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Notiziario Marketpress di Lunedì 10 Settembre 2012
LEGGE SULL´EDITORIA: NON NECESSARIA LA REGISTRAZIONE PER I PICCOLI GIORNALI WEB  
 
Il Decreto legge 18 maggio 2012, n. 63, recante disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale è stato convertito, con modificazioni, in legge. Il Provvedimento riduce i vincoli burocratici per i piccoli periodici online, realizzati solo ed unicamente su supporto informatico e diffusi solo ed unicamente per via telematica, a condizione, però, che gli editori non abbiano fatto domanda di provvidenze, contributi o agevolazioni pubbliche e che conseguano ricavi annui da attività editoriale non superiori a 100.000 euro. Questi periodici non dovranno registrarsi al tribunale e al registro degli operatori di comunicazione (Roc), né a quelli sulla titolarità dell´impresa previsti dall´articolo 5 della Legge 8 febbraio 1948 n.47, dall´articolo 1 della Legge 5 agosto 1981, n. 416, dall´articolo 16 della Legge 7 marzo 2001, n. 62 nonché dalla delibera dell´Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 666/08 del 26 novembre 2008  
   
   
LEGGE SULL’EDITORIA: LA PUBBLICITÀ ONLINE INCLUSA NEL CALCOLO DEL SIC - LE CONCESSIONARIE DOVRANNO REGISTRARSI AL ROC  
 

Il Decreto legge 18 maggio 2012, n. 63, recante disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale è stato convertito, con modificazioni, in legge.

Il provvedimento prevede diverse gestioni della pubblicità online per gli operatori del settore. I ricavi derivanti dalla pubblicità online rientreranno nel paniere del Sistema Integrato di Comunicazione (SIC), sul quale si calcola il tetto "anti-posizione dominante" del 20 per cento introdotto dalla Legge Gasparri

La legge prevede anche l´obbligo di iscrizione nel ROC delle concessionarie di pubblicità sul web.

 

 
   
   
LEGGE SULL’EDITORIA: OBBLIGHI PER GLI EDICOLANTI  
 
Il Decreto legge 18 maggio 2012, n. 63, recante disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale è stato convertito, con modificazioni, in legge. Dal 1° gennaio 2013 le edicole e i rivenditori avranno l´obbligo di tracciabilità delle vendite e delle rese dei giornali quotidiani e dei periodici attraverso strumenti informatici e telematici basati sulla lettura dei codici a barre. Per il loro acquisto edicolanti e rivenditori godranno di un credito di imposta per il 2012 nel limite di 10 milioni di euro da finanziare attraverso risparmi. Queste misure permetteranno di valutare le quote di vendita dei giornali e, in particolare, di quelli che godono di contributi pubblici, ai quali, dal 2013, saranno riconosciuti i contributi solo se venderanno in edicola almeno il 25 per cento del totale di tiratura  
   
   
ALTALEX.EU, LA COMMUNITY DEGLI AVVOCATI EUROPEI  
 
Altalex.com, primo quotidiano di informazione giuridica in Italia, ha lanciato Altalex.eu, la prima community degli avvocati europei. Altalex.eu è un’iniziativa editoriale online in lingua inglese che si propone di diffondere il diritto privato europeo nei paesi europei."Il nostro obiettivo " – afferma il direttore editoriale avv. Alessandro Buralli – “è quello di creare un luogo di incontro fra gli avvocati europei, i praticanti legali, gli studenti universitari e in generale gli operatori del diritto, offrendo una serie di strumenti interattivi per facilitare il confronto”. L’iniziativa è stata presentata a Berlino durante il corso in materia di diritto privato europeo organizzato dal Consiglio Nazionale Forense in collaborazione con la locale Università Humboldt ed il King’s College di Londra  
   
   
PROTOCOLLO FRA TRIBUNALE DI FIRENZE E CAMERA DI COMMERCIO DI FIRENZE PER L’INFORMATIZZAZIONE DELLE PROCEDURE GIUDIZIARIE.  
 
Camera di Commercio di Firenze e Tribunale hanno siglato un protocollo per informatizzare e snellire i tempi di trattazione dei processi civili e penali. Nell’intesa la Camera di Commercio mette a disposizione le sue conoscenze di informatica, posta elettronica certificata, nonché le competenze dell’ufficio studi per quantificare e monitorare i diversi “bisogni” di giustizia, espressi dal territorio. Uno dei primi obbiettivi è il supporto allo sviluppo del Processo Civile Telematico, da qualche tempo attivo presso il Tribunale di Firenze con il coinvolgimento, anche con specifiche intese già in essere, dell’Ordine degli Avvocati e del Ministero della Giustizia. Gli altri ambiti di intervento - in questo che è un programma triennale - saranno i mandati di pagamento on line, la creazione di una banca dati della giurisprudenza del Tribunale, un progetto che riguarderà l’area penale, lo sviluppo dell’“Ufficio del Processo” che coinvolge studenti, tirocinanti e avvocati, oltre all’Università, e infine un progetto volto a dare forte impulso a un ricorso sempre più ampio e adeguato alla mediazione-conciliazione. L’intervento della Camera di Commercio per l’anno in corso è quantificato in 30.000 euro, oltre alle risorse di personale e di conoscenze tecniche specialistiche. “Accelerare le procedure e la funzionalità del Tribunale di Firenze sarà un enorme vantaggio non solo per le imprese fiorentine, ma per l’intera società civile del nostro territorio”. – così si è espresso il Presidente della Camera, Vasco Galgani, al momento della firme del protocollo – “La Camera di Commercio mette a disposizione risorse materiali e immateriali, ma più che altro la sua esperienza quarantennale nell’ambito dell’informatizzazione delle procedure.” “La firma di oggi consacra una positiva collaborazione già da anni operativa tra Tribunale e Camera di Commercio di Firenze.” – aggiunge il Presidente del Tribunale di Firenze, Enrico Ognibene - Il protocollo si inserisce nel percorso virtuoso portato avanti dal Tribunale con le istituzioni pubbliche attive sul territorio con l’obbiettivo di migliorare e rendere più funzionali le procedure organizzative di erogazione del servizio giustizia alla comunità dei cittadini.”  
   
   
MEDIAZIONE TRIBUTARIA: AGENZIA DELLE ENTRATE E COMMERCIALISTI FIRMANO INTESA A ROMA E MILANO  
 
Le Direzioni regionali del Lazio e della Lombardia dell’Agenzia delle Entrate e gli Ordini dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma e Milano hanno firmato un protocollo d’intesa per la collaborazione nella gestione della mediazione tributaria. L’accordo definisce le modalità di collaborazione tra Agenzia e Ordini dei Commercialisti, per assicurare un veloce e proficuo svolgimento del procedimento di mediazione. Saranno organizzate iniziative divulgative, le sessioni di contraddittorio saranno improntate alla massima collaborazione e sarà ridotta al minimo la documentazione che i contribuenti dovranno allegare all’istanza. Con gli accordi di Roma e Milano l’Agenzia prosegue la propria azione di forte sostegno all’istituto della mediazione tributaria, finalizzato alla riduzione del contenzioso di importo inferiore a 20 mila euro  
   
   
FRANCHISING: OSTACOLI ALLO SVILUPPO E PROPOSTE DEGLI OPERATORI  
 
Confimprese, l´Associazione del commercio moderno che rappresenta primari operatori del franchising, Betheboss.it, il portale specializzato nel franchising, e Quickfairs, che organizza la fiera Franchising Nord, presentano oggi, lunedì 10 settembre 2012, alle ore 11.00, presso la Sede Confimprese in Piazza Sant’ambrogio 16, a Milano, i risultati di un sondaggio svolto nel mondo del franchising per evidenziare i problemi del settore ed avanzare proposte concrete per il suo sviluppo. La ricerca - realizzata nel luglio 2012 intervistando franchisor, franchisee e potenziali franchisee - sarà analizzata da specialisti del settore e rappresentanti istituzionali. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di prospettare agli interlocutori istituzionali soluzioni utili per la crescita del franchising. Commenteranno i dati della ricerca, insieme a Mario Resca Presidente Confimprese e Giuseppe Bonani Consigliere Betheboss.it, i seguenti ospiti: Sen. Tiziano Treu, Vice Presidente Xi Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato; On. Raffaello Vignali, Vice Presidente X Commissione Attività Produttive, Commercio e Turismo della Camera dei Deputati; Dott. Giuseppe Capuano, Dirigente Divisione Pmi e Artigianato del Ministero Sviluppo Economico. Info: http://www.confimprese.it/    
   
   
GIUSTIZIA COREANA: APPLE E SAMSUNG CONDANNATI PER VIOLAZIONE RECIPROCA DI BREVETTI  
 
Mentre la giuria del tribunale federale di San Jose, in California, sta deliberando per un simile caso tra i due colossi, il tribunale distrettuale di Seul, nella Corea del Sud, ha condannato sia Apple che Samsung per aver violato i rispettivi brevetti, vietando la vendita di alcuni prodotti delle due società nel Paese. Secondo la corte coreana l´azienda di Cupertino ha violato due brevetti di Samsung in materia di tecnologie wireless ed ha, quindi, ordinato di bloccare le vendite di iPhone 3Gs, iPhone 4, iPad 1 e iPad 2. Il tribunale ha ritenuto anche che la Samsung ha, a sua volta, violato uno dei brevetti di Apple utilizzato per lo scorrimento dei documenti elettronici e, perciò, ha ordinato alla Samsung di ritirare dagli scaffali in Corea del Sud 10 prodotti della società, tra cui lo smartphone Galaxy S2. Continuano, invece, ad essere commercializzati gli ultimi prodotti delle due compagnie, come iPhone 4S e Galaxy S3. I giudici hanno condannato le due società a pagarsi a vicenda un risarcimento per le violazioni dei brevetti: Samsung deve 25 milioni di won (17mila euro) mentre Apple deve 40 milioni di won (28mila euro). Per quanto riguarda il design di iPhone e Galaxy S, pur con evidenti analogie (come gli angoli arrotondati), secondo il giudice coreano i due prodotti hanno un aspetto diverso in considerazione della limitata possibilità di apportare grandi modifiche nei prodotti di tecnologia mobile con touch-screen e del fatto che Samsung ha differenziato i suoi prodotti con tre pulsanti nella parte anteriore, adottando diversi modelli di fotocamera  
   
   
GIUSTIZIA FRANCESE: PER LA CASSAZIONE I MOTORI DI RICERCA NON DEVONO FACILITARE LE VIOLAZIONI  
 
La Corte di Cassazione francese ha annullato le decisioni dei tribunali che avevano visto il Sindacato Nazionale dei fonografici Snep opposto a Google France nella questione relativa a "Google Suggest", l´applicazione che facilita le ricerche degli utenti. Secondo lo Snep, digitando il nome di un artista o di un brano musicale nel motore di ricerca, l´utente viene spesso indirizzato verso siti che consentono scaricamenti illegali dei file musicali: per questo motivo il sindacato si era rivolto alla magistratura chiedendo che Google impedisse tali associazioni. La Corte d´Appello aveva respinto la domanda argomentando che la segnalazione di tali siti non costituiva di per sé una violazione al diritto d´autore. La Cassazione – come ribadisce un comunicato dello Snep – ha cancellato la sentenza della Corte d´Appello "considerando che la funzionalità del motore di ricerca facilita le violazioni e le misure richieste dalla Snep sono in direzione della prevenzione o della cessazione almeno parziale delle stesse"  
   
   
PRIVACY: CREDITO AL CONSUMO E CALL CENTER SOTTO LA LENTE DEL GARANTE  
 
Varato il piano ispettivo per il secondo semestre 2012. Credito al consumo, nuovi strumenti di pagamento gestiti dalle compagnie telefoniche (mobile payment), telemarketing tramite call center, ma anche sistemi informativi utilizzati da enti previdenziali e dall´amministrazione finanziaria. E´ su questi delicati settori e sulle modalità con le quali vengono trattati i dati personali di milioni di cittadini italiani che si concentrerà l´attività di accertamento del Garante per la privacy nel secondo semestre del 2012. Il piano appena varato prevede specifici controlli, sia nel settore pubblico che in quello privato, anche riguardo alle informazioni da fornire ai cittadini sull´uso dei loro dati personali, all´adozione delle misure di sicurezza, ai tempi di conservazione dei dati, al consenso da richiedere nei casi previsti dalla legge, all´obbligo di notificazione al Garante. Sono 220 gli accertamenti ispettivi programmati che verranno effettuati come di consueto anche in collaborazione con le Unità Speciali della Guardia di Finanza - Nucleo Speciale Privacy. A questi accertamenti si affiancheranno quelli che si renderanno necessari in ordine a segnalazioni e reclami presentati. Il bilancio sull´attività ispettiva dei primi sei mesi del 2012 registra 174 ispezioni effettuate e l´avvio di 255 procedimenti sanzionatori relativi, in larga parte, alla omessa informativa, al trattamento illecito dei dati, al mancato rispetto delle norme in materia di telemarketing, alla mancata adozione di misure di sicurezza, alla inosservanza dei provvedimenti dell´Autorità. Le ispezioni hanno riguardato in particolare il settore telefonico, gli enti previdenziali e le società che gestiscono banche dati in outsourcing. L´ammontare delle sanzioni incassate nel corso del semestre è stato di oltre 1,6 milioni di euro. Le segnalazioni all´autorità giudiziaria per violazioni penali sono state 33, e hanno riguardato tra l´altro l´accesso abusivo a sistema informatico, la mancata adozione delle misure di sicurezza, la falsità nelle dichiarazioni e nelle notificazioni, il mancato adempimento ai provvedimenti del Garante  
   
   
PRIVACY: FONDO DI SOLIDARIETÀ PER REATI DI MAFIA E DI USURA: PIÙ TUTELE PER LE VITTIME  
 
Il Garante ha espresso parere favorevole sullo schema di regolamento concernente il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell´usura. Il provvedimento consente di unificare in un solo fondo le misure previste a sostegno delle vittime di mafia e dei reati di usura, definendo un quadro normativo più omogeneo. Data la particolare delicatezza dei dati trattati, sia di tipo sanitario, come le possibili lesioni subite in seguito a comportamenti violenti degli estorsori, sia di tipo giudiziario, il Garante ritiene che debbano però essere rafforzate le garanzie a tutela della riservatezza delle persone coinvolte. In particolare, l´Autorità ha chiesto che siano previste adeguate forme di tracciabilità degli accessi agli archivi dove sono conservati i dati personali, al fine di evitare possibili consultazioni abusive. L´accesso dovrà essere comunque consentito esclusivamente ai soggetti effettivamente incaricati di compiti per i quali la consultazione dei dati sia indispensabile. Dovranno inoltre essere individuati i termini di conservazione di tali dati, proporzionati e non eccedenti rispetto alle finalità indicate nel decreto. Le particolari cautele indicate contribuiranno a proteggere con maggiore efficacia non solo la privacy ma anche l´incolumità e la sicurezza individuale delle vittime di tali delitti  
   
   
PRIVACY: INIZIATIVA LEGISLATIVA POPOLARE DEI CITTADINI UE E PROTEZIONE DEI DATI  
 
Il Garante chiede controlli più adeguati sull´autenticità dei dati personali. Il Garante per la privacy ha espresso il previsto parere sullo schema di regolamento che descrive le modalità di attuazione del Regolamento dell´Unione europea sull´"iniziativa dei cittadini", ponendo la condizione che sia rafforzata la procedura di verifica dei dati indicati nelle dichiarazioni di sostegno. In base al Trattato sull´Unione (art. 11, comma 4), i cittadini europei possono far sentire direttamente la propria voce e prendere l´iniziativa d´invitare la Commissione europea a presentare proposte legislative su materie nelle quali ritengono necessario un intervento in attuazione dei trattati. L´"iniziativa dei cittadini" deve essere presentata alla Commissione da un comitato di organizzatori e deve avere il supporto di almeno un milione di firmatari cittadini dell´Unione. Lo schema di regolamento, sottoposto all´esame del Garante dal Ministro per gli affari europei, prevede che le dichiarazioni di sostegno dei firmatari vengano redatte, su carta o per via elettronica, esclusivamente con appositi moduli che raccolgono solo i dati personali richiesti per la verifica degli Stati membri. La titolarità del trattamento dei dati è attribuita agli organizzatori e alle autorità competenti degli Stati interessati, responsabili della raccolta e conservazione dei dati e della loro distruzione nei tempi stabiliti. Lo schema prevede inoltre che l´autorità competente al controllo della sicurezza sulle procedure elettroniche sia l´Agenzia per l´Italia digitale (già Digit-pa), mentre al Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell´Interno è affidato il compito di accertare la ricevibilità, completezza e veridicità delle dichiarazioni di sostegno. Le verifiche vengono effettuate con controlli casuali a campione, chiedendo un riscontro sui dati ai Comuni e alle questure. Se tale riscontro non arriva entro trenta giorni dalla richiesta, la verifica si considera "favorevolmente accertata". Proprio questo è, secondo il parere del Garante, il punto di debolezza dello schema. L´autorità ha rilevato che questa procedura di verifica esclusivamente formale non è in linea con il Regolamento europeo che richiede "adeguati controlli" né con il Codice privacy, potendo comportare un trattamento di dati non veritieri o non verificati e, di conseguenza, inutilizzabili. Il Garante ha inoltre osservato che le dichiarazioni di sostegno potrebbero riguardare anche dati sensibili dei sottoscrittori per i quali il Codice privacy prevede elevate garanzie per gli interessati. Per queste ragioni il Garante nell´esprimere parere sullo schema di regolamento, ha posto come condizione che venga prevista una procedura di verifica più conforme sia alla legislazione nazionale che a quella europea, eliminando dallo schema di regolamento ogni riferimento a sistemi di verifica puramente formale  
   
   
PRIVACY: CITTADINI PIU’ TUTELATI NELL’USO DEI DATI DA PARTE DI REGIONI E AZIENDE SANITARIE  
 
Maggiori tutele per i cittadini nell’uso dei dati da parte della Pa. Quando trattano a fini amministrativi i dati sensibili e giudiziari delle persone - ad esempio a fini di monitoraggio della spesa sanitaria, di accertamento dell’idoneità al lavoro o di concessione di benefici – le regioni, gli enti regionali e provinciali, le aziende sanitarie devono rispettare precise garanzie a tutela della privacy. E’ quanto ha chiesto il Garante per la protezione dei dati nel dare parere favorevole sullo schema tipo di regolamento predisposto dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome. Lo schema tipo aggiorna quello adottato nel 2006 con il quale sono stati individuati e portati a conoscenza dei cittadini i dati sensibili (salute, vita sessuale, sfera religiosa, appartenenze politico-sindacali, origine etnica) e giudiziari (condanne, carichi pendenti etc.) che possono essere raccolti e utilizzati da regioni, province autonome, asl, enti e agenzie regionali e provinciali, enti vigilati, e le operazioni che con tali dati si possono effettuare. La revisione dello schema tipo di regolamento del 2006 nasce dalla necessità di garantire un più ampio quadro di tutele rispetto ai flussi crescenti di dati che vengono scambiati tra le pubbliche amministrazioni nell’ambito delle loro attività istituzionali, anche in ragione delle nuove competenze acquisite e della necessità di verifica del buon andamento dell’attività amministrativa. Nel dare il suo via libera, l’Autorità ha dato indicazioni alla Conferenza delle regioni e delle province autonome perché lo schema venga integrato con specifiche garanzie. L’autorità ha chiesto, ad esempio, che ai fini del monitoraggio e valutazione dell’efficacia dei trattamenti sanitari erogati, le Regioni, una volta acquisiti i dati dalle Asl, adottino un sistema di codifica che non consenta l’identificazione diretta del soggetto interessato. Inoltre ha ritenuto che non fosse indispensabile l’utilizzo di dati sensibili, quale l’adesione a partiti, sindacati, associazioni religiose, per finalità di programmazione, gestione e valutazione dell’assistenza sanitaria. Il lavoro di revisione portato a termine è frutto di un complesso e proficuo lavoro di collaborazione del Garante con la Conferenza delle regioni e delle province autonome, che ha visto presenti tutte le amministrazioni interessate. Lo schema tipo, è bene ricordarlo, semplifica gli adempimenti di regioni, asl, agenzie ed enti vigilati provinciali e regionali poiché evita che i singoli regolamenti previsti per legge, se adottati in conformità alla versione aggiornata dello schema tipo, debbano essere sottoposti al parere del Garante  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: UNO STATO MEMBRO NON PUÒ RISERVARE SOLTANTO AI PROPRI CITTADINI IL BENEFICIO DELLA NON ESECUZIONE DI UN MANDATO D’ARRESTO EUROPEO AL FINE DI PROCEDERE ALL’ESECUZIONE NEL SUO TERRITORIO DI UNA PENA DETENTIVA IRROGATA IN UN ALTRO STATO MEMBRO  
 
Il principio di non discriminazione in base alla nazionalità osta alla normativa francese, la quale esclude in maniera assoluta e automatica la possibilità per i cittadini di altri Stati membri che dimorano o risiedono in Francia di scontare la pena in tale Stato membro La decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo prevede che gli Stati membri, in linea di principio, sono tenuti a dare seguito a detto mandato. Pertanto, l’autorità giudiziaria nazionale («autorità giudiziaria dell’esecuzione») riconosce, a seguito di controlli minimi, la domanda di consegna di una persona formulata dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro («autorità giudiziaria emittente»), al fine di consentire l’esercizio di azioni penali, l’esecuzione di una pena o di una misura privativa della libertà. Tuttavia, in determinati casi, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare la consegna della persona ricercata. Tale ipotesi ricorre, in particolare, qualora un mandato d’arresto europeo sia stato emesso ai fini dell’esecuzione di una pena detentiva nei confronti di una persona che dimora nello Stato membro di esecuzione, ne è cittadino o vi risiede, se tale Stato membro si impegna ad eseguire esso stesso tale pena nel suo territorio. La normativa francese che attua tale decisione quadro riserva la facoltà di rifiutare l’esecuzione di una mandato d’arresto europeo per un simile motivo al solo caso delle persone ricercate aventi cittadinanza francese. La Corte d´appello di Amiens (Francia) è stata adita per l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso il 14 settembre 2006 dal tribunale penale di Lisbona (Portogallo) nei confronti del sig. Lopes da Silva Jorge. Il giudice portoghese, nel 2003, aveva condannato il sig. Lopes da Silva Jorge, cittadino portoghese, ad una pena detentiva di cinque anni per traffico di stupefacenti. Successivamente, egli si sarebbe sposato con una cittadina francese nel 2009, con la quale risiede in Francia. Peraltro, dal febbraio 2008 egli lavorerebbe con contratto a tempo indeterminato come autotrasportatore regionale per una società francese. Il sig. Lopes da Silva Jorge, non acconsentendo alla propria consegna alle autorità portoghesi, ha chiesto di essere incarcerato in Francia, invocando il motivo di non esecuzione del mandato d’arresto europeo in questione e il rispetto del suo diritto alla vita privata e familiare, sancito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Il 20 maggio 2010 il procuratore generale della Corte d´appello di Amiens, dopo averlo informato del contenuto del mandato d’arresto, ha disposto la sua incarcerazione. La giurisdizione francese interroga la Corte di giustizia sulla compatibilità con la decisione quadro della normativa francese che limita la possibilità di rifiutare la consegna di una persona per l’esecuzione nel suo territorio di una pena detentiva irrogata in un altro Stato membro ai soli cittadini francesi, escludendo in maniera assoluta e automatica i cittadini di altri Stati membri che dimorano o risiedono in Francia. Nella sua odierna sentenza, la Corte rammenta che, sebbene, in linea di principio, gli Stati membri siano tenuti a dare seguito a un mandato d’arresto europeo, essi hanno la facoltà di consentire, in situazioni specifiche, alle autorità giudiziarie competenti di decidere che una pena inflitta debba essere eseguita nel territorio dello Stato membro di esecuzione. Così è, secondo la decisione quadro, nel caso in cui la persona ricercata «dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda» e tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena conformemente al suo diritto nazionale. Secondo costante giurisprudenza, tale motivo di non esecuzione facoltativa mira, segnatamente, a consentire all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di accordare una particolare importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata, una volta scontata la pena cui è stata condannata. Tale obiettivo può essere legittimamente perseguito dimostrando un sicuro grado di integrazione nella società di detto Stato. Come già dichiarato dalla Corte, in deroga al principio del reciproco riconoscimento, uno Stato membro può limitare il beneficio di tale motivo di rifiuto dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo ai suoi cittadini o ai cittadini di altri Stati membri che abbiano legalmente soggiornato nel territorio nazionale per un periodo continuativo di cinque anni. Tale condizione può essere infatti considerata tale da garantire che la persona ricercata sia sufficientemente integrata nello Stato membro di esecuzione. Tuttavia, gli Stati membri non possono, pena la lesione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità, limitare la non esecuzione del mandato per il motivo di cui trattasi ai soli cittadini nazionali, escludendo in maniera assoluta e automatica i cittadini di altri Stati membri che dimorano o risiedono – termini che devono essere definiti in maniera uniforme dagli Stati membri – nel territorio dello Stato membro di esecuzione, indipendentemente dai legami che essi presentano con tale Stato. Ciò non implica che detto Stato debba necessariamente rifiutare l’esecuzione di un mandato emesso nei confronti di chiunque risieda o dimori nel suo territorio. Tuttavia, nei limiti in cui tale persona presenti un grado di integrazione nella società di detto Stato, paragonabile a quello di un cittadino nazionale, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve poter valutare se sussista un interesse legittimo che giustifichi che la pena inflitta nello Stato membro di emissione (nella fattispecie: il Portogallo) sia eseguita nel territorio dello Stato membro di esecuzione (nella fattispecie: la Francia). La Corte dichiara quindi che la circostanza dedotta dalla Francia secondo cui, ai sensi del suo diritto interno vigente, essa potrebbe impegnarsi a eseguire la pena di una persona condannata in un altro Stato membro, solamente se questa possiede la cittadinanza francese non può giustificare la differenza di trattamento tra un cittadino di un altro Stato membro e un cittadino francese. (Corte di giustizia dell’Unione europea - Lussemburgo, 5 settembre 2012 - Sentenza nella causa C‑42/11 Joao Pedro Lopes Da Silva Jorge)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: TALUNE FORME DI GRAVE VIOLAZIONE DEL DIRITTO A MANIFESTARE LA PROPRIA RELIGIONE IN PUBBLICO POSSONO COSTITUIRE UNA PERSECUZIONE A CAUSA DELLA RELIGIONE  
 
Qualora tale persecuzione risulti sufficientemente grave, deve essere riconosciuto lo status di rifugiato Secondo la direttiva sullo status dei rifugiati, gli Stati membri devono riconoscere in linea di principio detto status al cittadino di un paese non membro dell’Unione che tema di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale nel proprio paese d’origine. Un atto può essere considerato persecuzione se è sufficientemente grave, per sua natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali. La comunità musulmana Ahmadiyya costituisce un movimento riformatore dell’Islam. In Pakistan il codice penale dispone che i membri della comunità Ahmadiyya sono passibili di una pena fino a tre anni di reclusione se affermano di essere musulmani, se qualificano come Islam la propria fede, se pregano o propagano la propria religione o se cercano proseliti. Secondo il medesimo codice penale, chiunque oltraggia il nome del profeta Maometto può essere punito con la morte o l’ergastolo. Y e Z, originari del Pakistan, vivono attualmente in Germania, paese in cui hanno richiesto asilo e protezione in qualità di rifugiati. Essi appartengono alla comunità Ahmadiyya e affermano di essere stati costretti a lasciare il Pakistan a causa di ciò. Y ha precisato che nel suo villaggio d’origine un gruppo di individui lo ha ripetutamente picchiato e gli ha lanciato pietre nel luogo di preghiera, lo ha minacciato di morte e denunciato alla polizia per aver insultato il profeta Maometto. Z ha dichiarato di essere stato maltrattato e incarcerato a causa del suo credo religioso. Le autorità tedesche hanno respinto le domande di asilo di Y e di Z, considerando che le restrizioni della pratica della religione in pubblico imposte agli ahmadi in Pakistan non configuravano una persecuzione rilevante ai fini del diritto di asilo. Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania), investito delle controversie, chiede alla Corte di giustizia di precisare quali restrizioni alla pratica di una religione costituiscano una persecuzione che può comportare il riconoscimento dello status di rifugiato. Nella sua odierna sentenza, la Corte dichiara, innanzitutto, che solo talune forme di grave violazione del diritto alla libertà di religione, e non qualsiasi violazione di tale diritto, possono costituire un atto di persecuzione che obblighi le autorità competenti a concedere lo status di rifugiato. Infatti, da un lato, le restrizioni all’esercizio di tale diritto previste dalla legge non possono essere considerate persecuzioni fintantoché rispettano il suo nucleo essenziale. Dall’altro, la stessa violazione di tale diritto può essere considerata una persecuzione soltanto qualora essa sia sufficientemente grave e colpisca l’interessato in modo significativo. La Corte rileva poi che gli atti idonei a costituire una violazione grave comprendono atti gravi che colpiscono la libertà dell’interessato non solo di praticare il proprio credo privatamente, ma anche di viverlo pubblicamente. Pertanto, non è il carattere, pubblico o privato, oppure collettivo o individuale, della manifestazione e della pratica religiosa, bensì la gravità delle misure e delle sanzioni adottate o che potrebbero essere adottate nei confronti dell’interessato che determinerà se una violazione del diritto alla libertà di religione debba essere considerata una persecuzione. La Corte dichiara quindi che una violazione del diritto alla libertà di religione può costituire una persecuzione qualora il richiedente asilo, a causa dell’esercizio di tale libertà nel suo paese d’origine, corra un rischio effettivo, in particolare, di essere perseguitato o di essere sottoposto a trattamenti o a pene disumani o degradanti ad opera di un soggetto autore della persecuzione. La Corte sottolinea che, qualora la partecipazione a cerimonie pubbliche di culto, singolarmente o in comunità, possa comportare la concretizzazione di siffatte lesioni, la violazione del diritto alla libertà di religione può configurarsi come sufficientemente grave. La Corte dichiara altresì che la valutazione del rischio effettivo che siffatte lesioni si realizzino implica che l’autorità competente tenga conto di una serie di elementi sia oggettivi sia soggettivi. La circostanza soggettiva che l’osservanza di una determinata pratica religiosa in pubblico, colpita dalle restrizioni contestate, sia particolarmente importante per l’interessato al fine di conservare la sua identità religiosa costituisce un elemento pertinente nella valutazione del livello di rischio che il richiedente corre nel suo paese d’origine a causa della sua religione. Ciò vale anche quando l’osservanza di siffatta pratica religiosa non costituisce un elemento centrale per la comunità religiosa interessata. La tutela dalla persecuzione a causa della religione, infatti, comprende tanto le forme di comportamento personale o in comunità che la persona ritiene necessarie per se stessa, ossia quelle «fondate su un credo religioso», quanto quelle imposte dalla dottrina religiosa, ossia quelle «prescritte dal credo religioso». Infine la Corte rileva che, quando è assodato che, una volta rientrato nel proprio paese d’origine, l’interessato si dedicherà a una pratica religiosa che lo esporrà ad un rischio effettivo di persecuzione, gli dovrebbe essere riconosciuto lo status di rifugiato. Nell’esaminare su base individuale una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, le autorità nazionali non possono ragionevolmente aspettarsi che il richiedente, per evitare un rischio di persecuzione, rinunci alla manifestazione o alla pratica di taluni atti religiosi. (Corte di giustizia dell’Unione europea - Lussemburgo, 5 settembre 2012 - Sentenza nelle cause riunite C‑71/11 e C‑99/11 Bundesrepublik Deutschland / Y e Z)