritiene che la Telefónica non potesse ignorare che il rispetto della normativa spagnola in materia di telecomunicazioni – e, in particolare, il rispetto delle decisioni emanate dalla Cmt sulla base del contesto normativo – non la ponesse al riparo di un intervento della Commissione basato sul diritto della concorrenza. Il Tribunale ricorda che le norme dell’Unione in materia di concorrenza completano, con l’esercizio di un controllo a posteriori, il contesto normativo adottato dal legislatore dell’Unione ai fini della regolamentazione ex ante dei mercati delle telecomunicazioni. Infine, per quanto attiene al prodotto all’ingrosso regionale della Telefónica, la Cmt aveva istituito un sistema di fissazione dei prezzi per tale prodotto ed aveva analizzato l’esistenza di un effetto di compressione dei margini in una serie di decisioni adottate nel corso del periodo dell’infrazione sulla base di previe stime. Tuttavia, il Tribunale ritiene che tali elementi siano irrilevanti quanto alla responsabilità incombente alla Telefónica sulla base del diritto della concorrenza. Infatti, la Telefónica non poteva ignorare che la Cmt non aveva mai fissato il sistema dei prezzi di cui trattasi né analizzato l’esistenza di un effetto di compressione dei margini sulla base dei costi reali dell’impresa, bensì sulla base di stime che non erano state confermate dalla realtà degli sviluppi del mercato. (Tribunale dell’Unione europea, Lussemburgo, 29 marzo 2012, Sentenza nelle cause T-336/07 Telefónica e Telefónica de España / Commissione e T-398/07 Spagna / Commissione) |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|