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VENERDI

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Notiziario Marketpress di Venerdì 01 Marzo 2013
PIAZZOLA SUL BRENTA (VILLA CONTARINI): VIRGILIO GUIDI. LE GRANDI OPERE - DAL 23 MARZO AL 30 GIUGNO  
 
Dal 23 marzo al 30 giugno, nella splendida cornice di Villa Contarini a Piazzola sul Brenta (Pd) sarà in esposizione la mostra “Virgilio Guidi. Le grandi opere”, a cura di Michele Beraldo e Dino Marangon. La mostra intende valorizzare e riproporre le opere di grande formato di uno tra i maggiori maestri italiani del Xx° secolo, partendo dalla sua produzione a ridosso della Seconda guerra mondiale fino a giungere alle ultime opere degli anni Ottanta. L’attenzione verrà dunque focalizzata sul cosiddetto “terzo periodo” di Virgilio Guidi, che corrisponde alla sua seconda e definitiva permanenza a Venezia, dal 1944 fino alla morte, avvenuta nel 1984. Saranno esposte circa cinquanta opere provenienti da importanti collezioni private ed enti pubblici. La fama e il talento indiscusso di Virgilio Guidi, fondamentale figura chiave dell’arte, della cultura e della poesia del secolo scorso, sono stati testimoniati e riconosciuti dalla presenza delle sue opere in importanti Musei tra i quali l´Ermitage di San Pietroburgo, i Musei Vaticani, La Galleria Nazionale d´Arte Moderna di Roma, oltre che dalle innumerevoli Biennali di Venezia a cui ha preso parte nel corso del Novecento, e che hanno scandito i vari periodi e momenti della sua produzione artistica, estremamente vivace e prolifica fino alla sua morte. Pur attento ai principali movimenti artistici del ventesimo secolo Guidi seguirà sempre un percorso profondamente personale, conservando la sua autonomia stilistica sia rispetto al Novecento Italiano che ai grandi protagonisti europei del cosiddetto Realismo Magico. In seguito risponderà in maniera del tutto personale agli innovativi appelli di Lucio Fontana, promotore del Movimento Spazialista, per poi confrontarsi anche con l´immediatezza segnico-espressiva delle poetiche dell´informale e dell´espressionismo astratto. Di grande rilevanza e originalità risulteranno altresì, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, le sue ricerche volte a una inedita figurazione della bellezza femminile, in risposta alle dilaganti iconografie massificate tipiche della Pop Art. La concezione e l’interpretazione della luce e dello spazio avranno sempre un ruolo centrale nell’evoluzione delle sue ricerche formali, costantemente aperte alla sperimentazione. Ancora relativamente poco noti sono i suoi vasti, intensissimi dipinti degli anni Settanta e dei Primi anni Ottanta, che testimoniano con la serie dei grandi Alberi una straordinaria coscienza ecologica, mentre con le Figure inquiete e il ciclo de l´Uomo e il Cielo Guidi giungerà ad una compiuta sintesi delle proprie straordinarie istanze umane e religiose, ciò che, assieme a Rouault e all’ultimo Matisse, lo colloca tra i maggiori pittori della Cristianità, nell´epoca contemporanea. Nato a Roma nel 1891, da giovane Virgilio Guidi si avvicina alla pittura nel 1908, anno in cui comincia a fare pratica di pittura nella bottega del restauratore e decoratore romano Giovanni Capranesi diventandone presto primo aiuto. Poco dopo abbandona la bottega a causa di alcuni contrasti col suo maestro riguardo le tendenze pittoriche più recenti, e si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Roma, seguendo l´insegnamento di Aristide Sartorio. Ben presto si avvicinerà all’ambiente culturale e intellettuale che gravita attorno al Caffè Aragno, dove avrà occasione di conoscere e frequentare Giorgio De Chirico e Roberto Longhi e gli artisti gravitanti attorno ai “Valori Plastici, l´importante rivista di portata europea, fondata e diretta da Mario Broglio. La carriera artistica di Virgilio Guidi comincia esattamente un secolo fa, nel 1913, anno in cui partecipa e vince il concorso di pittura “Lana” bandito dall’Accademia di San Luca, e in questo periodo comincia ad esporre i suoi primi lavori. In quegli anni ha inoltre l’occasione di prendere visione diretta dell’opera di Cézanne, la cui ricerca formale e spaziale, assieme alle opere dei maestri del grande Quattrocento italiano, lo influenzerà notevolmente nelle sue future ricerche espressive. A partire dagli anni Venti comincia a esporre i suoi lavori alla Biennale di Venezia, appuntamento a cui parteciperà innumerevoli volte nel corso della sua carriera artistica e dove, a partire dal 1940, per molte edizioni successive, gli verrà riservata un’intera sala personale per esporre i suoi lavori. Al 1942 risalgono inoltre i suoi primi versi poetici, che danno in via ad una produzione letteraria che sarà una costante nella vita di Virgilio Guidi, e che accompagnerà la sua intera produzione pittorica. Nel secondo dopoguerra si interessa di grafica e a quegli anni risalgono le sue prime litografie. Nel 1951 aderisce al movimento spaziale promosso da Lucio Fontana. A partire dagli anni Cinquanta la sua produzione pittorica si concentra su grandi cicli tematico-compositivi ricorrenti, modalità espressiva che conserverà fino alla fine della sua carriera. La mostra è promossa e sostenuta dalla Regione del Veneto, con il contributo del Gruppo Euromobil, ed ospitata nelle splendide sale di Villa Contarini, antica e prestigiosa villa di proprietà della Regione del Veneto, che già nel 1975 aveva ospitato una mostra personale dedicata a Virgilio Guidi, riconfermandosi anche questa volta come sede ideale per ospitare i grandi “teleri” dell’artista. Il catalogo dell’esposizione, edito da Allemandi & C., composto da circa 140 pagine, con numerose illustrazioni a colori, conterrà testi critici di Dino Marangon e Michele Beraldo. Gli apparati biobibliografici saranno a cura di Franca Bizzotto. Info: Villa Contarini, Piazzola sul Brenta (Pd) – www.Culturaliart.com    
   
   
MILANO (TRIENNALE): TASSELLI D’ARTE – OLTRE IL CINEMA - SCENARI LATINO AMERICANI - 1/24 MARZO 2013  
 
Inaugura venerdì 1 marzo, alla Triennale di Milano, la Xx edizione di Sguardi Altrove Film Festival; centro dell’attenzione di Tasselli d’arte – Oltre il Cinema sarà una collettiva dedicata alle realtà artistiche Latino Americane. Attraverso, mostre fotografiche, video installazioni, performance e workshop Scenari Latino Americani affronta le tendenze dell’arte e della cultura latino americana principalmente di cinque paesi – Argentina, Brasile, Cile, Messico e Venezuela - con uno sguardo su artisti e cineasti di nuova generazione; cuore pulsante della collettiva sarà L’america Latino a Milano con un omaggio ad artisti presenti sul territorio milanese. Alle ore 19.00, del medesimo giorno, la mostra aprirà al pubblico e sarà il concerto dei Tritono la performance d’inaugurazione. Quattro giovani musicisti - Daniele Mercoli, tastiere, Mattia Basi, vibrafono, Lorenzo Pasquini, chitarra - Francesca De Giorgio, voce proporranno 10 minuti con richiami da Piazzolla a ritmi e melodie latinoamericane. Ventitre gli artisti coinvolti. --- Installazioni Colore Luce Materia – Mappe sensoriali (Eliana Lorena) Il giardino del segno – segni polifonici (Lorena Pedemonte) Ap (Fernanda Menendez) I corsetti di Frida Kahlo (Aavv) A huevo mi luz (Maria Teresa Gozalez Ramirez) Zapatos Rojos (Elina Chauvet) Por fi n! Dal 2003 al 2013 (Gianni Gangai) Siamo soltanto paesaggio (Johnny Dell’orto) --- Videoinstallazioni La voluntad de la beleza (Francesca Marconi, Italia 2013, 10’20’’) Pioggia di dollari (Teresa Carreño, Italia 2012, 3’) ¿Como salimos? / Mujeres bordando junto al Lago Atitlàn (Teresa Margolles, Messico 2010/12, 12’27’’) Odissea di una famiglia in fuga da Ferrara a Buenos Aires (Mario Tedeschi, Italia 2013, 14’) Chile Estyle (Pablo Aravena, Cile 2010, 10’) Siamo soltanto paesaggio (Johnny Dell’orto, Italia 2013, 21’) Alina senza Reyes (Fernanda Menéndez, Italia 2008, 1’50”) --- Fotografie Rifl essi (Teresa Carreño) Rionoir (Rinaldo Donati) --- Opere Frida Kahlo (Ludmilla Radchenko) Revolution (Marcelo Cordeiro) Storie dall’Argentina (Valerio Finessi) Tribù (Lorena Pedemonte)  
   
   
TREVISO: CARMELO ZOTTI, 50 ANNI DI PITTURA  
 
La città di Treviso dedica al Maestro Carmelo Zotti (Trieste 1933- Treviso 2007) una mostra antologica, nell´anno in cui avrebbe compiuto ottant´anni. Il progetto è promosso dall´Archivio Carmelo Zotti, in collaborazione con il Comune di Treviso, il Liceo Artistico di Treviso, il gruppo Euromobil e con il patrocinio della Provincia. La mostra e il catalogo " Zotti. 50 anni di pittura", sono a cura di Brigitte Brand per l´Archivio Carmelo Zotti; il catalogo porta interventi di Dino Marangon e Isabella Panfido. E´ un universo intimo di figure, gesti, colloqui, lo spazio racchiuso nella cinquantina di opere di Carmelo Zotti in mostra a Santa Caterina. L´artista, triestino di nascita e veneto di adozione, scomparso nel maggio del 2007, ha lasciato in più di mezzo secolo di pittura, un corpus di opere su tela e carta, di ingente mole e di complessa, variegata narratività. Dopo le grandi antologiche a Ca´ Pesaro (1995), alla Permanente di Milano (2007) - curate rispettivamente da Enzo Di Martino e da Flaminio Gualdoni con Dino Marangon - al Museo Correr di Venezia (2009) e la mostra-approfondimento di Philippe Daverio al Padiglione dell´Esprit Nouveau di Bologna (2008) e le due esposizioni curate da Marco Goldin al Museo di Santa Giulia a Brescia (2008) e a Castel Sismondo di Rimini (2012), a Treviso si intende proporre una selezione di una cinquantina di significativi lavori appartenenti all´ultimo trentennio dell´attività del Maestro, con una incursione nel primo, mobile periodo della sua ricerca pittorica. Dagli echi espressionistici nei ritratti dei primi anni Cinquanta, al successivo breve attraversamento nell´Astratto, Zotti approda già agli esordi del Sessanta, dopo il lungo viaggio in Sud America, alla narrazione fitta di geometrie dense di figurativismo e colore, per giungere negli anni Settanta alla maturazione dei simboli-marchio della sua poetica, forti di campiture di acceso cromatismo. In mostra del successivo ventennio, fino agli esordi del Duemila, una selezione di tele tra le più intime e enigmatiche della sua opera, incentrate sul dialogo/gesto tra figure, ossessione e meraviglia di tutta la vita. Nella Galleria del Liceo Artistico di Treviso, affacciato sulla piazzetta del Museo, dal 3 al 25 maggio 2013, verrà esposta una sezione di opere su carta: una trentina di lavori di piccolo formato insieme alla grande carta "Figure e putto" del 1986 (151x273 cm.). L´archivio Carmelo Zotti in concorso con il Gruppo Euromobil ha concluso nel 2012 la pubblicazione del Catalogo Generale dell´opera di Carmelo Zotti in due volumi editi da Skirà. Per informazioni: www.Carmelozotti.it  Museo Civico di Santa Caterina, 0422 544864, 0422 658442 Galleria del Liceo Artistico, 0422 543984  
   
   
MILANO (MUSEO MINGUZZI ): MOSTRA MULTIMEDIALE “OBSCURED - I LUOGHI OSCURATI” - UNO SPLENDIDO VIAGGIO ALLA SCOPERTA DI 10 PAESI ALLA RICERCA DEL LORO ANTICO SPLENDORE - DAL 9 AL 17 MARZO REALIZZATA DA NEOS, ASSOCIAZIONE GIORNALISTI DI VIAGGIO  
 
Il Museo Minguzzi, uno degli spazi espositivi più caratteristici e prestigiosi di Milano, ospiterà dal 9 al 17 marzo prossimi la mostra multimediale itinerante “Obscured - I luoghi oscurati”, nata da un’idea di Neos – giornalisti di viaggio e realizzata in collaborazione con il tour operator Tucano Viaggi Ricerca. Situato in via Palermo 11, nelle vicinanze dell’Accademia di Brera, l’edificio risalente al Xvii secolo e finemente restaurato per accogliere eventi e mostre culturali sarà la tappa milanese di questa mostra itinerante che è già stata proposta al pubblico di Torino, Genova, Courmayeur. La mostra sarà aperta al pubblico dalle 10 alle 19 al costo intero di 3.50 € e ridotto di 2.50 € (più 1.00 € di tessera associativa). Sabato 16, dalle 19 alle 21, è inoltre in programma un incontro con alcuni tra gli autori, che racconteranno la loro esperienza di viaggio nei paesi visitati. “Obscured – I luoghi oscurati”, mostra multimediale che a immagini e testi accompagna una voce narrante, nasce da un’idea di Neos e vuole raccontare storie e personaggi di dieci paesi “oscurati” dalla situazione sociopolitica, ovvero: Afghanistan Algeria Birmania Eritrea Iraq Iran Libia Siria Sudan Yemen Sessanta grandi immagini realizzate da quindici fotografi, quattordici testi di diversi autori e un video racconteranno le storie di questi paesi, che fanno parte del bagaglio ideale del grande viaggiatore e rappresentano luoghi importanti per lo stesso cammino dell’Umanità. Purtroppo però, a causa di situazioni sociopolitiche complicate, essi risultano difficilmente visitabili o addirittura inaccessibili poiché afflitti da guerre, incertezze post- belliche, regimi o da atti di terrorismo. La mostra, patrocinata dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti, vuole raccontare un’altra storia: la bellezza di queste terre, dei monumenti, dei paesaggi e delle persone, nella speranza di veder tornare questi splendidi paesi nella mappa del turismo internazionale e di chi ama conoscere il mondo. Tucano Viaggi Ricerca, operatore di grande importanza nel settore “viaggi di interesse culturale e ambientale”, è sponsor di questa iniziativa e ha accompagnato finora la mostra nel suo viaggio itinerante nel nostro paese. La mostra ospitata dal Museo Minguzzi sarà accompagnata da un libro/catalogo che riporta tutti i testi e le foto esposte, i primi realizzati per l’occasione dalle firme Neos, Associazione di Giornalisti di Viaggio, le seconde dai reporter della stessa associazione. I sessanta pannelli raffigurano attimi e scene di vita, curiosi e brillanti ricordi di viaggio, raccontati da una voce narrante che condurrà per mano i visitatori aiutandoli ad immaginare questi luoghi oscurati, ma pieni di luce. Info: Museo Minguzzi - Via Palermo 11, 20121 Milano - 9 marzo/17 marzo 2013 – tel +39 02 36565440  
   
   
MILANO (MUSEO NAZIONALE DELLA SCIENZA E DELLA TECNOLOGIA): MOSTRA FOTOGRAFICA "DELL´ADDA DI LEONARDO" - 2 MARZO/1 APRILE 2013  
 
La mostra fotografica “Dell’adda di Leonardo”, di Massimo Grassi e Stefano Pedrelli con il contributo di Claudio Giorgione, curatore Leonardo Arte e Scienza al Museo, è un viaggio alla scoperta dei luoghi della valle dell’Adda di cui Leonardo è stato un osservatore privilegiato, dai paesaggi del fiume alle conche dei Navigli. Un percorso di ricerca, suggestioni e stimoli artistici in 43 fotografie in bianco e nero esposte nel suggestivo chiostro dell’antico monastero olivetano che ospita il Museo, per testimoniare le osservazioni di Leonardo attraverso le immagini e mettere in luce il forte legame tra storia, natura, arte e fotografia come strumento di conoscenza e rappresentazione del territorio. L’interesse di Leonardo per l’ingegneria idraulica è già documentato nei suoi primi anni fiorentini, ma è durante il suo primo soggiorno milanese (1482-1499) che i suoi studi di idraulica diventano più organici. Leonardo studia i grandi fiumi, come l’Adda e il Ticino, e ancor più i canali artificiali, dal Naviglio Grande, capolavoro di ingegneria medioevale, al Naviglio Martesana, in corso di completamento proprio in quegli anni. “I disegni di Leonardo della valle dell’Adda, oggi divisi tra il Codice Atlantico e le raccolte di Windsor, sono caratterizzati da una matura consapevolezza dell’unione tra acqua, natura e opera dell’uomo. Le fotografie di Massimo Grassi e Stefano Pedrelli hanno saputo cogliere questa profonda unione, documentando il territorio della valle dell’Adda in tutti i suoi aspetti (...)” (dall’introduzione di Claudio Giorgione al catalogo “Dell’adda di Leonardo”). La mostra è compresa nel biglietto d’ingresso al Museo. Catalogo “Dell’adda di Leonardo”, euro 18. Massimo Grassi nasce a Milano nel ’58, dove frequenta l’Accademia di Brera. Negli anni ’70 e ‘80 si dedica in particolare alle illustrazioni e al fumetto ispirandosi ai maestri del fumetto francese come Moebius. Interessato da sempre alla fotografia, si avvicina all’arte della fotografia digitale. I risultati ottenuti in alcuni concorsi fotografici in Italia, nelle letture portfolio e la forte necessità di cimentarsi e sperimentare sempre nuovi campi, lo spingono a rivolgere la sua sensibilità artistica al lavoro di fotografia. Nell’aprile 2010 espone una mostra personale fotografica con il lavoro “Giochi senza frontiere” ispirato ai ricordi dei giochi d´infanzia presso Tangopuro Academia Cultural Argentina. Nel maggio 2010 insieme ad altri sette artisti partecipa, con illustrazioni e fotografie, alla mostra/evento “Ri(e)voluzione tenutasi presso l’Archivio Storico di Lodi. Nel 2011 ha realizzato il lavoro “Loro sono ancora qui” che indaga le paure nascoste nell´animo umano. Stefano Pedrelli nasce nel 1971 a Bologna, inizia a scattare all´alba del nuovo millennio alternando negli anni successivi esperienze amatoriali e di ricerca personale sia in camera oscura che in campo digitale, e incursioni anche frequenti nel campo professionale con servizi e reportages fotografici esterni di cronaca, spettacolo ed entertainment per l´agenzia milanese Granataimages (oggi Milestone Media), nel Terzo Settore per la rivista Vita non profit magazine e per l´Università degli Studi di Milano, oltre ad attività di archiviazione immagini con le agenzie Granataimages e Tips Images di Milano. Partecipa a numerose mostre personali e collettive con i lavori “Vita in cucina” e “Khmer, voci nel silenzio”, fino all´ultimo (ma solo in ordine di tempo) progetto fotografico personale “Milis, su triballu, sa vida” presentato in Sardegna e realizzato nel corso degli ultimi tre anni sul lavoro tradizionale di un paese dell´entroterra sardo. Claudio Giorgione nasce a Seregno (Mb) nel 1973 e si laurea in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi in Storia dell’Arte dedicata ad alcuni cicli di affreschi di Bernardino Luini. Lavora al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci dal 1997 ed è attualmente Curatore del Dipartimento Leonardo, Arte e Scienza. Tiene come storico dell’arte lezioni e conferenze. E’ autore del volume “Leonardo da Vinci. La collezione dei modelli”, edito dal Museo nel 2009. Tutte le attività sono comprese nel biglietto del Museo, su prenotazione solo il giorno stesso all’infopoint. Info:  Www.museoscienza.org  
   
   
VENEZIA (MUSEO CORRER): I MESTIERI DELLA MODA - AGATHA RUIZ DE LA PRADA - 8 MARZO 2013/5 MAGGIO 2013  
 
La Fondazione Musei Civici di Venezia e l’Assessorato alla Cittadinanza delle donne e alle Attività Culturali del Comune di Venezia festeggiano l’8 marzo con un testimonial d’eccezione, la stilista madrilena Agatha Ruiz de la Prada. La mostra, a cura di Agatha Ruiz de la Prada, si realizza nell’ambito della più ampia iniziativa Dove - Donne a Venezia - Creatività, economia e felicità promossa dall’Assessorato alla Cittadinanza delle donne e alle Attività Culturali del Comune di Venezia, in occasione della Festa della Donna 2013. La manifestazione vede il coinvolgimento delle principali realtà culturali veneziane – tra cui anche la Fondazione Musei Civici di Venezia – impegnate in una riflessione collettiva sul ruolo femminile nella società e prevede, dal 7 al 10 marzo 2013, un denso programma di iniziative, tra convegni, spettacoli, rassegne cinematografiche, mostre, letture e recital. Nello straordinario scenario del Salone del Ballo del Museo Correr in Piazza San Marco, ambiente dal caratteristico e sontuoso “stile Impero”, progettato da Lorenzo Santi a partire dal 1822 e decorato da Giuseppe Borsato tra il 1837 e il 1838, Agatha Ruiz de la Prada propone i modelli della collezione “Primavera- Estate 2013” presentati durante la sfilata retrospettiva della scorsa edizione della Mercede Benz Fashion week di Madrid ed esposti per l’occasione su manichini dorati. Si tratta di trentuno abiti che reinterpretano le icone care ad Agatha - dall’abito “gabbia” a quello “ombrello”, da “cuore” a “stella” - che l’hanno accompagnata durante 31 anni di carriera. Abiti che animano una fantasiosa e colorata “festa danzante”, in cui protagoniste sono le forme, le cromie e il genio di questa artista, che coniuga in modo del tutto originale glamour, fashion e design d’avanguardia. Co.prodotta con Assessorato alla Cittadinanza delle Donne e alle Attività Culturali – Comune di Venezia In collaborazione con Fondazione Agatha Ruiz de la Prada --- Agatha Ruiz de la Prada esordì nel mondo della moda nel 1981 a Madrid, dove presentò la sua prima collezione donna. Fu così ben accolta che, di lì a poco, aprì il suo primo negozio nella capitale spagnola e cominciò a partecipare alle sfilate di Barcellona. Le sue creazioni si trasformarono in una vera e propria espressione artistica, anche attraverso le esposizioni nelle principali gallerie d’arte di tutta la Spagna. Durante gli anni ‘80 Agatha diviene una delle più importanti promotrici della movida madrilena e da allora ha contribuito attivamente allo scenario culturale e artistico del Paese. Nonostante Agatha ottenga un certo successo fin dall’inizio della sua carriera, il vero trionfo arriva quando unisce le forze con la maggiore catena di grandi magazzini spagnoli: El Corte Inglés. Da allora inizia ad attraversare le frontiere e ad acquisire riconoscimenti internazionali attraverso sfilate ed esposizioni. Partecipa alla settimana della moda a Parigi, fino a quando decide di sfilare in Italia, a Milano la donna e a Firenze durante Pitti Bimbo. Nel 1991 Agatha Ruiz de la Prada comincia a concedere licenze per la produzione di abbigliamento per l’infanzia, accessori, mobili, decorazioni, complementi per la casa, profumi, cellulari, cartoleria… Oggi il brand è distribuito in tutto il mondo attraverso circa 50 licenziatari e vanta ben 6 monomarca a Milano, Madrid, Barcellona, Parigi, New York e Porto. Durante la sua crescita professionale, Agatha ha collaborato a progetti speciali con aziende del calibro di: Swatch, Absolut Vodka, Camper, Citroën, Kartell, Dhl, Audi, Nh Hotel, etc… Inoltre ha ricevuto numerosi premi, come l “Oscar italiano della Moda”, il premio “Newyorker”, il premio “Pasión Colombia”, senza dimenticare tutti i premi della moda spagnola, come “T” di Telma, “Prix” di Marie Claire e Glamour, così come il premio di “Dedizione alla Moda 2010” a Siviglia, per il contributo che ha portato e che continua a portare alla diffusione e all’immagine del design spagnolo a livello internazionale. In occasione dell’Viii edizione della Biennale Internazionale dell’Arte Contemporanea di Firenze, Agatha Ruiz de la Prada ha ricevuto a dicembre dell’anno scorso il Premio alla Carriera Lorenzo il Magnifico, insieme ad altre due personalità di spicco come Josè Luis Cuevas, pittore, scultore e scrittore di fama internazionale e Jeff Koons, creatore di una iconografia propria che sa coniugare Pop Art, Arte Concettuale a artigianato popolare. Attualmente Agatha sfila nella settimana della moda di Madrid; è inoltre invitata a sfilare sulle passerelle di tutto il mondo: Francia, Colombia, Grecia, Santo Domingo, Stati Uniti, Messico, Mosca, Panama e tanti altri. Le sue mostre si possono ammirare in città come Tokyo, Pechino, Milano, Barcellona, New York  
   
   
TRIESTE (SALA COMUNALE): RIGORE E LIBERTÀ - MOSTRA PERSONALE DELLO SCULTORE CARLO FONTANELLA - FINO AL 20 MARZO  
 
S’inaugura lunedì 25 febbraio 2013 alle ore 18 alla Sala Comunale d’Arte di Trieste la mostra dello scultore Carlo Fontanella intitolata “Rigore e libertà”, che sarà introdotta sul piano critico dall’arch. Marianna Accerboni. In esposizione una quindicina di sculture realizzate tra il 2005 e il 2012 a tecnica mista (legno, polistirene e materiale cementizio). Fino al 20 marzo (orario: feriale e festivo 10 · 13 / 17 · 20). Carlo Fontanella tende alla sintesi delle forme, dei volumi e del linguaggio pittorico e plastico, che sa esprimere - scrive Accerboni - in raffinati elementi geometrici, spesso quasi dei bassorilievi, caratterizzati dall’eleganza del ritmo e da una calibrata modularità, espressa, con sensibilità molto contemporanea, attraverso l’uso di materiali di recupero e la poetica dell’objet trouvé (polistirolo) o mediante legno patinato, tufo e cemento, intrecciati in essenziali, simboliche tecniche miste. Il bianco, il colore della purezza e della sintesi, è il suo prediletto e connota in modo coerente e armonico la chiarezza delle linee e dei ritmi che contraddistinguono i lavori di quest’artista, il quale, con taglio concettuale, sa approfondire e tradurre in modo anche introspettivo e delicatamente poetico l’analisi del reale visibile e invisibile. Il rigore compositivo dei pieni e dei vuoti, del cromatismo silente e delle linee si sposa tuttavia in modo inusitato ma euritmico con un senso di libertà. Nel comporre con naturale equilibrio, la mente dell’artista vola libera, seguendo il flusso naturale dei pensieri e della creatività, verso un mondo profondo e positivo di luce e di essenziale bellezza: attraverso un’istintiva esegesi d’inclinazione filosofica, coerente con l’attitudine speculativa dei grandi pensatori e saggi del bacino mediterraneo, Fontanella definisce nella terza dimensione, in modo del tutto personale e icastico, spesso allusivo e talvolta lievemente ludico, le origini e gli esiti del nostro criptico esistere, suggerendo soluzioni e riflessioni interiori. E la sua scultura si propone così - conclude il critico - quale traduzione in chiave tridimensionale di una speculazione filosofica. Carlo Fontanella, nato a Torre del Greco (Napoli) nel 1948, si diploma in Scultura all’Istituto Statale d’Arte e Magistero di Napoli. È presente dal 1970 in manifestazioni artistiche di prestigio in Italia e all’estero. Nel 2007 partecipa alla 52° Biennale di Venezia (eventi collaterali). È autore di sculture monumentali e affreschi. Da anni protagonista di prestigio del mondo artistico contemporaneo del Nord Est italiano, ha tratto nuovo alimento dalla contiguità e dall’amicizia con il pittore Armando Pizzinato. Dove: Sala Comunale d’Arte · Piazza Unità d’Italia 4 · Trieste  
   
   
CA’ PESARO MODERNA (CA’ PESARO, GALLERIA INTERNAZIONALE D’ARTE ): TESORI RITROVATI A CURA DI LAURA POLETTO E CRISTIANO SANT - COORDINAMENTO DI SILVIO FUSO - 7 MARZO – 28 APRILE 2013  
 
La proposta di Ca’ Pesaro - Sala 10 da tempo si concentra sulla presentazione di nuclei fondamentali del ricco e complesso patrimonio della Galleria d’Arte Moderna. Si tratta di importanti momenti di approfondimento e di riflessione che rispondono ad una prospettiva di presentazione sempre più dinamica del museo, dove l’avvicendamento delle opere in esposizione diventa strategia culturale e strumento privilegiato di fruizione e valorizzazione delle opere e degli artisti. In tale contesto, nell’anno della Biennale d’Arte, viene proposto un ciclo di mostre incentrate sulla produzione culturale della città attraverso alcuni grandi appuntamenti del secondo Novecento a Venezia. Apre, dal 7 marzo al 28 aprile, una riflessione su un nucleo fondamentale di opere che, nel 1948, in occasione della Xxiv Biennale di Venezia, entra a far parte delle collezioni della Galleria. Sono i lavori di Renato Birolli (Verona 1905 – Milano 1959) Trinité sur Mer del 1947; Mario Deluigi (Treviso 1901 – Venezia 1978) Omaggio a Luisella (1948) poi sostituito, su richiesta dello stesso artista, nel 1951 da Omaggio a Sara (1949); Giuseppe Santomaso (Venezia 1907- 1990), Interno n. 3 del 1947 ed Emilio Vedova (Venezia 1919 – 2006) Il guado, 1948. Per Ca’ Pesaro l’ingresso di queste opere rappresenta l’inizio della sua storia più recente, oltre che un arricchimento della sua identità tesa a testimoniare alcuni tra gli esiti più incisivi del secondo dopoguerra. Per i quattro artisti veneti invece si tratta del primo ingresso nelle raccolte del museo, che nel tempo acquisirà altre loro opere, ora esposte nella sezione dedicata a Venezia tra Fronte Nuovo delle Arti e Spazialismo. La mostra, che si realizza a cura di Laura Poletto e Cristiano Sant, con il coordinamento di Silvio Fuso, rappresenta un’opportunità per approfondire i nessi tra la storia delle collezioni e le vicende della Biennale, in particolare quella del 1948, edizione che figura come un unicum nella storia della manifestazione, sia per la notevole ricapitolazione dei grandi movimenti europei, sia per il vasto panorama dell’arte italiana collocata in un confronto internazionale senza precedenti. È in questo contesto che emergono l’impegno e la vitalità delle ricerche delle giovani generazioni, di cui le opere qui esposte sono un esempio emblematico. --- La Biennale del ’48 rappresentò l’affermazione, a livello internazionale, del Fronte del nuovo delle Arti, gruppo impegnato in un rinnovamento dell’arte italiana rispondente non solo a necessità estetiche e linguistiche ma anche, e prima di tutto, etiche e morali. Tre dei quattro dipinti ora esposti, provengono dalle sale della Biennale (Xxxix e Xl) dedicate proprio a quell’avanguardia. Trinità sur Mer era una delle 10 opere proposte da Birolli, una delle “visioni bretoni” che egli realizzò nei suoi soggiorni francesi tra il ’47 e il ’48. Il dipinto di Santomaso, Interno n. 3, esprimeva le riflessioni formulate nella campagna veneta, quando l’artista mise a punto una cifra stilistica personale e riconoscibile, centrata su i valori formali e poetici degli oggetti. Il Guado di Vedova - alla sua prima Biennale, con cinque lavori appartenenti al periodo “geometrico - esprimeva invece in maniera emblematica il suo vivo coinvolgimento nelle lacerazioni della guerra e nelle tematiche dell’impegno civile. Frammenti preziosi della storia del secondo dopoguerra italiano e di quella memorabile esposizione. Discorso a parte merita invece l’opera di Deluigi. Alla Biennale del ’48, reduce da numerosi riconoscimenti, Deluigi presentava infatti quattro tele tra cui Omaggio a Luisella (1948): fu su quel dipinto che ricadde la scelta della commissione incaricata degli acquisti e dell’accettazione di opere d’arte per la Galleria Internazionale d’’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. Nel ’51 tuttavia Deluigi stesso chiese di poter sostituire l’opera acquistata con un’altra - Omaggio a Sara - datata 1949: testimonianza rilevante e poco nota delle problematiche affrontate dall’artista negli anni ’40, nel cosiddetto periodo fisiologico, e soprattutto un’opera cui il pittore pare fosse particolarmente legato. Del dipinto ufficialmente sostituito viceversa non rimane più neppure documentazione fotografica. Una vicenda particolare, che si è potuta chiarire mettendo a frutto le risorse archivistiche e documentarie del Museo proprio in occasione di questa mostra alla quale è inoltre abbinato il quarto numero dei quadernoni dedicati alle esposizioni della Sala 10, edito dalla Fondazione Musei Civici di Venezia. Info: Venezia, Ca’ Pesaro - Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Santa Croce 2076 - 9 marzo/28 aprile 2013 - www.capesaro.Visitmuve.it   - info@fmcvenezia.It    
   
   
MILANO (FONDAZIONE ZAPPETTINI, VIA NERINO 3): MOSTRA ULRICH ERBEN A CURA DI ALBERTO RIGONI E RICCARDO ZELATORE – DAL 14 MARZO 2013 AL 30 APRILE  
 
Ulrich Erben, tra i principali esponenti della Pittura Analitica negli anni Settanta, sarà protagonista della prossima mostra in programma alla Fondazione Zappettini. La personale sarà inaugurata giovedì 14 marzo (ore 17.30) nella sede milanese di via Nerino 3, e sarà visitabile fino al 30 aprile. La personale proporrà i celebri monocromi di grandi dimensioni che hanno contraddistinto l’opera del maestro tedesco fin dagli esordi, opere che lo hanno portato alla ribalta nazionale prima e internazionale poi, e che sono state esposte in importanti collettive dedicate all’astrazione pittorica. La mostra sarà anche l’occasione di confrontare i lavori storici con opere più recenti e confermare la coerenza di un artista sempre concentrato sulle problematiche del colore, della geometria e del linguaggio della pittura. «Il progetto di questa mostra – spiega Riccardo Zelatore, Direttore della Fondazione – nasce come un doveroso omaggio a un pittore che ha giocato un ruolo di primaria importanza nella nascita e nello sviluppo della Pittura Analitica negli anni Settanta e comunque della ricerca pittorica più in generale. Ma è soprattutto l’occasione per capire quanto della sua lezione contribuisca ad aggiungere significato al quotidiano lavoro dell’artista: un quadro di Ulrich Erben è al contempo storia e avanguardia, geometria e colore, classicità e sperimentalismo, un ventaglio di possibilità che lo spettatore è inviato a indagare». La mostra è accompagnata da un catalogo a colori con un testo dei curatori Ulrich Erben è nato a Düsseldorf (Germania) nel 1940. Tra il 1958 ed il 1963 studia nelle accademie d’arte di Amburgo, Venezia e Monaco e successivamente in quella di Berlino. Partito alla fine degli anni Sessanta da una tipica riflessione sulla pittura – esordisce con una mostra personale alla Galleria m, Bochum, nel 1971 – realizzando opere dal fondo generalmente bianco, con sovrapposizioni di una sezione centrale geometrica realizzata tramite un solo colore, sul quale insiste successivamente con diversi strati di bianco. In seguito, pur utilizzando sempre prevalentemente il colore bianco, inserisce su questa materia, che diventa sempre più spessa, forme semplici di colori saturi, date dal gesto largo della pennellata. I suoi quadri sono grandi, abbastanza ampi, mai però più alti di un uomo e più larghi dell’apertura delle sue braccia. Partecipa alle principali mostre dedicate alla Pittura Analitica, tra cui, nel 1973, “Tempi di percezione”, Casa della Cultura, Livorno, “Un futuro possibile. Nuova Pittura”, Palazzo dei Diamanti, Ferrara, “La riflessione sulla pittura”, Palazzo Comunale, Acireale; “Geplante Malerei”, Westfälischer Kunstverein, Münster, Galleria del Milione, Milano, 1974-75; “I colori della pittura”, Istituto Italo Latino Americano, Roma, 1976. Nel 1977 è invitato a Kassel per “documenta 6”. Interessato anche agli effetti di luce oltre il quadro, lavora anche a progetti e dipinti murali, come nelle mostre al Museo Folkwang di Essen, al Kunstverein di Colonia, alla Galleria Piltzer di Parigi, al Ginza Five di Tokyo. Negli ultimi decenni ha esposto fra l’altro alla Kunsthalle di Mannheim (1984), al Kunstverein für die Rheinlande und Westfalen a Düsseldorf (1990). Nel 2003 il Museum Wiesbaden gli ha dedicato una monografica. Nel 2010 ha tenuto un’importante mostra personale alla Galleria Studio G 7 di Bologna, con la quale da tempo collabora. Alla Fondazione Zappettini ha già esposto nelle collettive Pittura 70. Pittura-pittura e astrazione analitica (Chiavari, 2004) e Le superfici opache della Pittura analitica (Chiavari, 2009). Vive e lavora tra Düsseldorf e Bagnoregio. Info: Fondazione Zappettini per l’arte contemporanea - Via Nerino, 3, 20123, Milano - tel. +39 02 89281179 - milano@fondazionezappettini.Org  - www.Fondazionezappettini.org  
   
   
MILANO (FONDAZIONE MARCONI): MIMMO ROTELLA. “RETRO-D’AFFICHE” - INAUGURAZIONE: 19 MARZO ORE 18.00 - DAL 20 MARZO AL 15 MAGGIO 2013  
 
La Fondazione Marconi ha il piacere di annunciare la mostra Mimmo Rotella. “Retro-d’affiche” che presenta una selezione di circa trenta opere retro-dècollage dell’artista. Agli inizi degli anni ’50, Mimmo Rotella dopo esperienze artistiche di vario genere, approda al collage, tecnica che gli permette di sperimentare e soprattutto di abbandonare quella pittura tradizionale che sentiva così lontana ed estranea al suo sentire. E’ in quel periodo che Rotella rimane colpito dai manifesti affissi sui muri di Piazza del Popolo a Roma e comincia ad appropriarsene: Rimasi impressionato dai muri tappezzati di manifesti lacerati. Mi affascinavano letteralmente, anche perché pensavo allora che la pittura era finita e che bisognava scoprire qualcosa di nuovo, di vivo e di attuale. Sicchè la sera cominciavo a lacerare questi manifesti, a strapparli, dai muri, e li portavo in studio, componendoli o lasciandoli tali e quali erano, tali e quali li vedevo. Ecco come è nato il “décollage”. L’artista strappa i manifesti dai muri e li riporta direttamente sulla tela, una volta incollati sul supporto questi vengono nuovamente lavorati dall’autore. Le composizioni sono ottenute utilizzando indifferentemente il fronte e/o il retro del manifesto. Queste sovrapposizioni di carte lacerate non sono mai casuali, ma eseguite con l’intenzione di ottenere un equilibrio compositivo, con precisi rapporti cromatici e materici. Quando espone il dritto del manifesto, Rotella accentua gli effetti di colore mediante lo spessore dei frammenti incollati, quando espone il retro del manifesto, accentua gli effetti di materia mediante le colorazioni grigie o rossastre lasciate dai muri e dalle intemperie. (T. Trini) Il gesto di strappare i suoi dècollages, oltre ad essere una chiara ammissione di dissenso nei confronti della pittura tradizionale, è per Rotella il modo di appropriarsi di un aspetto del reale, infatti nel 1961 verrà inserito da Pierre Restany nel gruppo del Nouveau Réalisme. La mostra alla Fondazione Marconi, allestita sui due piani dello spazio espositivo, presenta al pubblico una selezione di retro-dècollage dall’inizio degli anni Cinquanta ai primi anni Sessanta, tra cui Nebuloso, 1954, Terrestre, 1956, Argentina, 1957, Materico, 1959, fermandosi quindi subito prima che compaia una lacerazione più figurata nelle sue composizioni. Dopo il 1960 infatti Rotella abbandonerà le opere puramente astratte facendo emergere nei suoi manifesti dettagli di parole, di corpi, di sguardi, di volti, come quello di Marilyn di cui allo Studio Marconi ’65, dove la mostra prosegue, sono presentate alcune litografie. Nello spazio di via Tadino 17 saranno esposte inoltre diverse operazioni grafiche, fotolito e frottage (tecnica con cui l’immagine è ottenuta sul foglio passando dei solventi sulla pagina stampata), che Rotella realizza negli anni Settanta partendo dalla pubblicità o da immagini trovate sulle riviste. Mimmo Rotella nasce a Catanzaro nel 1918. Dopo aver conseguito il diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, nel 1945 si trasferisce a Roma. Del 1949 è l’invenzione dei primi poemi fonetici che chiama “epistaltici”. Nel 1951-52 l’artista, titolare di una borsa della Fulbright Foundation, risiede all’Università di Kansas City e a partire dal 1953 realizza i suoi primi dècollages, manifesti lacerati secondo “una ricerca che si affida non all’estetica, ma all’imprevisto, agli stessi umori della materia”, come dichiara l’artista. Nel 1955 la sua prima mostra personale come décollagista alla Galleria del Naviglio di Milano. Nella seconda metà degli anni Cinquanta comincia a dedicarsi al décollage figurativo e successivamente inizia la serie di Cinecittà usando i manifesti cinematografici, sceglie Marilyn Monroe come principale soggetto femminile contribuendo al suo mito e facendone un’icona della sua opera. Nel 1961 viene invitato dal critico Pierre Restany ad aderire al gruppo del Nouveau Réalisme, da lui fondato l’anno precedente. Espone alla Galerie J di Parigi, al Festival du Nouveau Réalisme e alla grande esposizione “The Art of Assemblages” al Moma di New York. Al 1963 risalgono le sue prime opere di Mec Art. L’anno successivo la Xxxii Biennale di Venezia gli dedica una sala. Nel 1966 espone i suoi primi artypo, prove di stampa tipografiche riportate su tela, al Teatro La Fenice di Venezia e alla Galerie Zunini di Parigi, mentre nel 1970 incomincia a lavorare agli effaçages e ai frottages. Nel 1972 pubblica la sua prima autobiografia, Autorotella, e poco dopo prepara la raccolta dei suoi poemi fonetici. Dopo essersi definitivamente trasferito a Milano, nel 1980, incomincia ad elaborare il blank (copertura), manifesti pubblicitari strappati e ricoperti con strisce monocrome di carta che vengono presentati alla Galerie Denise René di Parigi e allo Studio Marconi di Milano nel 1981. Partecipa alle mostre “Arte Italiana 1960-1982” organizzata alla Hayward Gallery di Londra e nel 1986 alla collettiva “Les Nouveaux Réalistes” al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris. Nel 1987 realizza le prime sovrapitture, figure, simboli, graffiti su manifesti lacerati ed incollati su lamiere. E’ presente alla mostra “Italian Art in the 20th Century 1900-1988” della Royal Academy di Londra e partecipa a grandi mostre come “Art et Publicité” al Centre Pompidou di Parigi, e “High and Low” al Moma di New York, “Pop Art” alla Royal Academy di Londra, “Italian Metamorphosis” al Guggenheim Museum di New York. Molte sedi museali gli dedicano importanti antologie e retrospettive, tra le quali si segnalano la mostra del 1999 al Musée d’Art Moderne et Contemporain di Nizza, la sala personale alla Biennale di Venezia del 2001 curata da Harald Szeemann, “Mimmo Rotella. Avenue Rotella” curata da Germano Celant al Museo Tinguely di Basilea e al Palais des Nations Unies di Ginevra nel 2005. L’8 gennaio del 2006 Mimmo Rotella muore a Milano. Il suo lavoro viene ancora presentato in numerose occasioni presso sedi museali prestigiose in Italia e all’estero. Si ricordi la mostra collettiva Nouveau Réalisme organizzata nel 2007 presso le Galeries Nationales du Grand Palais a Parigi e riproposta presso lo Sprengel Museum di Hannover. Nel 2008 le Scuderie del Quirinale a Roma ospitano la mostra Pop Art 1956-1968, la Gam di Torino invece propone la mostra Collage/collages dal Cubismo al New Dada; nello stesso anno ricordiamo le mostre Mimmo Rotella. Lamiere, curata da Alberto Fiz, presso il Marca di Catanzaro e Europop presso la Kunsthaus di Zurigo. Nel 2009 infine, il lavoro di Rotella è esposto in occasione delle mostre Italics. Arte italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008 a cura di Francesco Bonami, presso Palazzo Grassi a Venezia e Nouveau Réalisme dal 1970 ad oggi, presso il Pac di Milano, a cura di Renato Barilli. Info: Fondazione Marconi Arte moderna e contemporanea - Via Tadino 15, 20124, Milano - Tel. 02 29 41 92 32 - fax 02 29 41 72 78 - info@fondazionemarconi.Org  - www.Fondazionemarconi.org  - dal 20 marzo al 15 maggio 2013  
   
   
MILANO (MYOWNGALLERY, VIA TORTONA 27): MOSTRA IPERVANITA​S DI CASAGRANDE​&RECALCATI - DAL 6 AL 20 MARZO  
 
L’inedito percorso degli artisti milanesi Sandra Casagrande e Roberto Recalcati prende vita all´insegna del simbolico: fiori fuggevoli e nature morte rappresentano in Ipervanitas l´iperbole della vanità, che si trasforma in natura compiacente, concretizzando il desiderio di ammirazione, di intima debolezza per diventare investigazione, domanda, complicazione. La rappresentazione della realtà, nei lavori realizzati appositamente per la personale in Myowngallery, è mossa da un desiderio di dare persistenza all’effimero, di bloccare l’istante e di condensare la profondità del tempo. Fiori umani e scheletri vegetali raffigurati su uno sfondo compatto, soggetti estremizzati nelle dimensioni e realizzati con grande maestria pittorica mediante un uso sapiente del colore ad olio e un numero infinito di velature, offrono allo sguardo un’osservazione più attenta, e dunque rispettosa, di quanto ci circonda silenziosamente… Info: http://www.myowngallery.it/  Sempre in zona Tortona, a pochi passi da Superstudio il Macs / Mazda Con-temporary Space (via Tortona 9) presenta Start – Progettare l’habitat a cura di Fortunato D’amico. (27 febbraio - 9 marzo). http://www.mazdamacs.it/    
   
   
MANTOVA (PALAZZO TE - ALA NAPOLEONICA): LA PIETRA E IL CERCHIO - MOSTRA ROBERTO FLOREANI A CURA DI CARLO MICHELI - DAL 9 MARZO AL 7 APRILE 2013  
 
La Pietra e il Cerchio è il progetto espositivo a cura di Carlo Micheli, promosso dalla Città di Mantova e dal Centro Internazionale d´Arte e di Cultura di Palazzo Te, che Roberto Floreani ha ideato appositamente per questi spazi, in continuità con le personali Aurora Occidentale (Biennale di Venezia - Padiglione Italia, 2009 ) e Alchemica (Museo Maga - Gallarate, 2011). La Città di Mantova ha presentato recentemente il progetto al Vto di Londra, inserendolo nelle iniziative culturali per la promozione di Mantova capitale europea della cultura 2019 La Pietra e il Cerchio è un progetto espositivo composto da oltre 50 opere su tela, anche di grande formato e 5 sculture ubicate nelle sei sale tematiche che Roberto Floreani ha concepito prendendo spunto dai concetti principali della sua ricerca: l´indagine sulla memoria (storica e individuale) e quella sulla circolarità (intesa sia come risoluzione formale dei suoi "Concentrici", sia come principio filosofico). Il Concentrico, riferimento il più delle volte caratterizzante nelle sue opere, presentato per la prima volta nel 2003 in una personale al Museo Revoltella di Trieste, diviene quindi una sorta di ponte che collega le due esperienze dell´artista: da un lato la sua formazione culturale e artistica legata all´Occidente e dall´altro l´ormai quarantennale pratica marziale legata all´Oriente. E´ quindi una forte motivazione che alimenta la ricerca pittorica dell´artista, considerato oggi uno dei più convincenti e maturi astrattisti della sua generazione, che ribadisce la possibilità d´intendere l´opera d´arte anche come messaggio di natura spirituale. L´aspetto pittorico che forse appare più interno a questa ricerca è quello legato ai tempi lunghi e minuziosi della realizzazione stratificata dell´opera e alle superfici che sembrano vibrare dall´interno: una sorta di colore-non colore ricavato facendo assorbire ad una superficie bianca, attraverso un procedimento quasi alchemico, le componenti cromatiche delle basi sottostanti trattate in precedenza. Il risultato finale sembra quasi alimentare un baluginio, procurare una sorta di luce interna all´opera, arricchito dalla fisicità materica della superficie e dal bilanciamento dei rilievi geometrici. Completa la mostra un catalogo della collana del museo con un testo di Carlo Micheli, uno dell´autore e un´intervista di Beatrice Buscaroli. Roberto Floreani ha tenuto oltre sessanta mostre personali sia in Italia che all´estero. Tra le mostre personali in spazi pubblici e museali, oltre alla Quadriennale di Roma nel 2005, e alla Biennale di Venezia (Padiglione Italia) nel 2009, si ricordano: "La casa e il tempo", 1994-95 (Musei Civici di Como, Pinacoteca di Ravenna, Museo d´Arte Contemporanea di Zagabria); "Antologica 1986-1997"; 1997 (Casa dei Carraresi, Treviso); "Opere recenti", 1999 (Lamec, Basilica Palladiana, Vicenza);"memoria", 1999 (Galleria del Credito Valtellinese- Le Stelline, Milano); "Roberto Floreani", 2001 (Galleria d´Arte Moderna e Contemporanea, Repubblica di San Marino); "Ritorno all´Angelo", 2003 (Museo Revoltella, Trieste); "Opere scelte 1998-2006", 2006 (Fondazione Palazzo Pretorio, Cittadella), "Selected Works 1997-2007" (Palazzo Ducale, Mantova ; Kunstverein Aschaffenburg, Stadtmuseum Gelsenkirchen; Mestna Galerija, Lubiana), 2007, "Alchemica", Museo Maga, Gallarate, 2011, "Composizioni astratte", Mag-(museo Alto Garda), Arco (Tn), 2012. Sue opere sono presenti in collezioni museali (Pac-padiglione d´Arte Contemporanea, Milano; Galleria d´Arte Moderna e Contemporanea,bologna; Musei di Stato della Rep. Di San Marino; Mart, Rovereto; Museo di Ca´ Pesaro (Acquisizione Fondazione Bevilacqua La Masa), Venezia; Kunstverein Aschaffenburg; Stadtmuseum Gelsenkirchen, Maga, Gallarate (Va); Museo Casabianca-malo (Vi), Fondazione Palazzo Pretorio-cittadella (Pd); Musei Civici di Padova, Palazzo Sarcinelli-conegliano (Tv) e pubbliche (Università degli studi-Bologna; Banca Commerciale Italiana; Credito Valtellinese-sondrio; Ing Bank, Milano; Fondazione Cassamarca-treviso; Associazione Industriali- Vicenza)  
   
   
COLORNO (REGGIA): IN MOSTRA TRENT´ANNI DI STILE ITALIANO  
 
La Reggia di Colorno, nel parmense, risanati almeno in parte i danni subiti dal recente terremoto, riapre i suoi magnifici ambienti ad eventi espositivi di rilievo. Questo nuovo corso prende il via il prossimo 2 marzo con la grande rassegna intitolata" Stile Italiano: Arte e Società 1900 - 1930" allestita in Reggia grazie alla collaborazione tra Provincia di Parma, Comune di Colorno, il Massimo e Sonia Cirulli Archive, New York e Antea Progetti e Servizi per la Cultura e il Turismo. Di rilievo la collaborazione assicurata alla mostra dal Metalab della Harvard University, nella figura del suo direttore Jeffrey Schnapp. Oltre 150 opere, molto selezionate vi compongono una moderna wunderkammer sull´arte Italiana del Xx secolo che celebra il "fare italiano" o made in Italy offrendo un punto di vista documentato sulla complessità artistica, creativa ed estetica dell´Italia della prima parte del Novecento. Come in un prisma la mostra "Stile Italiano: arte e società 1900 1930" riflette e rifrange, attraverso la molteplicità degli ambiti artistici presi in considerazione, lo spirito del secolo, in un dialogo continuo tra pittura, scultura, disegni, grafica pubblicitaria, progetti per l´industria e le loro implicazioni poetiche e filosofiche. Fino a giungere ad una vera e propria sintesi tra le varie espressioni artistiche che ha le sue radici profonde nel grande big bang futurista, in questo modo, affascinando e continuando ad affascinare molti paesi nel mondo. I dipinti di Balla, Sironi, Licini, Russolo, Previati, le fotografie di Luxardo, Ghergo e Ghitta Carell, le fotodinamiche di Masoero, Munari e Bragaglia, i manifesti pubblicitari firmati da Enrico Prampolini, Lucio Fontana, Marcello Dudovich, le sculture di Thayaht, i fotomontaggi di Bruno Munari, la collezione di libri e manoscritti futuristi, i disegni di architettura dei grandi razionalisti italiani per la grande sfida della costruzione di una "cittá utopica" a Roma, Eur o E 42, il progetto di Sant´elia per una "stazione per treni e aerei" del 1913, impaginate in questa grande mostra, ci parlano della nostra avventurosa presenza nel secolo appena concluso, descrivendo le mille sfaccettature di quello che è internazionalmente riconosciuto come lo stile italiano. "La multidisciplinarità è uno dei grandi pregi di questa rassegna, la rende vissuta e nel contempo viva e piena di sorprese per i visitatori. A noi piace pensare alla mostra - afferma Massimo Cirulli - come a un racconto, una partitura, una sceneggiatura di un film, meglio ancora come una composizione d´autore, rivolta in particolar modo alle nuove generazioni, le più giovani, quelle che - come diceva Bruno Munari - rappresentano il futuro che è già presente qui, adesso, tra di noi". "Naturalmente è legittimo chiedersi se esista davvero uno stile italiano e se sia possibile definire alcune caratteristiche della sua modernità. Tra le possibili risposte cerchiamo di abbozzare alcuni fondamenti: un aspetto emozionale che arricchisce un prodotto più artigianale che industriale e la cui forma spesso deriva in modo pragmatico dalla funzione; la semplicità, ovvero il tentativo di cancellare tutto il superfluo senza essere obbligatoriamente più semplici; la fantasia che fa da contrappeso alle regole troppo rigide della progettualità; l´eleganza, ovvero il risultato di un equilibrio compositivo, di una partitura cromatica ed estetica ottenuta per futili motivi, per puro godimento della bella forma". Da La santità della luce del 1910 del futurista Russolo, dal disegno Stazioni per treni ed aeroplani di Sant´elia del 1912 alla fotografia vintage dello Sviluppo di una bottiglia nello spazio di Boccioni del 1912 alla Città che sale di Licini del 1914, solo per fare alcuni esempi delle opere che sono contenute nell´Archivio e che sono qui esposte (molte per la prima volta in Italia), è esplicitato tutto lo sforzo descrittivo ed analitico di inizio secolo verso un mondo inafferrabile, in continuo mutamento, descrivibiile solo attraverso la molteplicità delle sue trasformazioni, un mondo complesso che riflette la profonda esaltazione della modernità italiana, della velocità, del dinamismo, della urbanizzazione, della industrializzazione. E allora scorrere le immagini che vanno dal Profilo continuo del 1933 di Bertelli al Poeta incompreso di Munari, dai manifesti giallo intenso per la Perugina di Seneca a quelli per la Campari di Depero, Nizzoli e Munari, è un succedersi caleidoscopico di suggestioni visive, ricordi, passioni, stili con un comune denominatore: lo stile italiano. "Difficilmente, anche il visitatore più distante dai temi dell´arte, potrà rimanere - conclude Massimo Cirulli - indifferente e non notare la qualità eccellente di un lavoro che non è solo relegato ad un passato da ricordare con affetto, ma che è ancora vivo nel nostro patrimonio culturale e industriale, consolidato nel linguaggio visivo di un´intera nazione". Il Massimo e Sonia Cirulli Archive, da dove provengono tutte le opere, nasce a New York, così come all´estero vivono e lavorano in prestigiose università alcuni dei giovani professori italiani che sono stati chiamati nell´Advisory Board a contribuire, con le loro ricerche storico-scientifiche, ad una riflessione su quanto abbiamo prodotto in Italia. Prenotazioni ed info: tel 0521/312545 - reggiadicolorno@provincia.Parma.it  - www.Turismocolorno.it  
   
   
SIENA: RESURREXI -ITINERARI​O TRA I CAPOLAVORI DEL COMPLESSO MONUMENTAL​E DEL DUOMO - DAL 1° MARZO  
 
Dal 1° Marzo 2013 l’Opera della Metropolitana in occasione della Pasqua propone Resurrexi. Dalla Passione alla Resurrezione, un itinerario tra i capolavori del Complesso monumentale del Duomo di Siena in occasione dell’Anno della Fede. L’esposizione racconta, attraverso le preziose miniature che compongono i manoscritti su pergamena, le pitture a fresco e i dipinti su tavola, gli ultimi momenti della vita di Cristo articolati in un suggestivo percorso all’interno del complesso monumentale del Duomo di Siena. L’itinerario si sviluppa principalmente in due sedi: nella Cripta, un ambiente interamente affrescato, e nel Museo dell’Opera istituito nel 1860 per conservare i capolavori provenienti dalla cattedrale. Il ciclo figurativo che si dispiega lungo le pareti della Cripta annovera episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento. Di particolare rilievo le quattro grandi scene dipinte sulla parete di fondo con la Crocifissione, la Deposizione dalla croce, la Deposizione nel sepolcro e la Resurrezione dei morti, realizzate da un gruppo di artisti senesi della seconda metà del Duecento. Nelle suggestive sale attigue all’ambiente affrescato, dove si ammirano parte delle antiche strutture della basilica, riconducibili al periodo che va dal Xii al Xiv secolo, sono esposti alcuni codici miniati provenienti dalla cattedrale e appartenenti alla liturgia pasquale dove nell’incipit latino dell’antifona d’ingresso della messa di Pasqua, Resurrexi, et adhuc tecum sum. Alleluia (Sono risorto, sono sempre con te. Alleluia), il Cristo si identifica e si fa riconoscere, appunto, nella sua nuova condizione di Risorto. Uscendo dalla Cripta, e attraversando l’antico portale gotico del Duomo Nuovo, si giunge al Museo dell’Opera, dove, al primo piano di una sala climatizzata, è possibile ammirare le Storie della Passione dipinte da Duccio di Buoninsegna sul retro della grande pala d’altare con la Maestà realizzata per il Duomo di Siena tra il 1308 e il 1311. La scena con l’Entrata di Cristo a Gerusalemme, narrata in tutti i Vangeli e profetizzata da Zaccaria (9, 9), da l’avvio a tutto il racconto delle storie della Passione. A questa seguono venticinque episodi, dalla Lavanda dei Piedi, alla Cattura, dalle undici storie riguardanti il processo alla grande scena con la Crocifissione, dalla Deposizione dalla Croce alla poetica scena della Resurrezione, dove il Cristo viene solamente evocato. La scena infatti vede raffigurate le tre Marie che giunte al sepolcro troveranno ad accoglierle l’angelo che annuncia loro il grande evento. Organizzazione Opera - Civita Group Orari 10:30 – 19:00 ultimo ingresso 18:30 Biglietti Opa Si Pass (biglietto cumulativo): € 12,00 Cattedrale e Libreria Piccolomini, Museo dell’Opera e Panorama dal Facciatone, Cripta sotto il Duomo, Battistero, Oratorio S. Bernardino. Ingresso libero per i nati e/o residenti nel Comune di Siena e fino ad 11 anni di età Nell’ambito della mostra sarà possibile prenotare visite guidate per adulti e bambini. Info e prenotazioni 0577 286300 – opasiena@operalaboratori.Com  - www.Operaduomo.siena.it    
   
   
ROMA (MUSEO DELLA CIVILTÀ ROMANA): MILOS SOBAÏC - 27 FEBBRAIO/7 APRILE 2013  
 
Milos Sobaïc, artista serbo contemporaneo, torna ad esporre in Italia, ospite di Roma Capitale presso il Museo della Civiltà Romana dal 27 febbraio al 7 aprile 2013, dopo aver partecipato alla Biennale di Venezia nel 1995. Le sue opere, tele, sculture o installazioni, si caratterizzano per la loro intensità espressiva, come testimonia anche la recente recensione dell´International Herald Tribune che ne loda stile e profilo. La prima parte della mostra, promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovrintendenza Capitolina, è dedicata all’Editto di Milano. Noto anche come Editto di Costantino, l’atto fu promulgato nel 313 d.C. A nome dell’imperatore d´Occidente Costantino I e dell’imperatore d´Oriente Licinio, per porre fine a tutte le persecuzioni religiose e per proclamare la neutralità dell´Impero nei confronti di qualsiasi fede. Una delle opere del Sobaïc è dedicata all’imperatore Costantino, rappresentato in un ritratto nell’atto di compiere un ampio passo a braccia aperte, posizione che allude alla Croce, iconografia che lo raffigura nel mondo cristiano da 1.700 anni. La seconda parte dell’esposizione è composta da quadri che tratteggiano la quotidiana inquietudine dell’uomo, che si sente sempre meno indispensabile nel mondo attuale. Roma Capitale è lieta di poter ospitare un artista serbo così significativo. Questa esibizione rientra, infatti, in un quadro di collaborazione artistico-culturale già avviato l’anno scorso con le esposizioni presso lo stesso Museo della Civiltà Romana di altri due artisti serbi nell’ambito delle celebrazioni dell’anno della cultura serba in Italia. Le due parti della mostra sono in netto contrasto: l’ottimismo cristiano in contrapposizione al pessimismo odierno; il grande e sicuro passo verso il futuro contro il lento ma inesorabile soffocamento dell’uomo. Milos mostra l’uomo impegnato nell’eterna lotta per un’esistenza migliore. Le sue opere, simboleggiando la volontà dell’essere umano di superare se stesso e di divenire migliore, sono piene di energia, movimento e virtù. Già nel lontano 1981, il critico d’arte francese Alain Jouffroy definì Sobaïc come uno dei pochi artisti, nella Parigi di allora, a non temere di esprimere il proprio pensiero sul mondo. Milos Sobaïc è scultore e pittore. Nelle sculture, frammenti di corpo sono rappresentati in forte movimento, spesso sono gambe che con ampio passo vanno verso un orizzonte con il desiderio di raggiungere al più presto gli obiettivi dell’individuo, evitando gli ostacoli e le insidie del cammino. Nei quadri di Milos Sobaïc si rivela il percorso di questo desiderio che vuole sopravvivere alla costrizione dei posti chiusi per consentire l’evoluzione delle singole identità. Nei primi quadri di Sobaïc si notano grandi folle che corrono ovunque; successivamente il pittore comincia a pulire le tele, lasciandovi una singola figura. Infine, scompone la figura nelle sue varie parti anatomiche per giungere ai quadri attuali dove si intravede solo l’orma del passaggio dell’uomo sulla tela. La mostra al Museo della Civiltà Romana presenta l’ultimo periodo di Milos Sobaïc: di corsa verso l’orizzonte, di corsa in avanti, come nei primi anni entusiastici del Cristianesimo, ai tempi dell’Editto di Milano, fino alla depressione e al soffocamento dei nostri giorni. Il pittore semplicemente sente il mondo che lo circonda e lo esprime tramite un proprio speciale filtro. Nella poetica artistica del pittore serbo il mondo è pieno di energia, movimento e forza; così come l’uomo è un grande lottatore desideroso di andare avanti a qualsiasi costo. Milos Sobaïc è nato nel 1945 a Belgrado (Serbia) dove si è laureato nel 1970 presso L´accademia di Arti Figurative, vive e lavora a Parigi dal 1972. Nel 2005 ha aperto, presso L´università Megatrend di Belgrado, la Facoltà di Arte e Design. Sulle sue opere sono state pubblicate cinque monografie, scritte da Alain Jouffroy, Peter Handke, Edware Luci Smith, Dimitri Analis, Buba Miljkovic ed altri critici d´arte di fama internazionale. L´artista ha organizzato più di settanta mostre personali e ha partecipato a più di quattrocento mostre collettive in tutto il mondoLe sue opere sono esposte in 30 musei di arte contemporanea del mondo. Info Inaugurazione: 26 febbraio ore 18 (18-20) Durata mostra: 27 febbraio - 7 aprile 2013 Orario: martedì a domenica ore 9.00-14.00 (la biglietteria chiude 1 ora prima) Inaugurazione ad ingresso libero Biglietto Intero € 8,50 Ridotto € 6,50 Indirizzo Roma, Piazza G. Agnelli, 10 - 00144 ( Eur ) Informazioni e prenotazioni Tel. 060608 tutti i giorni ore 9.00-21.00  
   
   
ROMA (MUSEO FONDAZIONE, PALAZZO SCIARRA): GRANDE MOSTRA - LOUISE NEVELSON - A CURA DI BRUNO CORÀ - DAL 16 APRILE 2013 AL 21 LUGLIO 2013  
 
Sarà aperta al pubblico dal 16 aprile al 21 luglio 2013 presso il Museo Fondazione Roma, nella sede di Palazzo Sciarra, la mostra Louise Nevelson, promossa dalla Fondazione Roma e organizzata dalla Fondazione Roma-arte-musei con Arthemisia Group. L’esposizione, realizzata con il patrocinio dell’Ambasciata Americana e in collaborazione con la Nevelson Foundation di Philadelphia e la Fondazione Marconi di Milano, annovera oltre 70 opere della scultrice americana di origine russa Louise Berliawsky Nevelson (Pereyaslav-kiev, 1899; New York, 1988). La retrospettiva, a cura di Bruno Corà, narra il contributo che l’artista ha dato allo sviluppo della nozione plastica: nella scultura del secolo scorso la sua opera occupa un posto di particolare rilievo, collocandosi tra quelle esperienze che, dopo le avanguardie storiche del Futurismo e del Dada, hanno fatto uso assiduo del recupero dell’oggetto e del frammento con intenti compositivi. La pratica dell’impiego di materiali e oggetti nell’opera d’arte, portata a qualità linguistica significante da Picasso, Duchamp, Schwitters e altri scultori, nonché l’assemblage - spesso presente anche nell’elaborazione della scultura africana - esercitano una sensibile influenza sin dagli esordi dell’attività della giovane artista, che emigra con la famiglia negli U.s.a nel 1905, stabilendosi a Rockland nel Maine. La Nevelson, insieme a Louise Bourgeois, ha segnato in maniera imprescindibile l’arte americana del Xx Secolo. La mostra racconta, attraverso un percorso emblematico, l’attività della Nevelson, che prende avvio dagli anni Trenta, con disegni e terrecotte, consolidandosi poi attraverso le successive sculture: gli assemblage in legno dipinto degli anni ’50, alcuni capolavori degli anni ’60 e ’70 e significative opere della maturità degli anni ’80, provenienti da importanti collezioni nazionali e internazionali di istituzioni quali la Fondazione Marconi e la Louise Nevelson Foundation, il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaekin in Danimarca, il Centre national des arts plastiques in Francia e la Pace Gallery di New York. Il percorso è arricchito da foto originali e riproduzioni di importanti fotografi, come Pedro E. Guerrero e Robert Mapplethorpe, che ritraggono l’artista nel suo studio. Nel 1986 la collettiva Qu’est-ce que la Sculpture Moderne?, presso il Centre Georges Pompidou a Parigi, consacra Louise Nevelson tra i più grandi scultori della sua epoca. L’artista seguita a lavorare sino alla sua scomparsa, sopravvenuta a New York il 17 aprile del 1988, mentre le sue opere vengono acquisite da noti musei e collezionisti privati negli Stati Uniti e nel mondo. Con la mostra dedicata a Louise Nevelson il Museo Fondazione Roma conferma il proprio impegno per la diffusione della cultura internazionale e, in particolare, della conoscenza della personalità e del tratto figurativo di esponenti femminili che hanno apportato un contributo significativo all’arte contemporanea. Un percorso, questo, iniziato con le esposizioni dedicate a Niki de Saint Phalle (2009) e Georgia O’keeffe (2011), che, passando per Louise Nevelson, si arricchirà nella seconda metà del 2013 della mostra su Barbara Hepworth. Il catalogo, edito da Skira, accanto alle immagini delle opere, include il saggio critico del curatore Bruno Corà e alcuni testi storico-critici di Thierry Dufrêne, Thomas Deecke, Aldo Iori e una conversazione con Giorgio Marconi, Presidente della Fondazione Marconi, che ha diffuso in Italia l´opera della Nevelson  
   
   
LUCCA (LUCCA CENTER OF CONTEMPORARY ART): ANTONIO LIGABUE. ISTINTO​, GENIALITÀ E FOLLIA - 2 MARZO/9 GIUGNO 2013  
 

La mostra “Antonio Ligabue. Istinto, genialità e follia”, organizzata dal Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art, si aprirà al pubblico il 2 marzo 2013 e proseguirà sino al 9 giugno 2013. L’evento espositivo, curato da Maurizio Vanni in collaborazione con Giuseppe Amadei, vuole ripercorrere attraverso circa 80 opere legate alle differenti tecniche espressive (olio su tela, disegni, grafiche e sculture) la storia di uno degli artisti più controversi e imprevedibili della storia dell’arte del Novecento: Antonio Ligabue. Un percorso cronologico e stilistico esaustivo, tracciato con la consulenza di Sergio Negri – responsabile dell’autenticazione e della catalogazione generale delle opere di Ligabue – che vuole indagare l’uomo-artista insieme al rapporto tra arte e follia. In esposizione anche tre  inediti del grande maestro: un motivo per rendere ancora più suggestiva e originale una delle manifestazioni del Lu.C.C.A. più attese dell’anno.  L’idea alla base della mostra è legata alla consapevolezza della grandezza di un artista che ha realizzato le sue opere migliori in stati di precaria lucidità. Alterazione mentale? Lucida follia? Genialità compulsiva? Incontrollabile e passionale vena creativa o semplicemente una fusione tra le dimensioni della realtà e del sogno? Tante sono le domande a cui si cercherà di dare una risposta attraverso i saggi in catalogo, in particolare quello del neuropsichiatra ed esperto di neuroestetica Gianfranco Marchesi, per comprendere la genialità di Ligabue, inserita in una forma cerebrale tutt’altro che prevedibile. Per approfondire la vita dell’artista, saranno proiettati due documentari sulla figura di Ligabue per la regia di Raffaele Andreassi (“Lo specchio, la tigre e la pianura”, vincitore dell’Orso d’argento di Berlino 1961, e “Antonio Ligabue pittore” del 1962) che lo ritraggono nei suoi luoghi, Gualtieri e le campagne. Inoltre, alla Fondazione Mario Tobino sarà proiettato il film tv “Ligabue” del 1977, per la regia di Salvatore Nocita, in occasione di un convegno legato al rapporto tra arte e follia.   La mostra permetterà di capire se geniali e folli si diventa, oppure se sono le condizioni sociali e del quotidiano a trasformare l’equilibrio mentale di una persona estremamente sensibile. “Ligabue – scrive Maurizio Vanni nel suo saggio – è un randagio della cultura, un artista libero dentro che, alla vulnerabilità emotiva congenita, ha unito grandi tragedie personali vissute nell’infanzia e nell’adolescenza. Un artista coerente, fedele solo a se stesso, capace di interagire con il flusso continuo, irregolare e talvolta estremo delle emozioni che sentiva dentro di sé, senza doverle controllare. La sua lucida alterazione mentale lo porta a violare ogni schema, ad andare oltre ogni consuetudine, ad assecondare in modo attivo le sue nevrosi”. In Ligabue arte e vita si uniscono in modo inestricabile riflesse da una grande intensità creativa. La sua è una pittura legata ad una necessità “fisica” di espressione, un mezzo per sentirsi vivo e fuggire l’emarginazione. Antonio Ligabue. Istinto, genialità e follia.a cura di Maurizio Vanniin collaborazione con Giuseppe Amadei2 marzo-9 giugno 2013Lucca Center of Contemporary Art, Lucca Con il patrocinio di Regione ToscanaProvincia di Lucca Comune di LuccaAssindustria Lucca Camera di Commercio Lucca Confcommercio LuccaConfesercenti Lucca Confartigianato Lucca Con il fondamentale contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Luccae anche diFondazione Banca del Monte di Lucca Con il supporto di Gesam Gas  PartnersFondazione Tobino Fienilarte

Catalogo: Silvana Editoriale, Milano. Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art - Via della Fratta, 36, 55100, Lucca - tel. +390583 571712  Fax +39 0583 950499 - www.luccamuseum.com  -  info@luccamuseum.com

 
   
   
MAMIANO DI TRAVERSETOLO (MAGNANI ROCCA) IL SURREALISMO DI PAUL DELVAUX  
 
Tele dominate da baluginanti nudità, da scheletri implicati in scene religiose. Le mostre di Paul Delvaux hanno destato scandalo, come la retrospettiva di Ostenda del 1962, che consacrerà definitivamente l´artista sul piano internazionale, vietata ai minori di diciotto anni. Oppure la Biennale di Venezia del 1954, nella quale il patriarca, futuro papa Giovanni Xxiii, proibì ai preti l´eccesso di una pittura che avrebbe potuto turbarli. Affabulatore dell´inconscio, intrigante stratega di atmosfere da sogno, Delvaux trova fonte d´ispirazione in quelli che lui considera i suoi due mentori, Giorgio De Chirico, il metafisico "faro" per i surrealisti, e René Magritte, insieme a Delvaux il più grande pittore belga del Xx secolo: "Cercavo negli altri l´alimento che mi permettesse di scoprire me stesso. Perciò ho fatto pittura espressionista. Ho fatto pittura come quella di Ensor. C´era qualcos´altro che volevo trovare: fu allora che scoprii Giorgio de Chirico, e fu lui, d´un tratto, a mettermi sulla strada giusta". Si presenta con queste parole Delvaux, protagonista della stagione del Surrealismo, il movimento d´avanguardia nato nel 1924 col Manifesto di André Breton, che eleva il sonno a stato di coscienza e realtà, con Sigmund Freud inconsapevole profeta: "Automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale." Questa dimensione artistica viene indagata dalla nuova mostra della Fondazione Magnani Rocca dal titolo "Delvaux E Il Surrealismo" dal 23 marzo al 30 giugno 2013, a cura di Stefano Roffi insieme al Musée d´Ixelles-bruxelles, dove l´enigma, perfettamente surreale, sull´adesione o meno dell´artista al dettato del movimento surrealista (egli la negava, contraddicendo una apparente evidenza, definendosi un "realista poetico") costituisce il tema della mostra stessa che, con circa 80 opere scandite tematicamente (Il paesaggio, L´enigma della ferrovia, Il mistero femminino, Le coppie, La classicità, Gli scheletri) offre anche il confronto con i lavori di accertati surrealisti quali lo stesso Magritte, Max Ernst, Man Ray, oltre al grande De Chirico; con loro Delvaux partecipa a "L´exposition Internationale du Surréalisme" nel 1938 a Parigi, in un incontro artistico fra i più sorprendenti del Novecento, dopo essere rimasto molto colpito dalle opere che aveva visto alla mostra "Minotaure", tenutasi al Palais des Beaux-arts di Bruxelles nel 1934. Nella "Villa dei Capolavori", sede a Mamiano di Traversetolo (Parma) della Fondazione Magnani Rocca, presieduta da Giancarlo Forestieri, accanto alle celebri opere di Dürer, Rubens, Van Dyck, Goya, Canova, Monet, Renoir, Morandi e molti altri, i lavori di Delvaux trovano dialoghi di raffinata suggestione. La mostra, che si avvale del sostegno di Fondazione Cariparma e Cariparma Crédit Agricole, è corredata da un ricco catalogo, contenente saggi di Arturo Carlo Quintavalle, Stefano Roffi, Laura Neve, Mauro Carrera, Elisa Barili, Pierre Ghêne. A partire dal 1934, dopo un periodo improntato a interessanti riprese impressioniste ed espressioniste in paesaggi e figure umane, l´artista conferisce alla sua arte una fisionomia definitiva, costruendo una dimensione onirica perfettamente plasmata, esito della fusione dello spazio metafisico di De Chirico coi brani di spaesamento propri di Magritte. La risultante emblematica che si impone nelle sue tele è un´immagine femminile dal corpo infuso di mistero, diafano e spettrale nella sua nudità quasi fosforescente, talora coinvolto in sorprendenti metamorfosi e collocato in luoghi irreali, sospesi in una dimensione di scardinamento della logica temporale, dove architetture dell´antichità classica convivono con reperti della modernità, come treni e stazioni. Donne che diventano creature arcane, vestali di uno sconfinamento tra il sogno e la mitologia, icone immote dai grandi occhi sgranati sul vuoto, che ricordano i nudi dal cupo sguardo introflesso di Modigliani; una sorta di sensualità "congelata" le rende simili ad automi-femmina creati e programmati da un misterioso demiurgo per destini non rivelati. Tra gli altri temi cari all´artista quello dello scheletro è presente nelle sue opere dall´inizio degli anni Trenta, acquisendo lo "status" di personaggio e divenendo il protagonista - assolutamente partecipe del mondo dei vivi - di scene religiose quali crocifissioni o sepolture, di danze e duelli. "Il vuoto è lo specchio che mi guarda", afferma il cavaliere Antonius Block, sfidando a scacchi il signor Morte in una partita dagli evidenti contenuti simbolici; è una celebre scena de Il settimo sigillo, il film di Ingmar Bergman dall´atmosfera affine alle opere di Delvaux, dove l´annullamento identitario rappresenta la cifra di una pittura all´insegna della sospensione, dell´enigma poetico. Paul Delvaux (Antheit les Huy, 1897 - Furnes, 1994), dopo studi di architettura e pittura a Bruxelles, dagli anni del raggiungimento della sua maturità d´artista pratica una specie di paradossale surrealismo classico. Non ci sono, nelle sue opere, quelle deformazioni "mostruose" prodotte dagli incubi propri di tanta pittura surrealista, non vi è traccia di quel proliferare di anatomie stravolte, derivate alla lontana dall´eredità di un Medio Evo fantastico, che popolano i quadri di Bosch, l´antenato fiammingo. Il surrealismo, per Delvaux, si manifesta piuttosto col tono di una fiaba, con un senso di placida normalità che riguarda corpi, spazi, prospettiva. Si avverte però qualche incongruità, qualche falla nel tessuto logico del visibile; un vento lieve di follia si alza ad agitare questo mondo e tutto diventa strano e straniante, irraggiungibilmente estraneo. Quella che a prima vista poteva sembrare una realtà riconoscibile si trasforma in un pacato enigma, senza punizioni terribili per chi non lo risolverà; resta l´impossibilità di comprendere il senso autentico delle messe in scena dell´artista, ma anche di capirne il nonsenso, distinguere il punto in cui la narrazione si fa prima ambigua e poi incontrollabile. Forse, il senso - o il nonsenso - del mondo di Delvaux si rivela proprio nell´incrinatura stridente che si apre tra una lettura "realistica" delle sue figure e una lettura invece abbandonata alla meravigliosa discrezione delle sue invenzioni. Come se lo spettatore si trovasse al cospetto di una serie di oscure allegorie sprovvisto del codice per decifrarle, come se una scena di normalità si trasformasse nell´allegoria di un significato perduto. Il quadro si pone così come intercapedine fra noi e un mondo sconosciuto; la sua funzione non sembra essere quella di stabilire una comunicazione con quel mondo, piuttosto quella di manifestare un´impossibilità di comunicazione. La visione di ogni quadro di Delvaux lascia il senso di una mancanza, quasi una piccola nostalgia, senza ansia, una specie di distratta serenità; come se questa visione giungesse a confermare una conoscenza rimossa. Le donne imperversano nei dipinti di Delvaux, quasi sempre portatrici caste (?) di nudità; narrano mute le storie di un mondo al femminile, l´inazione tornisce le loro forme di lucente levigatezza, che mostrano con noncurante consapevolezza. Un codice di posture manierate rende astratta la loro presenza, sospesa in un rigoroso linguaggio di sottrazione, in una condotta di verità simbolica, criptogrammi di una vita vagamente metafisica, certamente proiezioni dell´impegnativa figura materna. Il luogo è l´altrove, il tempo è il futuro anteriore. Il riferimento certo è De Chirico; tutto il Surrealismo, del resto, gli deve tanto: con i suoi quadri dei primi anni Dieci, egli non inventa soltanto un modo di dipingere, inventa un modo di immaginare che prima non esisteva. I più famosi pittori surrealisti, da Tanguy a Magritte a Ernst allo stesso Delvaux, hanno ammesso che i quadri di De Chirico sono stati per loro una vera rivelazione. Delvaux deve a De Chirico la "classicità" del suo personale surrealismo; la presenza costante di edifici classici e rinascimentali, di archi e colonne testimonia questo debito. Ancor più importante è la derivazione da De Chirico della sua poetica dell´incongruo, dello straniamento, secondo la quale nel dipinto tutto appare normalizzato, ma l´esame attento delle relazioni tra i personaggi e le cose smaschera una realtà diversa, la traccia di un enigma che resterà tale, per dare corpo a un teorema di insensatezza, a un sogno sostitutivo. Un paradosso, ma forse per Delvaux l´unica via di fuga da verità inconfessabili, alle quali preferì il mistero. Delvaux E Il Surrealismo Un enigma tra De Chirico, Magritte, Ernst, Man Ray Mostra a cura di Stefano Roffi insieme al Musée d´Ixelles-bruxelles, col patrocinio dell´Ambasciata Belga in Italia. Catalogo a cura di Stefano Roffi con saggi di Arturo Carlo Quintavalle, Stefano Roffi, Laura Neve, Mauro Carrera, Elisa Barili, Pierre Ghêne (Silvana Editoriale). Fondazione Magnani Rocca, via Fondazione Magnani Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma). Dal 23 marzo al 30 giugno 2013. Aperto anche tutti i festivi. Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) - sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Lunedì chiuso, aperto il lunedì di Pasqua. Ingresso: euro 9,00 valido anche per le raccolte permanenti - euro 5,00 per le scuole. Info e prenotazioni: gruppi: tel. 0521 848327 / 848148 - Fax 0521 848337 - info@magnanirocca.It -  www.Magnanirocca.it  Il martedì ore 15.30 viene organizzata una visita alla mostra con guida specializzata; non occorre prenotare, basta presentarsi alla biglietteria; costo euro 12,00 (ingresso e guida). Ristorante nella corte del museo tel. 0521 848135  
   
   
ROMA (GALLERIA D’ARTE MODERNA DI ROMA CAPITALE): FRANCESCO VACCARO DALLA FINESTRA TI VEDO - DAL 28 FEBBRAIO AL 30 APRILE 2013  
 
Nell’ambito della mostra Legami e corrispondenze. Immagine e parole attraverso il ‘900 romano - dal 28 febbraio al 29 settembre 2013 presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale - sarà ospitata l’installazione di Francesco Vaccaro "Dalla finestra ti vedo”, a cura di Federica Pirani, Gloria Raimondi, Claudio Libero Pisano, con la collaborazione di Nour Melehi. “Dalla finestra ti vedo” è il titolo del lavoro che Francesco Vaccaro ha dedicato ad uno degli autori italiani più noti e letti nel mondo: Alberto Moravia. L’artista è partito da Casa Moravia (dimora romana dello scrittore visitabile dal pubblico) per cogliere alcune tracce della vita quotidiana dell’autore de “Gli Indifferenti”, ricostruendo la memoria del suo passaggio, quasi immedesimandosi in lui. Attraverso una serie di video, riprendendo le cose che erano e sono visibili dalle sue finestre, Vaccaro cerca infatti di restituirci lo sguardo dello scrittore. "[1]Nel lavoro di Francesco Vaccaro la letteratura, come la poesia, sono elementi costanti. Racconta spesso per immagini quello che altri fanno con la parola scritta. Costruisce percorsi nei quali cerca di comprendere e condividere gli interrogativi comuni tra coloro che non hanno smesso di porsi domande. Elabora vere e proprie installazioni fatte di parole e rende così la parola opera. Quello che l’artista evoca intorno a Moravia non è solo il giusto riconoscimento a uno degli autori più noti e letti, ciò che l’artista focalizza con forza è lo sguardo dello scrittore. Quel saper vedere senza il quale i suoi libri, le sue cronache di viaggio, i suoi racconti di cinema non sarebbero esistiti. Moravia stesso non sarebbe esistito. Trasformare in parole ciò che aveva visto era compito di Moravia, trasformare in opere ciò che si vede è il compito che Francesco Vaccaro si è posto. L’omaggio che l’artista ha reso a un uomo di cultura molto studiato, amato, dileggiato è forse la cosa a lui più cara: lo Sguardo, anche quello dei suoi ultimi anni, degli ultimi momenti. Ha identificato in ciò che vedeva la natura stessa della sua poetica. Nell’orizzonte visivo di Moravia Vaccaro restituisce la traccia di continuità al percorso di ricerca ininterrotta dello scrittore”. --- Il percorso espositivo è diviso in due contesti. Nel primo, un lungo tavolo ospita minuscoli ritratti montati su sostegni in legno che mimano spessore e misure di un libro tascabile. Ritratti di scrittori e scrittrici che insieme a Moravia hanno attraversato il Novecento, che con lui hanno condiviso esperienze o che semplicemente hanno vissuto nei suoi stessi anni. Un secolo, il secolo di Alberto, narrato non attraverso cronaca e storia ma con i ritratti di chi, come lui, ha narrato il mondo con la parola scritta. È un ambiente che introduce e accompagna nella stanza attigua, dove un video che ossessivamente fissa il particolare della spalliera di un letto rappresenta il nucleo centrale della mostra. Esattamente dove lo scrittore ha poggiato la testa negli ultimi tempi della sua vita. La ripresa ravvicinata sul tessuto è il tentativo di comprendere uno stato d’animo, e la descrizione minuziosa dei filamenti della stoffa consunta è il segno di ciò che gli occhi potevano catturare, il punto di vista dello scrittore. Vaccaro focalizzando l’attenzione su un elemento apparentemente anonimo come la spalliera di un letto racconta tutto. Tutto di un uomo del quale già si sa tutto. Di fronte ma non in parallelo, quattro video in soggettiva registrano frammenti di paesaggio del lungotevere di Roma. Quello che realmente è visibile dallo spazio della camera dello scrittore. In uscita, su una parete, una lunga serie di titoli di libri, romanzi meno conosciuti degli artisti ritratti. Una lista che è una luce puntata su opere che non vanno dimenticate, opere da riscoprire perché un libro è importante non solo se ha avuto successo. “Dalla finestra ti vedo” sembra dire Alberto. Come un varco dal quale si entra o al contrario ci si ritrae dal mondo. In un semplice parallelepipedo si disegna un dentro e un fuori. Vaccaro nel forzato immobilismo dell’ultimo Moravia ha saputo leggere uno sguardo che non si è mai fermato. Che da un orizzonte bloccato è in realtà rimasto ininterrottamente collegato al mondo intero.” --- Francesco Vaccaro, nato a Crotone nel 1968 vive e lavora a Roma. I suoi lavori si compongono di video, fotografia e installazione. Ha esposto in gallerie private e spazi museali, in Italia e all´estero. I suoi video sono stati presentati in numerosi festival internazionali, tra cui la Festa del Cinema di Roma (2007), dove è stato proiettato “Lettera d’amore a Robert Mitchum” con Piera Degli Esposti, poi distribuito nelle sale italiane da Lucky Red; nel 2010 il video “La pitta” ha ricevuto il premio del pubblico a Festarte, Macro Testaccio di Roma. Nel 2012, la sua ultima mostra personale “Il legislatore non riconosciuto”, una riflessione sulla scrittura e in particolare sul lavoro del poeta, presso la Galleria Marte, a cura di Olga Gambari, all’interno del circuito ufficiale del Fotografia Festival Internazionale di Roma. --- Mostre personali 2012 Il legislatore non riconosciuto – Marte – (a cura di Olga Gambari) all’interno del circuito ufficiale del Fotografia Festival Internazionale di Roma 2011 Aprile – Marte - Roma (a cura di Lea Mattarella) 2009 Maclura - Aoc F58 – Roma (a cura di Chiara Bertini) 2004 An einem seltsamen ort - Wandergalerie - Berlino 2001 E vidi e capii - Aoc F58 – Roma (testo di Ada Lombardi) 2000 Indefiniti Silenzi - Aoc F58 - Roma 1999 Segnali – Studio S Arte Contemporanea - Roma (testo di Patrizia Ferri) Movimento zero – Accademia G. Balbo Bordighera (Im)(testo di E.mascelloni) 1998 Sempre che - Informagiovani Patrocinio Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Roma --- Mostre collettive 2012 Siamo tutti Greci – Museo Benaki - Atene 2011 The road of contemporary art Roma, Galleria Marte 2010 Festarte – Festival Internazionale Video Arte – Macro Testaccio Roma/triennale Milano 2006 Equidistanze – Video – Rialto S. Ambrogio Roma Mille 900 - Festival internazionale di fotografia - Hyunnart - Roma 2005 Premio Maretti - Galleria Nazionale Arte Moderna, Repubbica San Marino Premio Mario Razzano - Museo del Sannio Benevento Outcomeout - Studio Soligo – Roma, a cura di Patrizia Ferri 2003 Non essendomi prestato da bambino a giocare con la sabbia delle spiagge, mi è venuto, passata l’età, il desiderio di giocare. Aocf58 Roma, a cura di Cecilia Casorati 2001 Fotoesordio - Palazzo Esposizioni – Roma, a cura di Mifav Univ.tor Vergata Roma 2000/1 L’immagine Interiore - Il Cairo, Beirut, Madrid, Lisbona, Rabat, Tunisi Direz. Generale. Promoz. E Cooperaz. Culturale Min. Affari Esteri a cura di Patrizia Ferri 2000 Sacrosanto Sala 1 e Galleria Comunale d’Arte Contemporanea – Roma 1999 Sapori Colorati – Lavatoio Contumaciale - Roma 1998 Surfing - Studio S Arte Contemporanea – Roma Artisti per Opening – Temple Gallery - Roma [1] Dal testo in catalogo di C.l.pisano  
   
   
FIRENZE (GALLERIA DEGLI UFFIZI): NORMA E CAPRICCIO. SPAGNOLI IN ITALIA AGLI ESORDI DELLA ‘MANIERA MODERNA´ - 5 MARZO/26 MAGGIO 2013  
 
“L’edizione 2013 del programma espositivo Firenze - Un Anno ad Arte si apre nella Galleria degli Uffizi con una mostra dedicata, per dirla in breve, ai rapporti artistici fra Firenze e la Spagna nel primo ventennio del Cinquecento. Una scelta eccellente, a conferma dell’incessante azione di studio documentario e di sistemazione critica intorno alle opere di artisti presenti in Galleria, che trova momenti alti di visibilità e di valorizzazione nelle mostre temporanee. (Cristina Acidini)” Le ragioni dell’esposizione sono sintetizzate da un parere attribuito a Michelangelo nei Dialoghi romani di Francisco de Hollanda, pubblicati a Lisbona nel 1548. In quel trattato, contenente osservazioni raccolte dall’autore durante un lungo soggiorno italiano prolungatosi dal 1538 e al 1547, il Buonarroti afferma: “così pure dichiaro che nessuna nazione e nessun popolo (ad eccezione di uno o due spagnoli) può assimilare perfettamente né imitare la maniera di dipingere italiana (che è quella della Grecia antica), senza essere subito riconosciuto facilmente per straniero, per quanto si sforzi e lavori” Questo autorevole apprezzamento è servito d’ispirazione alla mostra, la prima dedicata all’attività degli artisti spagnoli approdati in Italia fra l’inizio del Cinquecento e gli anni Venti del secolo, partecipi del fervido clima culturale sviluppatosi fra Firenze, Roma e Napoli; gruppo nel quale devono certo essere inclusi alcuni dei nomi cui Michelangelo intendeva far riferimento col giudizio raccolto dall’Hollanda. Nel numero di queste presenze, spinte al viaggio da un vorace desiderio di confronto con i testi fondamentali dell’arte moderna, si contano personalità provenienti da centri diversi della penisola iberica: il castigliano Alonso Berruguete (1488 circa -1561), Pedro Machuca nativo di Toledo (1490 circa – 1550), Pedro Fernández (meglio noto come lo “Pseudo-bramantino” e proveniente da Murcia), Bartolomé Ordóñez (? –1520) e Diego de Silóe (1490 circa - 1563) (entrambi di Burgos); tutte figure di pittori e scultori capaci di imporsi come veri e propri protagonisti del manierismo europeo, anche grazie al loro apprendistato nelle più importanti città dello Stivale. Sono le fonti storico-artistiche italiane a riconoscer loro una posizione preminente sulla scena internazionale del Cinquecento. Giorgio Vasari, ad esempio, nelle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori (1550; 1568) ricorda il Berruguete accanto a Rosso e Pontormo nello studio delle opere di Michelangelo e Leonardo, così come nell’indagine attenta sui capolavori del Quattrocento fiorentino (in particolare la Cappella Brancacci di Masaccio). La mostra si articola in otto sale che intendono esemplare i cataloghi di questi artisti con una scelta ragionata di prestigiose creazioni, eseguite durante le loro residenze nel nostro paese o immediatamente dopo il rientro in patria. Nelle quattro sale d’apertura si indagherà pertanto il percorso italiano di Alonso Berruguete, ricostruito da Roberto Longhi e Federico Zeri: Berruguete - pittore e scultore di tenore poetico altissimo (Antonio Natali) -, infatti, destinato dal terzo decennio del secolo, ad imporsi come il più autorevole scultore al servizio di Carlo V e della sua corte, fu – assieme ai valenzani Fernando Llanos e Fernando Yáñez de Almedina, anch’essi testimoniati da un dipinto in mostra – fra i primi artisti iberici a scegliere la strada di un viaggio “di formazione” con l’intento di aggiornare il proprio linguaggio pittorico. Si avrà così, nella prima e nella seconda sala, l’inedita possibilità di confrontare direttamente le tavole e le sculture fin qui riferite alla brillante carriera di Alonso lontano dalla Spagna – opere per lo più oggi conservate agli Uffizi e in altri importanti musei italiani e stranieri. Si potrà dunque verificare la coerenza del catalogo riunito dagli studi di Longhi e di Zeri, valutandone interrelazioni e dipendenze. Nella terza sala ci si concentrerà su due circostanze rilevanti del soggiorno dell’artista in centro Italia: e cioè il suo rapporto di familiarità vissuto con il pittore cremonese Giovan Francesco Bembo, voce significativa della maniera eccentrica per l’Italia settentrionale (ugualmente trasferitosi a Firenze attorno al 1509), e la partecipazione di Berruguete al concorso per una copia del Laocoonte in Vaticano, indetto da Bramante nel 1510, con Raffaello a far da giudice. La modernità del linguaggio del castigliano, nutrito da esperienze e contatti tanto eterogenei vissuti fra il Lazio e la Toscana, sarà poi vagliata – nella quarta sala – accostando la sua prima produzione spagnola ai risultati significativi di pittori e scultori toscani a lui contemporanei, fra cui Andrea del Sarto, Rosso, Pontormo, Baccio Bandinelli e Domenico Beccafumi. In questa parte iniziale del percorso, si potrà del resto anche giudicare il peso che la tradizione fiorentina ebbe sull’arte di Alonso, grazie ad autografi di Donatello, Leonardo, Michelangelo, Filippino Lippi e Piero di Cosimo provenienti dal Bode Museum di Berlino, dal British Museum di Londra e dall’Albertina di Vienna. Nella quinta stanza, partendo dalle tavole di Pedro Machuca prestate dal Museo del Prado e dalla Galleria Borghese, si rifletterà invece sul suo contributo fra gli anni dieci e venti del secolo alla bottega di Raffaello, con la quale l’artista toledano dovette collaborare durante la campagna decorativa delle Logge vaticane. Se ne verificherà inoltre il ruolo di mediatore, al fianco di altri artisti coevi come Cesare da Sesto, nel veicolare la lezione del Sanzio in Italia del Sud, grazie al confronto della sua produzione romana con la tavola di Andrea da Salerno proveniente da Nocera Inferiore. Nella stessa sala si esemplerà l’articolato percorso di Pedro Fernández, grazie a tavole prestate dal Museo de Arte de Catalunya di Barcellona, dalla Pinacoteca Ala Ponzone di Cremona e dalla chiesa di San Lorenzo a Pisciarelli (Bracciano): l’artista fu infatti attivo nella penisola italiana fra il Lazio e la Campania, dopo una formazione vissuta con ogni probabilità a Milano a contatto con le esperienze figurative di Bartolomeo Suardi, noto anche come Bramantino. La sesta e la settimana stanza indagheranno invece più da vicino l’ambiente artistico partenopeo, concentrandosi sulla produzione di Bartolomé Ordóñez e Diego de Silóe, i quali vi operarono negli anni dieci collaborando ad alcune importanti realizzazioni come l’altare marmoreo per la cappella Caracciolo di Vico in San Giovanni in Carbonara. A testimonianza di quella straordinaria impresa saranno esposte sculture eseguite dai due fra Napoli e la Spagna, confrontando per la prima volta opere oggi conservate in luoghi consacrati e frequentati dall’attenzione critica come il Museo Nazionale di Capodimonte o statue provenienti da centri più piccoli della penisola iberica, fra cui la cattedrale di Zamora e la chiesa parrocchiale di Barbadillo di Herreros: provenienti da questi luoghi saranno in mostra una Madonna col Bambino e san Giovannino dell’ Ordóñez e un San Sebastiano del Silóe, testimonianze della maestria raggiunta dai due scultori nella lavorazione del marmo, materiale consacrato dalla tradizione italiana e al centro di una nuova vague di portata europea, presso le corti del continente, dall’inizio del Cinquecento. Nell’ultima sezione della mostra si raccoglieranno invece opere realizzate da questi stessi artisti al rientro in patria, fra Valladolid, Granada e Toledo, quando l’elezione al trono di Carlo d’Asburgo nel 1516 offrì loro la promessa di un rinnovato e più generoso mecenatismo artistico da parte della Corona spagnola, dopo quello già munifico di Ferdinando d’Aragona e Isabella la Cattolica. Saranno esposte la Sacra Famiglia dipinta da Machuca per Jaén attorno al 1520 (esempio di uno squisito gusto raffaellesco nella composizione e nel tono sentimentale), ma anche due tavole dipinte da Pedro e da un pittore fiorentino noto come l’Indaco (trasferitosi in Spagna assieme al toledano) per la cattedrale di Granada, dove Ferdinando aveva voluto la propria reale sepoltura (affidata nel 1513 allo scultore settignanese Domenico Fancelli): monumento evocato in mostra da una preziosa incisione pubblicata nel 1872 nel “Museo Español de Antigüedades”. Il percorso si concluderà con due sculture provenienti dall’imponente retablo mayor di San Benito el Real, messo in opera da Alonso Berruguete negli anni venti del Cinquecento, guardando a modelli italiani desunti dall’Antico (come il Laocoonte) o dall’arte fiorentina del Rinascimento (come il San Giorgio di Donatello): opere testimoni di un gusto italianista comune ai pittori e agli scultori iberici, attivi sulle sponde orientali del Tirreno nel primo quarto del secolo, i quali contribuirono a diffonderlo in patria, decretando così il successo su un piano europeo dei principî formali della maniera moderna. Il progetto scientifico della mostra è di Tommaso Mozzati, che ne ha condiviso con Antonio Natali anche la cura e il catalogo edito da Giunti Editore. Promotori dell’esposizione il Ministero per i Beni e le Attività Culturali con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, la Galleria degli Uffizi, Firenze Musei e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.  
   
   
ROMA (MUSEO FONDAZIONE, PALAZZO SCIARRA): MOSTRA LOUISE NEVELSON - DAL 16 APRILE 2013 AL 21 LUGLIO 2013  
 
Louise Nevelson, The Golden Pearl (24 elementi), 1962, legno dipinto oro, 198x100x45 cm, Courtesy Fondazione Marconi, Milano, Louise Nevelson by Siae 2013 Sarà aperta al pubblico dal 16 aprile al 21 luglio 2013 presso il Museo Fondazione Roma, nella sede di Palazzo Sciarra, la mostra Louise Nevelson, promossa dalla Fondazione Roma e organizzata dalla Fondazione Roma-arte-musei con Arthemisia Group. L’esposizione, realizzata con il patrocinio dell’Ambasciata Americana e in collaborazione con la Nevelson Foundation di Philadelphia e la Fondazione Marconi di Milano, annovera oltre 70 opere della scultrice americana di origine russa Louise Berliawsky Nevelson (Pereyaslav-kiev, 1899; New York, 1988). La retrospettiva, a cura di Bruno Corà, narra il contributo che l’artista ha dato allo sviluppo della nozione plastica: nella scultura del secolo scorso la sua opera occupa un posto di particolare rilievo, collocandosi tra quelle esperienze che, dopo le avanguardie storiche del Futurismo e del Dada, hanno fatto uso assiduo del recupero dell’oggetto e del frammento con intenti compositivi. La pratica dell’impiego di materiali e oggetti nell’opera d’arte, portata a qualità linguistica significante da Picasso, Duchamp, Schwitters e altri scultori, nonché l’assemblage - spesso presente anche nell’elaborazione della scultura africana - esercitano una sensibile influenza sin dagli esordi dell’attività della giovane artista, che emigra con la famiglia negli U.s.a nel 1905, stabilendosi a Rockland nel Maine. La Nevelson, insieme a Louise Bourgeois, ha segnato in maniera imprescindibile l’arte americana del Xx Secolo. La mostra racconta, attraverso un percorso emblematico, l’attività della Nevelson, che prende avvio dagli anni Trenta, con disegni e terrecotte, consolidandosi poi attraverso le successive sculture: gli assemblage in legno dipinto degli anni ’50, alcuni capolavori degli anni ’60 e ’70 e significative opere della maturità degli anni ’80, provenienti da importanti collezioni nazionali e internazionali di istituzioni quali la Fondazione Marconi e la Louise Nevelson Foundation, il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaekin in Danimarca, il Centre national des arts plastiques in Francia e la Pace Gallery di New York. Il percorso è arricchito da foto originali e riproduzioni di importanti fotografi, come Pedro E. Guerrero e Robert Mapplethorpe, che ritraggono l’artista nel suo studio. Nel 1986 la collettiva Qu’est-ce que la Sculpture Moderne?, presso il Centre Georges Pompidou a Parigi, consacra Louise Nevelson tra i più grandi scultori della sua epoca. L’artista seguita a lavorare sino alla sua scomparsa, sopravvenuta a New York il 17 aprile del 1988, mentre le sue opere vengono acquisite da noti musei e collezionisti privati negli Stati Uniti e nel mondo. Con la mostra dedicata a Louise Nevelson il Museo Fondazione Roma conferma il proprio impegno per la diffusione della cultura internazionale e, in particolare, della conoscenza della personalità e del tratto figurativo di esponenti femminili che hanno apportato un contributo significativo all’arte contemporanea. Un percorso, questo, iniziato con le esposizioni dedicate a Niki de Saint Phalle (2009) e Georgia O’keeffe (2011), che, passando per Louise Nevelson, si arricchirà nella seconda metà del 2013 della mostra su Barbara Hepworth. Il catalogo, edito da Skira, accanto alle immagini delle opere, include il saggio critico del curatore Bruno Corà e alcuni testi storico-critici di Thierry Dufrêne, Thomas Deecke, Aldo Iori e una conversazione con Giorgio Marconi, Presidente della Fondazione Marconi, che ha diffuso in Italia l´opera della Nevelson